[di Enrico Vendrame • 04.09.02] Gli sbarchi di queste ultime settimane a Lampedusa dovrebbero farci riflettere oltre l’emergenza. Perché continuano ad arrivare kurdi e disperati dall’Africa nera? Queste sono le provenienze che si conoscono, ma molte altre rimangono nascoste. Vi sono testimonianze di pescatori di Mazara del Vallo (Sicilia) e di Bizerda (Tunisia) che parlano del Meditteraneo come di un grande cimitero.

MIGRAZIONI: OPPORTUNITA’ PER COSTRUIRE UNA CITTADINANZA COMUNE

Altre che parlano degli inseguimenti della Marina spagnola alle imbarcazioni di fuggitivi e dei loro naufragi. Altre ancora che sussurrano come sulle piste del deserto si consumino innumerevoli tragedie, lontane dagli occhi di tutti. Oltre l’emergenza occorre incominciare a confrontarsi sulle realizzazioni avviate, per costruire e ricostruire una cittadinanza europea aperta alle sfide del mondo moderno. Nei fatti oggi ci troviamo tutti a vivere in una fase di passaggio, di accresciute interdipendenze e di mutamenti talora preoccupanti, nella quale cambiano gli assetti internazionali e i rapporti tra popoli e paesi, spesso avvicinati anche dalle migrazioni internazionali, mentre in situazioni di accresciuto benessere è aumentata l’aspettativa media di vita e si vengono intimamente ridefinendo i rapporti tra uomo e donna tra generazioni, tra persone in diverse condizioni umane, sociali, politiche, culturali e religiose. E’ la stessa costruzione e ricostruzione della cittadinanza che viene ad essere sfidata da più parti e in più direzioni: da un lato a riconoscere le nuove possibilità, elaborando patti capaci di ancorarle con fermezza al quadro dei diritti umani e della legalità democratica, dall’altro lato, e al tempo stesso, a trovare forme e modi per assorbire e ridurre le tensioni che crescono all’interno e nei rapporti con l’esterno, senza che queste degenerino in illegalità e violenze né nei nuovi venuti, né verso di loro o tra quanti sperimentano il disagio dei mutamenti in atto. Il coinvolgimento degli immigrati nella progettazione e nella implementazione degli interventi in campo normativo ma anche di politica sociale è un passo inevitabile per evitare scelte demagogiche e miopi. Tale coinvolgimento è importante a partire dal contesto urbano per arrivare poi al ripensamento dell’agire dell’amministrazione centrale. La Chiesa in Italia sente oggi la necessità di misurarsi nuovamente con la realtà dell’immigrazione, incoraggiando la partecipazione degli immigrati nelle scelte di politica sociale e orientando con la responsabilità che le è propria, le coscienze verso le ragioni e la pratica dell’accoglienza e della solidarietà. Essa è, infatti, convinta che occorre, nell’Europa unita, uno sforzo eccezionale, di ogni uomo e di ogni donna, di ogni gruppo e istituzione o agenzia culturale, per costruire motivazioni e comportamenti, che sappiano svuotare alla radice i sentimenti e gli atti di contrapposizione, intolleranza e razzismo presenti nel nostro Paese. Il non considerare solo la povertà dell’immigrato o le sue braccia lavoro per la nostra economia ci porta a riflettere su quello che questo fenomeno ci offre come ricchezza: un ritorno a una esperienza di fede ove la staticità, il sentirsi degli arrivati, il non sapersi mettere in discussione, sono pericoli da evitare con una pastorale più attenta ed ecumenica. Accettare questa sfida significa superare lo staticismo che spesso emerge nelle nostre comunità cristiane. Costitutivo dell’esperienza di fede, invece, è l’essere in cammino, come esuli alla ricerca di una terra, come pellegrini alla ricerca di un senso che trascenda i nostri stessi sforzi. Allora la fede diviene “dono” da condividere con tutti.


(Enrico Vendrame, specialista in istituzioni e tecniche di tutela dei diritti umani)