NUOVE FRONTIERE PER LA COOPERAZIONE DECENTRATA

Il disegno di legge ‘Delegaal Governo per la riforma della disciplina della cooperazione dell’Italia con i PVS‘, è finalizzato alla necessità urgente di ridurre lo squilibrio tra Paesi ricchi e Paesi poveri. Inoltre, nella definizione della nuova agenda politica si riconosce l’opportunità di contrastare il terrorismo internazionale attraverso il miglioramento delle condizioni di miseria ed umiliazione che, in taluni casi, contribuiscono al diffondersi di atteggiamenti di odio e violenza. Il percorso proposto si inserisce nell’ambito degli impegni assunti dalle Nazioni Unite, con l’approvazione della Dichiarazione del Millennio, dalla Banca Mondiale ed in linea con quanto emerso dalla Conferenza Internazionale sul finanziamento per lo sviluppo di Monterrey (2002). Pertanto la politica di cooperazione allo sviluppo è andata sempre più caratterizzandosi come componente sostanziale nei rapporti internazionali, “trasformandosi” in elemento chiave nella strategia della politica estera di ciascun Stato. Per tali ragioni sia l’Unione Europea che il governo italiano hanno avviato un nuovo approccio alla politica di cooperazione allo sviluppo.

La modifica degli attuali assetti normativi in materia di cooperazione allo sviluppo è quanto mai una priorità, visto che le mutate esigenze sopra citate non possono trovare totale rispondenza e accoglimento nella legge 26 febbraio 1987, n. 49, nata dalla esigenza di riqualificare, in un quadro normativo rinnovato, le esperienze e le attività realizzate dal Dipartimento per la cooperazione allo sviluppo del Ministero degli Affari Esteri istituito con legge 9 febbraio 1979, n. 38, e dal Fondo aiuti italiani operante in forza della legge 8 marzo 1985, n. 73 (entrambe le leggi sono state abrogate dalla citata legge n. 49 del 1987).

L’intervento normativo è ritenuto necessario anche per adeguare il sistema di cooperazione dell’Italia ai modelli già operanti nella maggior parte dei Paesi europei, delineando un nuovo sistema di organizzazione delle strutture preposte alla gestione ed alla esecuzione degli interventi, attraverso l’istituzione della Agenzia per la cooperazione allo sviluppo e la solidarietà internazionale, organismo di diritto pubblico con piena capacità di diritto privato, che attua gli indirizzi e le finalità della politica di cooperazione stabiliti dal Ministro degli affari esteri o dal vice-Ministro delegato, cui è attribuito il potere di controllo e vigilanza sull’attuazione della politica di cooperazione.

Il disegno di legge intende quindi perseguire l’obiettivo di garantire che la politica di cooperazione allo sviluppo sia orientata al miglioramento delle condizioni economiche, sociali, culturali e di vita delle popolazioni dei PVS, alla lotta alla povertà e alla discriminazione di genere, alla promozione dei diritti umani, dei processi di conferimento di poteri e di responsabilità alle donne, della solidarietà internazionale e della pace e alla tutela dei beni comuni, dell’ambiente e del patrimonio culturale e, sia ispirata ai princıpi e alle raccomandazioni delle Nazioni Unite, in coerenza con la normativa comunitaria vigente in materia.

I decreti legislativi adottati dal Governo dovranno altresì disciplinare l’organizzazione e le attività dell’Agenzia, prevedendo che alla nuova struttura sia affidato il compito di attuare la politica di cooperazione allo sviluppo e di solidarietà internazionale e, in sede di pianificazione delle strategie operative e degli interventi, quello di assicurare la coerenza con gli indirizzi e le finalità previsti, di tutte le iniziative di cooperazione allo sviluppo, incluse quelle proposte e finanziate dalle regioni e dagli Enti Locali.

Il mutamento dei contesti chiede alla cooperazione allo sviluppo un nuovo orientamento dei suoi approcci e delle sue politiche, strategie, forme d’azione, assetti organizzativi e processi decisionali. È alla luce di questa situazione plurale che si può comprendere l’importanza della cooperazione decentrata, che prende corpo nella seconda parte degli anni ’90, e che fa della multi-attorialità e dei rapporti che si vengono a creare, la sua caratteristica costitutiva. La cooperazione decentrata, in altre parole, diventa il teatro privilegiato in cui la nuova pluralità degli attori trova espressione. Laddove la cooperazione internazionale non è riuscita a dare pienamente voce a questo pluralismo, quella decentrata, attraverso un approccio processuale, il negoziato, la convergenza e complementarietà degli interessi e delle vocazioni all’interno di un territorio e tra due o più territori che condividono problematiche analoghe e una stessa visione dello sviluppo, riesce a far interagire amministratori locali e funzionari, professionisti dei servizi sociali, operatori di Associazioni professionali e volontarie, ong, accademici, fondazioni, partiti e movimenti politici-religiosi-culturali, imprenditori sociali del Nord e del Sud.

