“I talebani e Bin Laden rappresentano i loro interessi economici e politici. L’Islam non c’entra. L’Islam non è fondamentalista. E’ una fede ricca che indica la strada della convivenza pacifica. Certo, al suo interno emergono tanti problemi, non sempre è evidente l’affermazione dei diritti per tutti. Ma la ricerca del miglior rapporto con l’altro è tema dominante nel Corano”. Così il dr. Reza Mohaddes, musulmano sciita di origine iraniana, studioso contemplativo residente a Verona da molti anni, ha introdotto l’incontro promosso il 15 ottobre dal “punto pace” di Pax Christi presso la Chiesa valdese di Verona, affollata di esponenti di gruppi veronesi, alcuni dei quali appena tornati dalla grande marcia Perugia-Assisi. Sfogliando un Corano tormentato da frequenti consultazioni e citando numerose sure, l’esperto islamico ha presentato argomentazioni teologiche di grande respiro: la creazione è per tutti, Dio è misericordia infinita che abbraccia ogni vivente, la diversità di “lingue” e “colori” è segno di Dio, la “reciproca conoscenza” tra i popoli è voluta da Dio e fa parte dello “sforzo del miglior rapporto con l’altro”. Per il relatore, le religioni non sono verità distinte e contrapposte ma diverse espressioni della stessa verità. La fede non è obbligatoria. La libertà di coscienza è un valore. Nell’esercizio della fede, la ragione è un criterio interpretativo pari al Corano, alla Tradizione e all’indicazione degli “esperti”. La fede è come la fonte. Le tradizioni sono come i fiumi (spesso inquinati) che hanno bisogno di depurazione, cioè di un dinamismo innovatore capace di aggiornare il dato rivelato alla luce della ragione libera e dell’azione responsabile del credente. L’interpretazione della Rivelazione è sempre aperta. Alcuni elementi sono essenziali, intoccabili. Altri sono datati, storici. Altri sono allegorici, poetici. Usare violenza verso sé e gli altri è violare la legge divina. L’omicidio-suicido dei terroristi a New York e Washington è assolutamente contrario alla legge islamica. Non è possibile nemmeno provocare qualche male a se stessi (anche un tatuaggio sarebbe sconveniente). L’unica violenza ammessa è quella della “legittima difesa” ma “se sei costretto a punire, fallo senza ira e senza vendetta”. “Chi ammazza l’innocente ammazza l’umanità”. “Chi salva una vita salva il mondo”. Jihad vuol dire, sostanzialmente e contemporaneamente, sforzo, sopportazione, impegno. Fare “la guerra santa” significa tentare di far emergere la luce divina dal fango che in parte ci ricopre. Quindi, cercare di essere liberi. Esercitare la responsabilità personale. Aiutare i bisognosi. Ognuno è libero e responsabile di quello che fa. Durane la serata, ricca di domande e di dialogo, è stata letta la “lettera ai fratelli e alle sorelle che pregano Dio col nome di Allah”, preparata da Pax Christi Italia e inviata giorni addietro alle comunità islamiche. In essa si rende omaggio alla “nobile tradizione islamica” e si auspica che dall’incontro di essa con la cultura laica occidentale e con la tradizione cristiana possano ricevere slancio “la cultura e la prassi del rispetto di ogni diversità e l’assunzione senza riserve, da parte di tutti, della Dichiarazione universale dei diritti umani, quale condizione indispensabile per creare nuovi comuni percorsi di pace”. E’ stato un bel segnale in un momento così terribile e aspro. Un segno di pace. Simile a quello del 22 ottobre presso la Gran Guardia di Piazza Bra: un’assemblea interreligiosa, nel ricordo del primo incontro delle religioni ad Assisi (ottobre 1986), con la partecipazione di dodici rappresentanti delle religioni presenti a Verona, compreso il vescovo Flavio Roberto Carraro. Insieme è possibile. Il popolo di Assisi continua a camminare. (Sergio Paronetto)
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