Tutto era pronto. La tradizionale “marcia della pace” organizzata da Pax Christi, dalla Caritas e dalla Commissione problemi sociali della Cei, avrebbe dovuto svolgersi sotto uno slogan denso di implicazioni politiche: “Il diritto internazionale, una via della pace”. Non la guerra unilaterale, neppure le spedizioni militari, al contrario un nuovo multipolarismo “non violento” e un salto di ruolo delle Nazioni unite per fronteggiare le diseguaglianze del pianeta. Si attendeva soltanto il messaggio del Papa, che era stato annunciato proprio con quel titolo e con quegli argomenti. Improvvisamente però il discorso è stato modificato, perciò il 31 dicembre a Termoli si marcerà all’insegna del nuovo motto “Un impegno sempre attuale: educare alla pace”. Giovanni Paolo II riafferma con forza l’esigenza di una riforma dell’Onu e di un «grado superiore» del diritto internazionale, ma i pacifisti cattolici si aspettavano qualche passo in avanti nella proposta di strade alternative alla guerra. Ci proveranno per proprio conto e già preannunciano un documento nel quale, a quanto si dice, saranno ripresi i contenuti che il Pontificio consiglio Giustizia e pace aveva predisposto per il testo papale e che non hanno resistito alla ripulitura imposta da un’altra parte delle gerarchie. Pax Christi si riunirà a Termoli già il 30 dicembre per un convegno di riflessione biblica “Verso l’arcobaleno”. Marceranno tutti nella notte di San Silvestro per le vie della città molisana, dopo aver visitato le famiglie terremotate alle quali regaleranno i soldi di un cenone trasformato in digiuno. Il vescovo Tommaso Valentinetti, che è anche presidente di Pax Christi, progetta di condividere il ricavato con un altro paese anch’esso colpito dal sisma. A questo Capodanno di pace parteciperanno monsignor Warduni, ausiliare di Baghdad, il ruandese Damashen Nzibonera, la congolese Chantal Ngono, che proviene dal centro rifugiati di Ragusa, e il kosovaro Pal Baftijaj. Valentinetti evita le polemiche interne alla Chiesa – la Marcia impegna
direttamente la Conferenza episcopale italiana – ma, parlando di Iraq, sollecita «un sempre maggiore coinvolgimento dell’Onu, affinché la comunità internazionale possa riprendere in mano la situazione». Inoltre, per il processo a Saddam, invoca «una corte penale internazionale».
Ma allora, sull’impiego dei nostri soldati, i vescovi la pensano come Ruini o come Nogaro? Vincenzo Apicella, che è segretario della commissione Cei, risponde con le parole di Wojtyla. Esiste un «sentire comune» – dice – ed è che «il fine non giustifica mai i mezzi». «Gli animi sono ancora scossi dalla paura – aggiunge il prelato – e la paura può fare brutti scherzi». Fuori dal linguaggio cifrato, il senso è che il terrorismo non si combatte con gli eserciti. In realtà Ruini e l’Osservatore romano hanno arruolato i militari in Iraq tra le “missioni di pace” e questo suscita dissensi nell’associazionismo cattolico. Le Ong aderenti alla Focsiv masticano amaro. Il loro presidente, Sergio Marelli, confronta gli appena 170 milioni di euro che la Finanziaria destina alle Ong e al servizio civile con i 1200 che finiranno alle cosiddette missioni di pace e i 2400 per la Difesa. Quindi accusa: «Il ministro Giovanardi è tornato a confondere il volontariato delle Ong con quello dei soldati, ciò significa militarizzare il volontariato». Al riguardo chiediamo l’opinione del presidente di Caritas, Francesco Montenegro. Il monsignore conferma: «No senz’altro, non si deve far coincidere la forza militare col volontariato».
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