TV. «NOMADELFIA: LA REALTÁ DELL’UTOPIA»


Nel cuore della Maremma toscana, sulla statale che da Siena porta a Grosseto, c’è una collina sulla quale “vive” Nomadelfia, ovvero “la fraternità è legge”, quel “popolo nuovo” che, contro tutto e contro tutti, volle don Zeno Saltini (nella foto), il sanguigno sacerdote emiliano nato a Fossoli di Carpi (Mo) il 30 agosto 1900 e morto nella “sua” Nomadelfia il 15 gennaio 1981.

don zeno saltiniE la fiction che avremo l’occasione di vedere in due puntate su Rai Uno martedì 27 e mercoledì 28 maggio in prima serata, «Don Zeno. L’uomo di Nomadelfia», con la regia di Gianluigi Calderone per RAI FICTION-RED FILM di Mario Rossini, intende, appunto, raccontare la grande figura di quest’uomo che della sua vocazione religiosa ne fece un vero e proprio “mestiere”, affrontandolo con tutto l’entusiasmo e la forza che da essa provenivano.

Ed un’altra volta ecco che a interpretare questa complessa e difficile figura troviamo Giulio Scarpati, non nuovo a scegliere personaggi che siano lo specchio di una società che, forse, oggi stanno lentamente scomparendo, perché è difficile essere capiti ed accettati per la sola giustizia, il solo amore, il solo altruismo, mettendo in gioco anche se stessi – il recente monsignor Luigi Di Liegro, l’indimenticabile Rosario Livatino e Ezechiele Ramin, il padre Toni della fiction «La casa bruciata», comboniano padovano trucidato in Amazzonia.

E proprio perché il racconto fosse quanto più possibile vicino alla realtà, la storia è stata girata, ad esclusione degli esterni del periodo bellico in Bulgaria, nei veri luoghi di Don Zeno: San Giacomo Roncole, Carpi, Modena, Mirandola, san Biagio in Padule e in parte a Nomadelfia stessa.

Tutti i componenti della troupe sono stati coinvolti da questa figura fatta non solo di sogni utopici, ma tormentata, all’avanguardia, risoluto e grande comunicatore… E soprattutto Scarpati, che non ha mai nascosto la bontà del sogno, è stato letteralmente catturato da questa «figura, fantastica, molto affascinante: un trascinatore di masse notevole» e «dalla sua utopia, la rincorsa di un’utopia, di un elemento che abbiamo totalmente dimenticato, il bene dell’utopia, scordandoci la ‘realtà’ dei sogni e pensando che il cinico realismo di questi tempi che viviamo sia quello da prendere in considerazione. Invece secondo me una riflessione su queste utopie, sul bisogno di avere una comunità dove il denaro non conta nulla, dove la proprietà non esiste, dove ciascuno si guarda negli occhi è fondamentale. La comunità di Nomadelfia ci ha aiutato tantissimo: il loro entusiasmo è stato trasferito in tutti noi».

Associazione civile per lo stato italiano, parrocchia comunitaria e privata associazione tra fedeli per la chiesa, Nomadelfia si sviluppa da quel primo nucleo, i Piccoli Apostoli – dal titolo del giornalino che don Zeno iniziò a pubblicare poco dopo essere stato nominato viceparroco a San Giacomo Roncole nel gennaio del 1931 – che raccoglieva fanciulli abbandonati o sbandati, come Danilo “Barile” che il sacerdote elesse a “figlio” proprio il giorno della sua prima messa, il 6 gennaio 1931, nel duomo di Carpi.

Nono di dodici figli di una famiglia di agricoltori benestanti, dove fin da piccolo Zeno respirava quell’aria di uguaglianza che non distingueva tra dipendenti e padroni, a soli 14 anni compie il primo di quei suoi eclatanti gesti che contrassegneranno tutta la sua vita, decidendo di interrompere gli studi per lavorare nei poderi di famiglia a contatto con la cruda realtà dei braccianti della bassa che vivevano e lavoravano nella profonda miseria di quella terra strappata alle paludi appena bonificate.

La sua salda formazione cristiana si scontra così con l’altrettanto saldo credo socialista di quei lavoratori con i quali è a stretto contatto ogni giorno e dai quali afferra quel loro desiderio di giustizia sociale. Quando però, a vent’anni, nella caserma fiorentina dove stava terminando il servizio militare, un commilitone anarchico afferma che sono proprio Cristo e la Chiesa ad impedire il progresso dell’uomo, Zeno, privo di quella cultura che aveva rifiutato, non potendo controbattergli, decide: «Cambio civiltà cominciando da me stesso. Per tutta la vita non voglio essere né servo né padrone» e riprende gli studi interrotti laureandosi nel 1929 in giurisprudenza e teologia.

Tra il 1920 e il 1927 si dedica, nella sua Carpi, a numerosissime attività: è presidente della Federazione giovanile dell’Azione Cattolica e delle più svariate attività sportive; fonda quello che diventerà l’organo nazionale della gioventù cattolica, «L’Aspirante» e dà vita all’Opera Realina che, solo dopo tre anni, sarà costretta a chiudere per le pressioni politiche.