La cooperazione decentrata esprime in questo modo la vocazione a dar forma ad una nuova concezione di partenariato, simmetrico che unisce non singoli individui, ma territori intesi come spazi relazionali, di conflitto ma anche di possibile azione comune tra i diversi soggetti che in essi agiscono e incidono. È quindi la sua essenza che le permette di captare le grandi questioni cui dà centralità la globalizzazione: la ridefinizione del locale e l’importanza di nuove forme di democrazia, la centralità del rapporto pubblico-privato e dell’intreccio locale-nazionale-internazionale, l’esigenza di ridefinire il concetto di sviluppo in quello di co-sviluppo. Essa si muove tra l’appoggio al decentramento politico-amministrativo, ai processi di partecipazione democratica, al ruolo attivo delle comunità locali, in base al principio della sostenibilità, nei diversi settori di intervento.

La cooperazione decentrata abbraccia una visione multidimensionale e multidirezionale dello sviluppo, inteso come co-sviluppo; inoltre essa non esclude altre forme di cooperazione che anzi interpella e integra nella sua logica pluriattoriale. I problemi fondamentali con i quali si confronta e ai quali cerca di dare risposta, riguardano il difficile passaggio dalla proclamazione dei principi, dei quali deve accertare la coerenza, alla loro concreta realizzazione, con un particolare interesse a tessere relazioni con le sfere della politica e dell’economia impostate sulla compatibilità reciproca e quindi tali che le permettano di preservare la propria mission evitando di scadere in mero strumento nelle mani dell’una o dell’altra.

Queste sono ad oggi le caratteristiche generali e le sfide più importanti della cooperazione decentrata allo sviluppo, un universo in continua evoluzione le cui potenzialità sono ancora in parte latenti. L’attenzione per la creazione e messa a punto della nuova cultura dello sviluppo risulta a maggior ragione cruciale per le Autonomie locali che, rafforzate dal crescente processo di pluralizzazione dello stato, pur condividendo con quest’ultimo le forme di legittimazione e rappresentanza, possono vantare un rapporto più stretto con il territorio. Alla luce della rilevanza assunta sulla scena internazionale dalle Autonomie locali sarà quindi decisivo curare la formazione del proprio personale al fine di mettere in atto tutte le potenzialità ancora implicite e realizzare così nuove e più efficaci strategie di sviluppo. I mutamenti nello scenario internazionale, come la punta di un iceberg, implicano un ben più profondo rivolgimento che tocca i valori, gli assi portanti, cioè, dell’intera galassia della cooperazione allo sviluppo. I due aspetti, come facce di una stessa medaglia, non possono essere scissi: solo considerandoli nella loro complementarietà, infatti, la cooperazione può far fronte alle sfide lanciate dalla globalizzazione elaborando piani e procedure d’azione democratici che comportino un reale sviluppo per tutti i soggetti coinvolti. Il piano etico rappresenta quindi un “serbatoio” imprescindibile per ogni scelta che non voglia risolversi in mera retorica e perpetrazione delle disparità, disuguaglianze ed ingiustizie globali.

Gli elementi che rendono “vincente” e dunque appetibile, perché adeguata alle sfide della globalizzazione, la cooperazione decentrata, vanno ricercati in alcuni tratti comuni che ricorrono all’interno dei differenti contesti in cui viene adottata. Prima di tutto essa àncora le politiche allo sviluppo al territorio in base alle diversità locali; in secondo luogo, attraverso le sue metodologie, valorizza la partecipazione economica, sociale e politico-istituzionale; tende inoltre ad abbassare la conflittualità tra gli attori attraverso lo strumento del dialogo; supera il gap tra interventi micro e macro in base ad un approccio territoriale capace di coordinare i diversi donatori internazionali; riesce a riformare lo stato nella direzione del decentramento e della democratizzazione attraverso il rafforzamento dell’autonomia dei poteri locali, il negoziato politico e l’incremento della capacità amministrativa dello stato; favorisce la pacificazione e la democratizzazione adottando modalità di cooperazione meno rigide e stabilendo un continuum tra emergenza e sviluppo; assicura, infine, la sostenibilità dei processi di sviluppo con interventi basati sull’interazione tra attori istituzionali, economici, sociali, locali, nazionali e internazionali guidati dal principio di sussidiarità.

