[di Barbara Fabiani • 08.02.03] La Nestlè ha ceduto. La multinazionale elvetica aveva richiesto all'Etiopia, Paese minacciato dalla carestia, un risarcimento di 6 milioni di dollari per l'espropriazione nel 1975 di un'azienda alimentare, l'Elidco, per altre vie inglobata nell'holding svizzera.

PRESSIONE INTERNAZIONALE COSTRINGE LA NESTLE’ AD ABBASSARE LA TESTA

La Nestlè ha ceduto. La multinazionale elvetica aveva richiesto all’Etiopia, Paese minacciato dalla carestia, un risarcimento di 6 milioni di dollari per l’espropriazione nel 1975 di un’azienda alimentare, l’Elidco, per altre vie inglobata nell’holding svizzera. Quarantamila lettere di protesta in seguito a una campagna di controinformazione guidata dalla ong inglese Oxfam e da un prestigioso quotidiano inglese, hanno convinto il colosso ad accontentarsi di 1 milione e mezzo di dollari (prima offerta di Adis Abeba per risolvere il contenzioso). Ieri, rappresentanti della Nestlè e del governo etiope, alla presenza di delegati della Oxfam, hanno sottoscritto un’intesa. I portavoce della multinazionale hanno tenuto a precisare che l’ammontare del risarcimento verrà reinvestito nel poverissimo Paese in programmi di lotta alla fame. Un bel gesto per un management che tre mesi fa aveva puntato i piedi all’insorgere delle prime vibranti proteste provenienti dalla società civile, sostenendo che il risarcimento fosse “una questione di principio” e che era nell’interesse dell’Etiopia assolvere al suo debito per non scoraggiare altri investitori stranieri. “E’ una grande vittoria che dimostra come neanche la Nestlè sia immune dalla pressione della pubblica opinione”, ha commentato Phil Bloomer dell’ong inglese. Una vera novità, si potrebbe aggiungere, dato che la multinazionale svizzera (fondata nel 1866) non ha mai ceduto a sollecitazioni di questo genere, benché contro di essa siano state avviate numerose campagne di boicottaggio, in particolare per le aggressive politiche commerciali finalizzate alla diffusione del latte in polvere nei paesi in via di sviluppo (a scapito di un ben più benefico allattamento al seno materno). “Ora la Nestlè deve provare che la decisione presa non sia solo un esercizio per salvare la faccia. Deve dimostrare il suo impegno etico combattendo la povertà in Etiopia dalle sue radici”, ha sottolineato Bloomer. L’Oxfam suggerisce alla multinazionale, che trae il 40% dei suoi profitti dal caffè solubile, di fare il primo passo pagando ai produttori di caffè etiopi un prezzo più equo per i loro raccolti. Una delle cause della crisi economica in cui versano questo come altri Paesi africani è stata la svalutazione del caffè, il cui prezzo sul mercato internazionale è calato del 50% in tre anni. Lo scontro Nestlè-Adis Abeba riporta all’attenzione la questione dell’assolvimento degli impegni verso creditori privati da parte di Paesi fortemente indebitati. Il programma Hipc “Heavily Indebted Poor Countries”, adottato nel 1996 al Vertice G7 di Lione, prevede la possibilità di una rinegoziazione dei debiti contratti con istituzioni finanziarie internazionali e governi. Non è previsto, invece, alcun meccanismo che faccia lo stesso per i debiti contratti con imprese e istituti di credito privati. Questi ultimi dal 1985 sono riuniti nel cosiddetto ‘Club di Londra’, organismo privo di una personalità giuridica, che fino ad oggi non ha prodotto proposte paragonabili all’iniziativa Hipc.