É il periodo della nascita del fascismo e Zeno che continua tra mille difficoltà la sua lotta di apostolato laico nella sua terra, capisce che solo prendendo i voti può tentare, predicando il vero ed originario messaggio di Cristo, di salvare quella società che vede sull’orlo dell’abisso. A 31 anni è sacerdote e inizia la sua missione come viceparroco di san Giacomo dove fonda l’Opera dei Piccoli Apostoli, che accoglie orfani di guerra e bambini abbandonati, dove rimarrà fino al 1943 e per la quale spenderà tutto il patrimonio ereditato dalla famiglia trovandosi in ricorrenti difficoltà economiche.

Intuisce l’importanza dei nuovi mezzi di comunicazione, il cinema, e apre una grande sala cinematografica nella quale, durante gli intervalli degli spettacoli, interviene con la sua oratoria, semplice e spontanea, e affronta problemi religiosi, morali, sociali scontrandosi contro il regime, che arriva a vietare i suoi interventi durante gli spettacoli che, don Zeno continuerà a fare dal pulpito della sua chiesa.

Anche appoggiato dall’allora vescovo di Carpi, continua la sua opera nella “grande famiglia” che si era ormai formata e alla quale però mancava la figura principale, quella materna. Ed ecco, allora, che la giovane Irene Bertoni scappa di casa a soli 18 anni e diventa la prima delle tante “mamme di vocazione” – Norina, Zaira, Agnese, Enrica… – che dedicheranno la propria vita a tutti questi figli non generati ma amati ed accuditi come propri; altri sacerdoti della diocesi carpigiana si uniranno a questo, ancora utopistico, progetto. Dopo l’8 settembre del 1943, don Zeno è costretto a rifugiarsi nel Sud d’Italia con alcuni dei “figli” per sfuggire al carcere e alle deportazioni, mentre a s. Giacomo l’opera è perseguitata e diversi ragazzi si uniscono alle truppe partigiane.

Nel 1947  Zeno e i «Piccoli Apostoli», ormai senza una casa comune occupano l’ex campo di concentramento di Fossoli che diventa – finalmente – Nomadelfia la cui vita si ispira alle comunità cristiane del tempo degli Apostoli; vanno ormai formandosi le prime vere famiglie di sposi disposte ad accogliere i tanti orfani della guerra appena conclusa e nel 1948 viene sottoscritta la prima Costituzione della comunità che va crescendo con l’accoglienza di bambini da ogni parte della penisola.

Nel 1950, sempre spinto da quel desiderio di giustizia, laica e religiosa, propone una nuova formazione politica – non è la prima volta che il sacerdote carpigiano tenta anche questa strada, sempre però scontrandosi sia con le autorità civili che con quelle ecclesiastiche – il «Movimento della Fraternità Umana» ma le ostilità e i contrasti diventano ormai insormontabili e, il 5 febbraio del 1952, don Zeno, con decreto del S.Uffizio viene allontanato da Nomadelfia e processato a Bologna, insieme ad alcuni Nomadelfi, con l’accusa di truffa e millantato credito, processo dal quale però verrà assolto.

Ormai la Comunità è allo sbando e i Nomadelfi sono costretti a cercare un altro luogo dove poter ricominciare e lo troveranno nella Maremma grossetana, in una tenuta donata dalla contessa Maria Giovanna Abertoni Pirelli dove sono costretti a vivere sotto le tende in un terreno tutto da bonificare. Anche se lontano dai suoi figli, don Zeno cerca di occuparsene: molti di loro, nel frattempo, sono ricaduti nella malavita ma, da lontano è difficile e chiede, perciò, al Papa di rinunciare temporaneamente ai voti per tornare in mezzo ad essi. Pio XII, nel 1953, gli concede la laicizzazione pro gratia e Zeno riesce pur tra difficoltà economiche a ricostituire la comunità – sono del 1954 i “gruppi familiari” –  che, nel 1961, si dà una nuova Costituzione come associazione civile e, solo allora, don Zeno chiede di riprendere i voti.

Così Nomadelfia diventa anche parrocchia e don Zeno il suo parroco che il 22 gennaio 1962 celebra, in mezzo ai suoi, la sua seconda Prima messa; nel 1968 il Ministero della Pubblica Istruzione, concede alla Comunità di educare da soli i figli nella propria scuola interna. Nascono numerose iniziative – la Nomade, la carovana, il teatro tenda – e, pochi mesi dopo una serata di spettacolo offerta a Giovanni Paolo II a Castelgandolfo, don Zeno Saltini, 80 anni spesi al servizio degli altri, muore circondato dall’affetto della “sua” famiglia.

Guardiamola – e non solo con gli occhi ma anche e soprattutto col cuore – dunque questa nuova figura di utopista che realizza i suoi sogni, con la speranza, se non la convinzione, che tutto – o quasi – è possibile e che anche la televisione, la “buona” televisione, quella che sarebbe piaciuta proprio a Don Zeno Saltini, può tornare ad essere un valido strumento di insegnamento; e, in un periodo come il nostro, profetiche sembrano le sue parole: «Proviamo ad amarci anche se la pensiamo diversamente. Io credo che sia la più grande conquista che si possa fare sulla terra».

Elena Saccomani