[di Francesco Comina • 23.08.01] Articolo di Francesco Comina apparso il 23 agosto su "Il mattino di Bolzano" con riferimento alla giornata dell'Onu contro la schiavitù.

SCHIAVITU’ – ELISABETH, ANNA E TUTTI NOI

Ieri era il giorno di Elisabeth, 22 anni, venuta dalla Nigeria con la promessa di un posto di lavoro sicuro. Nel suo paese faceva la cuoca, insieme a sua mamma, ma i soldi non bastavano e qualcuno, molto affidabile, l’ha inviata in Italia con un prestito di quaranta milioni. La “padrona” l’ha accolta a braccia aperte, l’ha rinchiusa in uno stanzino, le ha stracciato i documenti e l’ha buttata sulla strada. A Rimini, sul lungomare, i maschi si fermano e il lavoro non manca. Ogni notte Elisabeth vende il suo corpo con l’obbligo di portare “a casa” un milione di lire. Nessuno sente il suo grido disperato, Elisabeth e’ una schiava, una carcassa di carne, uno strumento, un nulla (la sua storia e’ raccolta nel dossier sulla schiavitu’ della Comunita’ di don Oreste Benzi). L’Onu ieri ha ricordato le vittime di quei trecento anni che che hanno incatenato l’Africa alle navi degli schiavisti inglesi, francesi, olandesi, portoghesi. I negri piu’ forti, piu’ belli, piu’ potenti, piu’ sani sono stati rastrellati nelle citta’ e nelle campagne; il bianco li ha comprati con l’inganno per pochi fiorini e li ha traghettati nel “nuovo mondo” mettendoli all’asta a prezzi maggiorati. E il negro e’ stato frustato, malmenato, buttato nelle piantagioni per far bello il raccolto e poi e’ stato ucciso senza pieta’. Le statistiche parlano di 30 milioni di uomini, donne e bambini finiti a quel modo. Dal 1600 al 1865 – anno in cui si decreta la fine legale della schiavitu’ – il commercio della carne umana e’ stato ingrassato dalle leggi della domanda e dell’offerta, e’ stato coperto dalle speculazioni etiche e filosofiche, e’ stato legittimato dal diritto internazionale ed e’ stato benedetto dalla “teologia sacrificale”. Oggi che nessuno si azzarda piu’ a riproporne la formula (anche se l’humus razzista coltiva i campi di una certa politica), gli uomini “cosa” sono dappertutto, anzi, sono fra noi, nelle nostre periferie urbane, nei crocicchi delle nostre strade metropolitane, sui treni notturni e sugli scaffali dei supermercati ricolmi di prodotti elaborati negli scantinati del lavoro coatto. Anna e’ morta stroncata dall’Aids dopo essere stata costretta a vendere il suo corpo al night. Non l’aveva mai fatto, ma i padroni che l’hanno presa in consegna le hanno messo davanti la sola alternativa possibile: vivere vendendosi o morire conservandosi. Si e’ lasciata andare al pianto della sua storia africana, ai racconti che la mamma le aveva fatto di quei carichi di antenati-schiavi in partenza per un destino ignoto. Si e’ lasciata andare al flusso di una vita negata per sempre, a lei e ai suoi fratelli in Nigeria, Uganda, Sudan Kenya, Senegal, Rwanda, Zimbabwe, Sierra Leone, Madagascar…: un continente alla deriva, pigiato nel cunicolo delle terre dimenticate e soggiogate dai ritmi di crescita dello “sviluppo” dei padroni che tengono fra le mani le leve dei destini umani: “La maggior parte del Terzo Mondo – ha scritto ieri il nobel per la pace Desmond Tutu su “Repubblica ” – e’ stremato sotto il peso del piu’ invalidante e stremante debito internazionale. Le statistiche sono impressionanti: in Etiopia 100.000 bambini muoiono ogni anno di malattie facili da prevenire, mentre il governo spende per ripagare il debito quattro volte quello che spende per la spesa sanitaria. (…) I Paesi poveri sono costretti alla poverta’, all’ignoranza, alla malattia, alla fame e alla morte…”. Elisabeth e Anna, sono le schiave figlie di terre schiave. Ma intorno a loro si muove un oceano di dannati, che getta solo un lieve sospiro sulle cancellerie mitteleuropee, sulle stanze del Vaticano occupate dalla love story di Milingo, sui vertici della Fao o sulle riunioni consultive della Nato. In India la serva Kavitha ha appena 12 anni e lavora dalle cinque del mattino alle dieci di sera. Un giorno, nell’accendere il fuoco, Kavitha viene avvolta dalle fiamme che la coprono fino al volto. Non puo’ pagarsi le cure mediche e il padrone la molla al suo destino di morte. In Peru’ Carlos ha 17 anni e lavora dalla mattina alla sera come spaccapietre nelle profondita’ della miniera, che durante la conquista ha sfinito i muscoli dei negri trapiantatati. In Pakistan, India e Nepal sono un milione i bambini immobilizzati ai telai di proprieta’ dei mercanti di tappeti. Sono schiavi acquistati sotto il giogo del debito: per liberarsi devono pagare il riscatto. Nel giorno in cui l’Onu ricorda le vittime della schiavitu’, mi sforzo di ascoltare il grido disperato dei nuovi servi. Ma l’eco degenera in rimbombo e il chiasso sovrasta ogni voce e ogni lamento. Avverto appena il cumulo delle storie: bambini schiavi in divisa costretti a uccidere i coetanei dell’altra etnia, ragazze che portano pesi sovrumani senza fiatare, meniños de rua rifiutati da tutti, mini braccianti, servi al servizio dei ricchi… Ognuno di questi piccoli ha un nome e un cognome, ma nel vocabolario corrente dell’umanita’ sono tutti omonimi: sono schiavi. Ricordiamoli.


Francesco Comina, giornalista e saggista, pacifista nonviolento, e’ impegnato nel movimento di Pax Christi. Nato a Bolzano nel 1967, laureatosi con una tesi su Raimundo Panikkar, collabora a varie riviste. Opere di Francesco Comina: Non giuro a Hitler, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2000. Ha partecipato alla redazione del libro di AA. VV., Le periferie della memoria; e a AA.VV., Giubileo purificato. Per contatti: [email protected]].