[di Giuseppe Zambon ed Eliano Zigiotto • 21.01.01] Due ottobre, ore 17.00. Incontriamo padre David nella casa di don Adami. Pensavamo di averlo finalmente tutto per noi. Invece è di là, affaccendato come sempre: articoli, interviste e incontri, sempre tanti incontri con persone che vogliono anch'esse accoglierlo, ascoltarlo, parlargli un attimo. Ogni volta così. Poi appare sulla soglia e ritroviamo improvvisamente un uomo di 69 anni, rughe e acciacchi gli scavano il volto. Eppure è ancora lui, la voce che rumina e tuona è la stessa, inconfondibile, e ci rinfranca. E' stata una conversazione tra amici, ci ha ascoltato con pazienza e parlato con franchezza. Non volevamo noi fargli pesare troppo il tempo con i nostri eterni problemi. Ma è grazie a uomini come lui se la speranza è ancora viva tra questi giovani che affollano il sagrato della chiesa di San Zeno per ascoltarlo. E ascoltare le poesie dalla sua viva voce, la stessa sera, non è stato facile, troppo forte la commozione e l'impatto con le nostre coscienze. Nessun grido, stavolta. Soltanto un canto, ora amaro ora dolcissimo, che redime il tempo e lo salva dall'usura degli uomini. Abbiamo pensato di pubblicare integralmente l'intervista, come omaggio a Turoldo e a tutti i lettori che con noi condividono il suo biblico messaggio di speranza e di pace. Grazie, David.

OMAGGIO A PADRE DAVID MARIA TUROLDO

Perché poeti nel tempo della miseria? Che senso ha evocare/invocare la Parola quando le parole vivono pellegrine in una terra di nessuno?
La parola è creatrice, la parola è virtù e potenza. Cristo è la parola vivente, non si può fare senza la parola. Anzi, è nel tempo della morte, nel tempo del silenzio, che è urgente la parola. Credo che sarà una parola a salvarci nella misura in cui è una parola vera e autentica detta nel tempo giusto, “opportune importune” dice la Bibbia, che opportunamente e inopportunamente sprona, richiama, sferza, grida. La voce che grida nel deserto è sempre stata leale. Anzi più si fa deserto, più è necessaria…
Sai, cosa – qui è necessario dire “la” parola, invece di molte parole. Qui è necessario arginare il fiume delle parola, cominciare per esempio a richiamare i politici a fare un discorso che sia identificabile, che sia verificabile, perché tutti i politici parlano e fanno lo stesso discorso: tutti parlano di pace e intanto ti fanno le guerre stellari; tutti parlano di giustizia e poi ti danno le stangate sui poveri e saranno sempre i poveri a pagare le tasse; parlano di socialismo e invece non c’è nulla di socialismo. Si tratta allora di riscoprire l’autentica parola contro il mare delle parole e quindi a maggior ragione è necessario il poeta, è necessario il profeta, è necessaria la voce che grida nel deserto. Anzi, senza di questo, siamo perduti!Certo, l’impresa è improba, il compito è sempre più difficile e rischi di non essere creduto, anche tu puoi franare nel mare delle parole ed essere una parola fra le tante. Tuttavia, a maggior ragione, devi uscire dalla maturazione del silenzio. Mi viene in mente quel monaco che stava sempre sulla collina per ritrovare il senso della contemplazione e del silenzio – ma è un altro silenzio, questo, è un altro modo di essere presente. Dice la leggenda che in un monastero c’era un monaco murato da anni e anni dentro una cella che viveva in contemplazione assoluta e in assoluto silenzio. Sennonché un giorno scoppiò un immenso incendio che stava per avvolgere tutto quanto il monastero. I confratelli non sapevano come avvisare il monaco che viveva da eremita. Finalmente, attraverso urla e grida, si son fatti sentire ” Padre, padre, il monastero brucia” e il Padre uscì calmo e sereno, pronunciò una sola parola e le fiamme si ritirarono. Era la parola maturata in anni di silenzio che spense l’incendio. Forse forse, noni non abbiamo ancora maturato la vera parola per spegnere l’incendio che tutti ci minaccia. Ho paura che siano troppe le parole, ma nessuna maturata in questo profondo silenzio.

E’ ancora tempo di monaci?
Sì, anzi è sempre più tempo di monaci. Vedi, il monaco è contemplativo. Il contemplativo in antico era colui che possedeva uno strumento per misurare il valore delle cose. Questo strumento era come un quadrato e l’aruspice si concentrava nel centro che era attraversato da fasce di linee convergenti: era uno strumento per la concentrazione del pensiero. Poi, perché l’aruspice non fosse disturbato, ecco che allargano lo spazio e fanno su di lui una specie di riparo. Attraverso quello strumento egli veniva a conoscenza dell’altezza, della profondità, della larghezza, cioè della misura delle cose. La contemplazione è lo strumento per misurare il valore delle cose, il senso delle cose. Ho paura che noi abbiamo perso questo strumento della contemplazione e allora non sappiamo più misurare le cose. E così stimiamo importanti cose che non hanno invece alcuna importanza e consideriamo di nessuna importanza cose invece importantissime. Come dice Bonhoeffer, le verità ultime che diventano le penultime e le penultime che diventano ultime,  e quindi è spostato tutto quanto l’asse della vita, ti copri di idoli e non hai mai il senso ultimo delle cose, il senso dell’assoluto. Il monaco è quello che ha (o dovrebbe avere) ancora lo strumento della misura delle cose, lo strumento della contemplazione.

