Afferro una bottiglia di acqua minerale. Leggo l’etichetta: ci sono tracce di «stronzio». Scruto l’etichetta di una busta di latte per vedere se ci sono tracce di diossina: niente. Questa «parolaccia» non è citata in nessuna confezione di latte. Eppure non è escluso che si possano riscontrare tracce di diossina nel latte.
Ci sono “esperti” che minimizzano sulla questione diossina dicendo che ormai si è infiltrata ovunque e che è praticamente “normale” trovarne tracce anche nel latte. Questa “rassicurazione” non tranquillizza per nulla.
Spinge anzi a porre delle domande più generali sulla sicurezza alimentare del tipo: il latte che beviamo in che misura contiene tracce di diossina? Che effetto può produrre il fenomeno di bioaccumulazione di questo cancerogeno che entra in gran parte nel nostro corpo attraverso l’alimentazione? Conviene privilegiare il latte scremato visto che la diossina si concentra nel grasso? E poi, scusate il qualunquismo, personalmente mi chiedo anche come mai quelli che ho votato in tutti questi anni si sono occupati più del sistema elettorale che del sistema dei controlli del latte che bevevamo.
Per fortuna al controllo del latte ci hanno pensato le istituzioni europee, sulla spinta evidentemente dei popoli del Nord Europa. Dal 2006 le aziende che portano il latte sulle nostre tavole sono tenute – sulla base di un regolamento europeo – a controllare se c’è diossina. É un autocontrollo. Ma sulla confezione non posso leggere i risultati di questo autocontrollo. E non so se la diossina riscontrata è uno zero assoluto o se arriva ad esempio al 99% rispetto al limite di legge. Se lo potessi sapere, potrei fare un confronto fra le varie marche. Potrei scegliere questa anziché quella sulla base di informazioni scientifiche piuttosto che di una pubblicità in cui un signore con i baffi mi dice – come se fosse il mio maggiordomo – che mi sta offrendo il latte della Lola e che quindi è un latte «Alta Qualità». Io non voglio sapere che la mia mucca si chiama Lola, voglio invece sapere se c’è diossina o no. E vorrei andare dalla mucca Lola, come consumatore, ad assistere al prelievo del latte da parte dell’azienda che me lo porta nel negozio dove lo acquisto come «Latte Alta Qualità». E vorrei conservarne una bottiglietta – di quello stesso campione – in modo da poter fare un controllo indipendente di raffronto.
Solo così posso essere assolutamente fiducioso che quel latte il latte che bevo è proprio quello della Lola e che in quel latte la diossina non c’è o che c’è in tracce infinitesime, di cui però posso leggere i valori per fare le mie comparazioni con altre marche di latte. Solo così si può innescare una concorrenza virtuosa fra chi ci porta il latte in tavola. Solo così noi consumatori potremo scegliere non sulla base di pubblicità beffarde ma sulla base di informazioni scientifiche relative alla sicurezza alimentare. Solo così i produttori di latte sceglieranno foraggi sicuri e esigeranno un ambiente sano e non inquinato dove poter condurre le proprie attività zootecniche.
Queste problematiche non possono rimanere estranee a chi, come noi, si occupa di pace e disarmo. Lo dico non solo perché anche noi pacifisti beviamo il latte e lo diamo ai nostri bambini. Lo dico per una ragione ben più profonda: noi pacifisti, se vogliamo cambiare la società, dobbiamo cambiare la percezione della sicurezza. Dobbiamo cambiare la percezione sociale delle tecnologie che ci difendono, che ci offrono sicurezza. L’ideologia dominate ci offre un’unica immagine di tecnologie della sicurezza: le portaerei, i bombardieri, i missili, gli eserciti. Queste sono le «armi» per difendere la sicurezza della gente. Ma se arrivassimo a concentrare la nostra attenzione su nuove «tecnologie della pace», da raffrontare ai costi stratosferici delle «tecnologie della guerra», forse modificheremmo la percezione della realtà.
I vertici politico-militari stanno realizzando studi (alcuni pubblici altri segreti) sulla capacità che ha il movimento pacifista di modificare la percezione sociale della realtà. Il movimento pacifista è temuto anche e in particolare per questa capacità di modificare la percezione del concetto di sicurezza. L’esempio del latte portato in questo articolo è solo un tassello di una strategia generale che dovrebbe puntare ad investire su nuove tecnologie della sicurezza. Ad esempio il dott. Stefano Montanari ha indagato con un microscopio potentissimo (a scansione elettronica) per verificare la presenza delle pericolosissime nanoparticelle. Quella è una tecnologie che scruta l’infinitamente piccolo e che è complementare rispetto allo spettrometro di massa ad alta definizione che scruta la presenza nell’ambiente e negli alimenti dei picogrammi di diossina (un picogrammo è un millesimo di un miliardesimo di grammo). Ci sono poi le tecnologie per verificare la presenza di radioattività. Ci sono città dove si sta facendo la mappatura della presenza del radon. Ci sono scuole che stanno progettando la formazione con tecnologie per controllare la presenza di elettrosmog. Bene, queste tecnologie ci sono. Purtroppo costano. Ma più le usiamo, più scopriamo quanto è stupido costruire una nuova portaerei.
Alessandro Marescotti
Fonte: Peacelink