[di Enrico Vendrame (Treviso) • 08.04.02] Abbiamo incontrato a Sarajevo nei giorni scorsi il vescovo ausiliare mons. Pero Sudar e insieme ci siamo confrontati sulla vita pastorale e sugli scambi tra Chiese vicine. “In Bosnia” – ci dice – “la Chiesa ha una missione difficile, ma importante: quella di far coraggio, di promuovere i valori che devono sopravvivere nonostante le tante prove e di prospettare un futuro di pace”. Si prova una forte emozione nell’incontrarlo perché ha una straordinaria capacità di leggere in profondità i fatti e perché in una terra martoriata dalla guerra il Gesù di Nazaret chiede di servire l’uomo e l’uomo povero innanzitutto. 

SEMI DI SPERANZA DA SARAJEVO

Vivere a Sarajevo, oggi
Mons. Sudar ci racconta delle difficoltà di vivere a Sarajevo a sei anni dalla fine dell’assedio. Mentre nel centro-città nella Ulica Ferhadja fioriscono boutique di lusso, nelle strade accanto la gente vende un po’ di tutto. All’osservatore esterno appaiono grandi differenze tra i vari quartieri della città e mentre i “nuovi ricchi” bosniaci a bordo di jeep o macchine lussuose scorazzano per la città si nota che non pochi sono i bambini che chiedono l’elemosina invece di frequentare la scuola. E’ difficile dire come vive la gente a Sarajevo e quanta sia, perché a Sarajevo come in tutta la Bosnia-Erzegovina c’è una grandissima varietà etnica e molti sono quelli che hanno dovuto abbandonare le loro case. Dinanzi a questa situazione più di qualcuno oggi sembra rimpiangere i tempi dell’assedio perché durante la guerra tutti erano uguali e le organizzazioni umanitarie distribuivano generi alimentari. Oggi, anche coloro che lavorano per l’economia locale prendono un salario insufficiente quando lo ricevono, a meno che non abbiamo la fortuna di lavorare per le organizzazioni straniere. Per coloro che non lavorano la vita quotidiana è molto dura. Questa situazione spaventa e la Chiesa bosniaca si chiede come poter contrastare la disgregazione e l’individualismo. Patire, restare, trovare un lavoro. Sono questioni che lacerano numerose famiglie. Mons. Sudar ci dice con forza che “Sarajevo è la frontiera per costruire la pace in Europa” e ci pone l’interrogativo se anche per noi non sia giunto il momento di chiederci se l’Europa dopo Dayton stia vivendo la vera pace.

Chiesa tra promozione della pace e impegno sociale.
Il mondo occidentale non può continuare a fare la gara con il mondo islamico sulle ideologie, ma deve cercare e costruire dei percorsi di convivenza. E’ il Vangelo che chiede ai cristiani di costruire una società più giusta in Bosnia-Erzegovina, così come in Italia e nelle altre parti del mondo. “La pace non può essere protetta con la violenza”. Con parole chiare mons. Sudar ci dice che “l’unica strada che ci porta dalla ingiustizia alla giustizia, dalla pace ingiusta a quella giusta è il pensare ed operare senza la violenza. La comunità internazionale appare schizofrenica perché da un lato condanna Milosevic e dall’altro accetta il piano di spartizione (ndr. Dayton) proposto dai potenti amici dello stesso Milosevic. Per questo li ha chiamati a testimoniare nel processo che si sta tenendo all’Aja. Senza la capacità di trovare un “modus vivendi” pacifico tra i musulmani e le altre religioni non è possibile arrivare ad una pace duratura”. “La Chiesa di Bosnia-Ezegovina ha bisogno di essere sostenuta in questa sua linea di apertura anche dalle Chiese vicine per la costruzione di una pace vera, perché la missione della Chiesa universale si testimonia anche nei luoghi di confine come Sarajevo. E’ importante aiutare quelli che sono rimasti ad avere il coraggio di rimanere. Ciò vuol dire essere in contatto con la comunità e dimostrare nel tempo solidarietà e vicinanza”

Quali scambi possibili?
“Molte diocesi italiane hanno fatto la scelta del gemellaggio con una parrocchia, impegnandosi ad accompagnarla nella cita pastorale e nella vita sociale.Un’altra strada è del sostegno alle scuole interetniche che l’Arcidiocesi di Sarajevo sta promuovendo come segno di convivenza e di speranza. Grazie all’impegno della Chiesa italiana, ma anche di Caritas diocesane (come quella di Treviso) e associazioni (come le ACLI di Mirano) l’istruzione rappresenta un momento di normalizzazione per le nuove generazioni. Oggi le scuole sono un segno evidente di una nuova primavera per Sarajevo in quanto dimostrano che ragazzi di genitori che si sono odiati e combattuti a vicenda, possono e vogliono studiare e crescere insieme. La storia dell’Europa ci insegna che in tutti i momenti di crisi le terre dei Balcani sanguinavano e ogni volta quando esse sanguinavano l’Europa verificò la sua incapacità e disunione. Il fiore della speranza e dalla pace deve colorare queste terre così a noi vicine. Mons. Sudar si congeda dicendoci: “Sono profondamente convinto che il futuro della pace in Europa dipende dalla capacità di trovare una pacifica convivenza tra il mondo, che siamo soliti chiamare, occidentale e quello islamico. Bosnia ed Erzegovina possono essere non soltanto un modello ma un laboratorio di convivenza.”