È altresì vero che i Comuni e le Province sono stati spesso in passato relegati a compiti secondari nel panorama internazionale. Poco saggiamente non è stato dato ascolto al fatto che la cooperazione decentrata italiana coglie il dinamismo che investe i diversi settori del paese e, per le sue caratteristiche strutturali, riesce a modularli mettendo in atto una molteplicità di soluzioni vincenti. Esiste, infatti, un folto repertorio di strumenti di concertazione, coordinamento, collegamento e gestione già sperimentati e in grado di permettere e facilitare il passaggio dalla retorica dei principi all’operatività. La condivisione delle politiche e dei piani di sviluppo attraverso lo strumento della concertazione, l’eterogeneità degli interessi, la composizione mista, il bagaglio delle esperienze passate come patrimonio per la soluzione dei conflitti, l’apprendimento come working in progress facente perno sul dialogo, il confronto e la tolleranza, rappresentano gli strumenti fondamentali attraverso i quali la cooperazione decentrata esprime il suo potenziale.

Essa si inserisce e integra la democrazia rappresentativa nel momento in cui amplia gli spazi di partecipazione e i rapporti tra società civile, governi locali e nazionali, rispondendo, al tempo stesso, alla domanda di maggiore responsabilità. Sostenendo lo sviluppo nei vari settori, sanitario, educativo, economico, territoriale, culturale etc., essa svolge il fondamentale ruolo di portare a consapevolezza sul carattere problematico dello sviluppo come trasversale alla distinzione Nord-Sud e di mettere in luce le asimmetrie esistenti nei rapporti, traducendole in relazioni paritarie nonché di trasformare le disuguaglianze in diversità. Nonostante sia indubbio il valore di un simile potenziale, quello della cooperazione decentrata rimane un campo ancora inesplorato con alcune zone d’ombra che è necessario portare a consapevolezza ed affrontare. L’introduzione di normative regionali per la regolamentazione delle attività di cooperazione, alla luce di quanto esposto, rimane una variabile positiva ad uno sviluppo omogeneo e progressista della cooperazione decentrata. Tuttavia, il carattere invasivo e la mancanza di sinergie progettuali e transterritoriali inficia negativamente sui risultati ottenuti da parte degli organi preposti. In contesti dove il dibattito è avanzato, ad esempio Regione Toscana ed Emilia Romagna, si è tentato di sopperirvi attraverso la definizione di criteri geo-politici e la formazione di tavoli di coordinamento ed analisi. Anche in questo caso, il miglioramento delle azioni resta vincolato ad una iniqua disponibilità economica (i fondi a disposizione non permettono un regolare svolgimento metodologico dei progetti ma privilegiano gli aspetti di visibilità) e all’introduzione di canali “privilegiati” di gestione delle donazioni (nei confronti di taluni soggetti rispetto ad altri). Il pericolo insito in tali approcci è una evidente personalizzazione della cooperazione decentrata pur, introducendo una maggiore professionalità delle componenti di fund raising e comunicazione. Il problema delle regole di funzionamento ancora deboli, vulnerabili al mutamento dei quadri politici, la diseguale distribuzione sul territorio a causa del differente rapporto tra Autonomie locali e società civile e della loro visione divergente sullo sviluppo e cultura politica, rappresentano punti deboli sui quali occorre lavorare congiuntamente. E’ necessario non obliterare i princìpi costituzionali cui la disciplina della cooperazione allo sviluppo soggiace. In particolar modo, è evidente come la complessità degli obiettivi di una ambiziosa politica di cooperazione induca a ritenere necessario il coinvolgimento nella stessa, quali attivi protagonisti, di soggetti istituzionali diversi ed ulteriori rispetto allo Stato centrale, primi tra tutti le regioni, province e comuni. Siffatta partecipazione, riconosciuta nel testo del decreto (art.2 principi generali e criteri direttivi) pone peraltro il problema, mai concretamente affrontato, del riconoscimento di un’istanza di coordinamento, necessaria ad assicurare che le singole iniziative di cooperazione costituiscano strumento di realizzazione di una unitaria politica di cooperazione ma, anche un effettivo elemento di innovazione, professionalità, cultura, in sintesi un valore aggiunto, di cui abbiamo accennato in precedenza.

L’introduzione di processi di concertazione e consultazione già stabiliti nel decreto n.281 del 1997, vada in tal senso allargato e riformulato alla luce di quanto detto. È inopinabile, come chiaramente descritto al menzionato art. 2 della proposta, il dover  riconoscere il ruolo e la funzione della cooperazione decentrata quale strumento di partecipazione attiva delle comunità territoriali per il perseguimento delle finalità della legge.

Enrico Catassi