MAROCCO. IL GRIDO DI DENUNCIA DEI NUOVI VENTENNI


All’annuale appuntamento dedicato al rap made in Marocco quest’anno erano in novantamila, provenienti da tutto il Paese: giovani in canottiera e scarpe da ginnastica, ma anche in hijab e magliette a maniche lunghe. Per 4 giorni hanno ballato e cantato, rigorosamente in darija, il dialetto marocchino. E la canzone-tormentone del momento che rimbalza di questi tempi nelle strette viuzze della medina di Rabat dice: «Sono marocchino, marocchino fino alla morte. Chiunque opprima il mio paese io lo opprimerò, chiunque voglia male al mio Paese io lo combatterò».

A raccontare questo nuovo spaccato del mondo giovanile in Marocco è stato, nel numero del 29 aprile 2008, il quotidiano «La Repubblica». Un giovane diciannovenne, intervistato dice: «Questa è la nostra musica, non è rap americano, non è musica marocchina tradizionale: è la nostra maniera per dire che siamo orgogliosi di quello che siamo, ma anche che siamo stanchi di come vanno le cose in Marocco oggi».

Forse nella regione di Beni Mellal, dove come ProgettoMondo Mlal stiamo realizzando i nostri progetti di sviluppo, i giovani non vestono ancora i pantaloni larghi ma sicuramente condividono lo stesso malessere. Lo testimonia al suddetto quotidiano anche il rapper del momento: «Noi – dice infatti Khalifa – non mandiamo messaggi trasgressivi, ma cantiamo la realtà così come la vediamo: la corruzione, la disoccupazione dei giovani, la tentazione dell’estremismo islamico nelle periferie, l’importanza di rispettare le donne».

E in effetti, sottolinea l’intervistatore, in un Paese dove da mesi i giovani laureati scendono in strada per protestare contro la disoccupazione e la corruzione è considerata uno dei freni principali allo sviluppo, i gruppi della scena hip hop mettono semplicemente in musica il malessere di una generazione. La generazione dei sotto i 25 anni, che comunque la si voglia vedere ad oggi rappresenta la metà della popolazione totale – 30 milioni- del Marocco.

Anche per questo motivo siamo sempre più convinti che i giovani siano gli interlocutori chiave dei nostri progetti; progetti che mirano ad offrire occasioni di educazione, formazione e partecipazione sociale ma anche a stimolare i giovani a impegnarsi nello sviluppo del proprio Paese.

Leggi e sostieni il Progetto «Mai più da clandestino» che Mlal sta attuando in Marocco

Proponiamo di seguito l’intervista che Lucia Filippi (addetta alla Comunicazione di ProgettoMondo Mlal) ha scritto sentendo Mohamed Sadik, uno dei giovani educatori dell’equipe «Mai più da Clandestino». Dopo aver lavorato in una delle Mediateche del Progetto, egli ha colto al volo un’occasione che lo avrebbe portato in Italia e oggi si è trasferito a Torino.

MAROCCO. AI MIEI RAGAZZI DICO: «NON ABBANDONATE IL NOSTRO PAESE!»

[di Lucia Filippi, addetta alla Comunicazione di ProgettoMondo Mlal • 10.07.08] In qualità di testimone “eccellente” delle aspirazioni a migrare dei suoi giovani connazionali e oggi anche protagonista in prima persona di un percorso di questi tipo, e che fino ad ora potrebbe definirsi “riuscito”, abbiamo pensato di girare a Mohamed Sadik alcune domande per approfondire un argomento di grande attualità in tutti i sensi.

Cosa ti ha insegnato l’esperienza fatta con l’equipe ProgettoMondo Mlal?

L’esperienza di lavoro con ProgettoMondo Mlal è stata una grande occasione per arricchire le mie competenze sul lavoro, con e per i giovani. Ma la cosa più importante che ho imparato è quanto sia necessario lavorare in primis sulla consapevolezza dei giovani al fine di sostenerli nell’inserimento nella società.

Qual è oggi il ruolo di un educatore in Marocco?

La gioventù costituisce una considerevole risorsa umana come locomotiva nello sviluppo nelle società moderne e, come si può constatare, oggi domina anche la piramide delle età nei Paesi in via di sviluppo. Paesi come il Marocco sono considerati infatti “società giovani”, dunque più fragili socialmente nell’affrontare le crisi economiche e sociali e nel cogliere le sfide del futuro. Così l’educatore si trova ad avere una grande responsabilità nel preparare queste generazioni a livello psicologico e sociale, nella progettazione del loro futuro (orientamenti studio/impiego, informazione e sensibilizzazione sulle risorse di sviluppo personale o collettivo ecc) e nello sviluppo della responsabilizzazione della persona e della sua autonomia (informare sui diritti e doveri ecc). Tutto ciò richiede l’educatore conosca bene il contesto di lavoro e lavori insieme a scuola, associazioni e famiglie, sulla base di un programma preciso concordato con psicologi ed esperti.

Come descriveresti gli adolescenti con cui hai lavorato?

Il comprensorio dove ho lavorato conta, tra liceo e scuola media, più di 1500 iscritti e numerose associazioni giovanili. Qui, tutti gli adolescenti che ho avvicinato, avevano stessi sogni (lavoro, matrimonio, migrazione), stessi ostacoli sociali, economici e psicologici (paura del futuro incerto, scarsa fiducia in se stessi, timidezza ecc). Ma le reazioni possono essere diverse: alcuni adolescenti non hanno alcuna fiducia o speranza di cambiamento, e rispetto ai ragazzi, che pensano maggiormente all’emigrazione, le ragazze sono più interessate a proseguire gli studi.

Cosa ha rappresentato per te l’idea di lasciare il Marocco e venire in Italia?

Non avevo mai pensato di lasciare il Marocco. Però quando se n’è presentata l’occasione mi sono detto “perché no?”. Perché, dopo essermi occupato del tema dall’esterno, non sperimentarmi io stesso nelle vesti di migrante e quindi raccogliere l’opportunità di vivere questa situazione dall’”interno”? Un’esperienza che mi avrebbe permesso poi di acquisire più esperienza in ambiti diversi, soprattutto in quelli legati al sociale e all’associativo.

Come è stato il tuo approccio con l’Italia e con Torino?

Per il primo mese ho avuto qualche difficoltà, soprattutto per la lingua e nell’impatto con una cultura differente. Progressivamente, però, e grazie ad alcuni amici marocchini e italiani che mi hanno accolto a Torino, non ho avuto grandi problemi.

Alla luce della tua esperienza personale, cosa diresti ai giovani marocchini che aspirano a migrare?

Oggi, sulla base di questa mia breve esperienza e ai miei contatti con i marocchini di Torino, posso dire ai miei giovani connazionali che la migrazione non è una soluzione magica ai nostri problemi. E che, al contrario, è un altro genere di problema più grave. Allora bisogna potere cercare soluzioni e alternative ai problemi nel nostro Paese d’origine.