Si può essere monaci senza chiesa?
Si capisce! Il monaco non è quello che ha o non ha una chiesa, il monaco è quello che cerca continuamente l’assoluto. Non è tanto quello che vive solo, perché io posso essere monaco nella battaglia – “Monacus in proelio et milis in castro” dice un detto latino, il monaco è quello che cerca il valore ultimo delle cose. Si chiama monaco perché ha solo Dio, non perché sta solo.

C’è malessere nelle parrocchie e molti cristiani vivono ancora alla ricerca del senso ultimo delle cose, però fuori della Chiesa.
Va bene, possono avere tante ragioni e comunque sono cose su cui riflettere, perché non tutti i praticanti sono credenti e non tutti i credenti sono praticanti. La fede non combacia mica con la chiesa, la chiesa non combacia mica con la fede, o comunque non la esaurisce.

Ma può vivere un cristiano senza chiesa?
Ma il cristiano è per se stesso uno che non sta bene finché non sta bene suo fratello. Il borghese invece, ideologicamente borghese, è quello che se ne infischia del fratello, basta che stia bene lui solo. Quindi uno è individualista e l’altro è comunitario. L’uomo stesso e comunitario, la vita è sempre un rapporto e tanto più un cristiano deve essere sempre più un comunitario, qualunque cristiano. Non confondiamo adesso il fatto chiesastico, che è un fatto storico preciso, con il fatto comunitario: sono due aspetti ben diversi. Insomma, non è una novità. Posso dire che ho avuto migliaia di volte anch’io la tentazione di andarmene. Soltanto, andarmene dove? e per che cosa? C’è della gente che sbatte la porta e va fuori, io invece sbatto la porta e sto dentro. Ma appunto proprio perchè non mi soddisfa essere dentro, cerco di rimediare le cose. Prima di tutto perché non sono mai soddisfatto di me stesso, perché poi bisogna sempre cominciare da sé stessi. Chi può dire di essere in linea, insomma, di essere coerente, di essere ai propri occhi rispettabile? Io ho talmente davanti a me i miei limiti, che prima di occuparmi dei limiti degli altri ne ho abbastanza dei miei. Ma questo vale per me! E non basta soltanto avere la fede, bisogna avere anche la fedeltà. Io dico che la fedeltà è sempre la corona di spine intorno al capo di Cristo, è la fedeltà che ti porta sulla croce. Perciò io sono contento di avere non soltanto la fede, ma anche la fedeltà, e di starmene dentro. Detto questo, che vale per me, posso capire gli altri. E anche da questi che se ne vanno perchè non trovano risposte, io voglio trarre motivo per dire, beh, cerchiamo di cambiare e di renderci più credibili.

Come vedi il movimento per la pace…
E’ un segno dei tempi. Per me sono segni dei tempi il movimento per la pace, la liberazione della donna… Naturalmente vanno capiti, vissuti, interpretati. Anzi, vuoi che ti dica – saremo giudicati tutti sul crinale della pace e della giustizia, tutti, chiesa o non chiesa, tutti! Soltanto l’incoscienza può permetterci di vivere un po’ tranquillamente. Tant’è vero che in uno scritto intitolato “Gufi come angeli – i gufi sono l’immagine dei monaci che vegliano nella notte: perciò i gufi hanno quegli occhi grandi, per vedere nella notte e avvertire gli uomini dell’imminente distruzione – dicevo: “O uomo, beata incoscienza ti assista!” Solo nell’incoscienza si può vivere tranquillamente sotto questi regimi politici criminali, come dice un documento della chiesa: gente che pensa alle guerre stellari, a sempre nuovi armamenti, quando ci sono tonnellate di tritolo per ogni individuo nel mondo; gente che consuma tutte queste forze, tutte queste ricchezze per la distruzione e sempre più spietatamente per uccidere, quando ci sono uomini che muoiono per fame, quindi consumando i beni che sono dei poveri. Ma queste sono follie! Queste sono criminalità! Soltanto l’incoscienza può permetterci di vivere tranquillamente. Anzi, io non accetto nessuna di queste politiche se non sono politiche di pace. E il movimento per la pace è il movimento più profetico che ci sia, è il campanone che suona e suona da tutte le parti. Perché io posso essere sì un cristiano, ma mi metterò sempre con quelli che cercano la pace, comunque, senza paura di strumentalizzazioni. Non c’è mai nessuno che sia così strumentalizzato come un cristiano, e nessuno come un santo… pensa a Sant’Antonio! Per questo io non riesco assolutamente a pensare un cristiano che non sia per la pace, comunque e con chiunque è per la pace!
Come hai trovato le poesie dei ragazzi di Monteforte che hanno partecipato al concorso di Desio? (vedi Nordest n. 7/1985)
Sono molto contento di essere stato insieme con Spinella e Porta nella commissione incaricata di premiare le poesie per la pace in una manifestazione indetta dalla biblioteca comunale di Desio (Mi). E devo dire che abbiamo immediatamente concordato di dare il premio alla classe di Monteforte, perché siamo stati subito colpiti dalla levatura dei testi, dalla limpidezza, dalla coralità, veramente una cosa esemplare! E questo ci è parso come un fatto molto educativo. Anzi, è dalla scuola che bisognerebbe cominciare, a partire dalle elementari, direi quasi dal seno materno, a essere educatori della pace e per la pace. Ci siamo letti i testi scritti dai ragazzi con vera gioia e questo lo puoi dire ai tuo scolari. Ve ne ringrazio!


L’intervista che segue è stata pubblicata dal mensile Nordest nell’ottobre 1985. Un messaggio di speranza e di pace.