[di Federica Sciuscio • 21.10.01] Sognavo l’Africa fin dalla tenera età, da quando, forse, per la prima volta vidi un africano, o quando per la prima volta sentii parlare un missionario, appena tornato.

UN SOGNO AFRICANO

Il desiderio di posare i miei piedi sulla terra africana ha sempre invaso i miei pensieri. Per mille motivi ho rimandato il viaggio, a tal punto, da far crescere in me la convinzione, che tutto ciò sarebbe rimasto solo il mio sogno. Un sogno però, che ho fatto maturare nel segreto del mio cuore, attraverso letture, testimonianze, incontri, conoscenze, relazioni, preghiere… Tutto ciò fino a quando un amico mi disse: “Federica…tu devi andare in Africa”. A quel punto, aprii gli occhi e capii che il mio sogno non poteva rimanere più tale. Capii finalmente che esso era nato con me ed era un dono di Dio.  Non è stato facile…tutto sembrava dirmi di starmene a casa, ma io, un po’ testarda, continuai a cercare, fino a quando una telefonata mi annunciò: “Vai in Rwanda!”. Rwanda… Quel poco che sapevo del Paese delle Mille Colline (soprannome che deriva dalla sua geografia) era relativo al genocidio del 1994, che aveva visto la morte di circa 800.000 persone, spesso a colpi di machete. Qualche attimo e accettai. Partii il 10 Luglio con altre sei persone, che, come me, volevano che i propri occhi vedessero che la vita non è solo quella, che comodamente ci è data di vivere qui, nel nostro ricco occidente. Il viaggio faceva parte delle esperienze brevi (3 settimane), che il Centro Missionario Diocesano di Verona organizza ogni anno. Fummo ospitati in una missione a Muhura, un villaggio situato a circa m 2000 di altitudine. Lì c’è un centro sanitario, un centro nutrizionale e una maternità. Il tutto è estremamente semplice, ma dopo qualche giorno, ci si rende conto di quanto sia prezioso. La strada che ho percorso per arrivarci, mi è servita in tutti i sensi, per farmi entrare nella vita africana. Due ore di macchina in strada sterrata, quasi impraticabile in alcuni tratti, ma che svelava il cuore dell’Africa vera. Quella che ogni giorno deve lottare per sopravvivere; quella che umilmente non si abbatte, non si scoraggia di fronte alle incomprensioni e ai km da percorrere per reperire l’acqua; quella che sa sorridere al sole che sorge, a un fiore che sboccia, alla pioggia che cade, anche se questa causerà la distruzione della casa; quella che sa accogliere il vecchio e il bambino senza calcolare ciò che comporterà; quella che accoglie Dio nel cuore e  lo dona nei gesti quotidiani. La mia giornata la trascorrevo al centro, con i malati e i bambini, con gli amici rwandesi che in ogni momento mi facevano sentire una di loro. “Tu ormai sei una musungu (bianca) rwandese”. Questa è stata la più bella frase che le mie orecchie hanno udito, perché così mi sentivo, a tal punto che ho rinviato, per quel che è stato possibile, il mio rientro in Italia. Mi sentivo una loro sorella, e ogni giorno risuonava in me la frase evangelica “Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre” (MT 12,50). L’Africa ti mette in gioco, in discussione, ti scuote, ti  tormenta, ti cattura…perché in ogni sguardo che incontri vedi che Dio ti ama e ama la vita di ogni uomo. E’ un mistero… come dice Alex Zanotelli “ è un mistero che consiste nel condividere le esistenze distrutte dei poveri, nell’accostare la morte da mattina a sera, perché proprio in questi istanti dolorosi avviene l’incontro con la vita: i poveri affermano incessantemente la loro voglia di danzare la vita, di credere che, nonostante tutto, la vita vince”. Questa è la convinzione che ho portato a casa, ed è la convinzione che accompagna ogni mio passo. Ritornare in Italia è stato sicuramente difficile. Come accettare le contraddizioni del nostro occidente? No, non è possibile! Come accettare le assurdità che ogni giorno lo sguardo scorge e le mani sfiorano? No, non è possibile! Come accettare l’orrore della violenza per la violenza? No, non è possibile! Come accettare l’indifferenza di chi non si chiede mai il perché? No, non è possibile ! Ora sono qui…in Italia…ma porto in me un sogno: Il mio ritorno in Africa.Tornerò la prossima estate. Inizierò un progetto estivo per i bambini del villaggio. Nel frattempo con un gruppo di ragazzi dai 14 anni in su, Gli amici di Muhura, produciamo oggetti con le perline. Questa attività ci permette di raccogliere fondi e di sensibilizzare quanti incontriamo. Il mio sogno, ora, sta diventando il nostro!!! (Federica [email protected] )