[Misna • 29.12.03] L'Organizzazione per la difesa dei diritti umani Human Rights Watch (HRW) ha diffuso il 25 novembre scorso un dossier sulle connessioni esistenti tra lo sfruttamento delle risorse naturali e le violazioni dei diritti umani in Sudan dal titolo "Sudan, petrolio e diritti umani"...

SUDAN. TANTO PETROLIO, POCHI DIRITTI UMANI

L’Organizzazione per la difesa dei diritti umani Human Rights Watch (HRW) ha diffuso il 25 novembre scorso un dossier sulle connessioni esistenti tra lo sfruttamento delle risorse naturali e le violazioni dei diritti umani in Sudan dal titolo “Sudan, petrolio e diritti umani”.
Gli sforzi del governo del Sudan per il controllo dei bacini petroliferi nel sud del Paese hanno provocato centinaia di migliaia di sfollati è la principale accusa contenuta nel rapporto, ma anche le multinazionali dell’oro nero sono – secondo HRW – corresponsabili dello spostamento di un’enorme massa di civili e della tragedia provocata da questo flusso forzato di popolazione.
“Lo sviluppo petrolifero – ha detto Jemera Rone, una ricercatrice dell’organizzazione che ha seguito questa indagine – avrebbe dovuto essere causa di un ricongiungimento tra le persone del Sudan, invece non ha portato altro che sventure”. Il report documenta come il governo sudanese abbia utilizzato strade, ponti e aeroporti costruiti dalle compagnie petrolifere per lanciare i propri attacchi contro la popolazione nella regione meridionale del Western Upper Nile.
“Le compagnie petrolifere presenti in Sudan erano consapevoli dei massacri, dei bombardamenti e dei saccheggi che hanno avuto luogo nel sud, tutti con il chiaro obiettivo di liberare le aree ricche di giacimenti petroliferi” ha affermato ancora Rone. Le condizioni dei civili nelle aree da dove viene trivellato il greggio, sostiene ancora Hrw nella sua indagine, sono peggiorate quando la canadese Talisman Energy e la svedese Lundin Oil Ab hanno coordinato due concessioni petrolifere in Sud Sudan.
La provincia del Darfur, regione desertica situata nel nord-ovest del Paese, abitata per lo più da tribù islamico-animiste nomadi, è intanto centro della campagna di repressione da parte del Governo di Karthoum, che ha cercato di stabilirne il controllo utilizzando il pugno di ferro, tramite rastrellamenti, arresti e condanne a morte di oppositori, oltre ad abusi sulla popolazione civile da parte dell’esercito stesso o di squadre paramilitari. Questo ultimo conflitto, iniziato a febbraio scorso, ha provocato almeno 3.000 vittime (addirittura 7.000 secondo l’USAID, l’Agenzia Statunitense per lo Sviluppo Internazionale) e più di mezzo milione di profughi che hanno cercato scampo nel vicino Chad. Lo scorso settembre era stata siglata una tregua tra governo e ribelli, ma ciò nonostante da due mesi le parti in conflitto si accusano reciprocamente di continue violazioni con il risultato che i combattimenti proseguono.


Fonte: MISNA , Human Rights Watch. Altre Fonti: Warnews, Unimondo.