[«ARENA DI PACE E DISARMO», 25 APRILE 2014] MONS. GIANCARLO BREGANTINI: «I COSTRUTTORI DI PACE DI NUOVO IN ARENA, A VERONA»

[Giancarlo Bregantini – 20.04.2014] Sarà un grande dono per la città di Verona e per la chiesa italiana tutta il ritorno in Arena dei “costruttori di pace”. Ne avevamo bisogno. Perché in questo grave tempo di crisi, che coinvolge tutti, che rischia di travolgerci e non solo di coinvolgerci, può addirittura sembrare “ozioso” manifestare per la pace. Quasi avessimo problemi più grandi da affrontare, e solo dopo, se c’è tempo, ci sarà spazio per le manifestazioni per la pace!

E invece, credo che sia il contrario. Perché la pace resta la grande sfida dell’umanità. Ed impegnarsi per essa, vuol dire costruire un mondo di vera fraternità. Infatti, i pellegrini della pace di Verona porteranno con sé, nel loro zaino, i passi di fraternità realizzati e condivisi dalle migliaia di manifestanti nella marcia della pace di fine anno, che si è svolta appunto a Campobasso. Un grande evento, che ha scosso questa mite e lenta terra che è il Molise. Terra però dalle relazioni positive, serene, quotidianamente costruite su impegno e speranza, fieri della nostra “marginalità”, che con impegno stiamo trasformando in tipicità positiva.

Nel cuore dei marciatori per la pace, a Campobasso, sono risuonate quattro domande, che sono rimaste aperte. Su queste sfide si dovranno di certo confrontare i giovani che entreranno in Arena, con i colori variopinti della bandiera arcobaleno e con la mente pronta alla riflessione e alla preghiera. Risuoneranno le profetiche parole di don Tonino Bello, che li scuoteva ad alzarsi in piedi, con vigore e coraggio.

Le prima sfida aperta è la sfida del cibo. A Campobasso, in quel giorno memorabile, abbiamo aperto la Mensa per i poveri, chiamata con tono di luce: La casa degli Angeli. Perché non c’è pace senza cibo condiviso e ben spartito. Lo sguardo, allora, andrà verso Milano, allo storico Expo mondiale, per chiamare a raccolta i militanti, perché quell’evento non sia solo una grande manifestazione commerciale, ma un’occasione “ghiotta” per riflettere se realmente il cibo e l’acqua ci sia per tutti. La torta dei beni comuni va spartita equamente, con un no secco alla nuova idolatria del denaro, che governa invece di servire, seguendo la pista della dirompente denuncia fatta da papa Francesco nella sua recentissima Esortazione Evangelii gaudium. Ci basti questo cenno, che denuncia la mancanza di fraternità condivisa attorno al cibo: «Mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice» (E.G.56). È una crisi antropologica, prima ancora che una crisi finanziaria. La riflessione sulla pace ci deve così aiutare ad allargare gli orizzonti della manifestazione ben oltre i garruli colori delle bandiere, sapendo porsi decisamente per un’economia per i poveri e non un’economia senza volto, con la finanza speculativa, dalla tirannia invisibile.

La seconda sfida che resta davanti a tutti noi la si sta vivendo nelle scuole. Ci siamo fermati all’Università di Campobasso, con silenzio riverente, per ascoltare Agostino, uno dei discepoli più amati da don Lorenzo Milani. Ci ha rinnovato il pathos della lettera che scrisse, già malatissimo con i suoi ragazzi, ai giudici, chiamati a giudicarlo, per poi, purtroppo, condannarlo: l’obbedienza non è una virtù! Perciò ci siamo impegnati, con acume, a non chiamare più il conflitto del l914-18 con i toni dei gagliardetti: La grande guerra! No! Usiamo invece le sofferte espressioni che elevò, in piena consapevolezza, papa Benedetto XV, il 1 agosto 1917, quando definì quella guerra l’inutile strage!

Immagino il mio docente, in Liceo, che mi spiega l’evento. Su quella lavagna, nella prima aula a sinistra al secondo piano (che rivedo volentieri ogni volta che ritorno al liceo Stimmate di Verona!), è ben diverso scrivere: «Oggi parliamo della grande guerra». Oppure, con chiarezza e con tono di voce nel pianto, scrivere: «oggi entriamo nel dramma di un’Europa cristiana che compie un’inutile strage tra fratelli!». Tutte le guerre, infatti, iniziano sempre nelle aule scolastiche e solo dopo si trasferiscono sui campi insanguinati di battaglia! Così sarebbe bello che rileggessimo con occhi di criticità anche i nostri monumenti ai caduti, nelle nostre piazze o cimiteri dei nostri paesi. Spesso sono un’esaltazione alla guerra e inducono anche all’odio al nemico. In un monumento, in una bella cittadina del Molise, ho visto addirittura scritto: I nostri eroi hanno partecipato ad una guerra giusta! Ho coperto le lettere con un nastro isolante nero. Di certo, ora il vento l’avrà strappato. Spero però che non sia stata cancellato il segno di esecrazione, dal cuore dei ragazzi del paese, con cui ho condiviso il gesto! Per questo, Pax Christi si è impegnata a tener desto questo stile alternativo di trattare la storia nelle scuole! Cioè chiamare le cose per il giusto nome! Stando dalla parte dei poveri e non dei vincitori!

La terza sfida che è rimasta da raccogliere e riapprofondire è il senso delle cosiddette “missioni di pace”, che l’esercito italiano, in armi, sta compiendo in varie parti del mondo. Ma è proprio questo lo stile di portare la democrazia nel mondo? Forse non è meglio seguire l’esempio delle missioni della Caritas, che nelle zone devastate dal terremoto di Haiti, ha inviato una famiglia di Roma, con due piccoli bimbi. E nell’insediarsi, non hanno scelto la zona dei “bianchi”, ma si sono collocati in una piccola casa, tra le case povere della gente nera, permettendo così ai loro figli di frequentare la scuola del quartiere nero. Dopo poco, la pace tra le famiglie nere e quelle bianche non l’hanno fatto le armi, ma il sorriso dei piccoli, che, vivendo e giocando con i loro coetanei, sono riusciti a far cadere i muri delle divisioni, per costruire i ponti della pace e del dialogo. Queste sono le vere missioni di pace! Come ci ha insegnato Nelson Mandela, che è stato citatissimo nella marcia a Campobasso. Specie in una frase durissima: conservare rancore nel cuore è come bere veleno sperando che ciò uccida il tuo nemico! Ed è con gioia vera che ho letto sull’ultimo numero del «Missionario», la testimonianza diretta di padre Gianni Piccolboni, saggio compagno di studio e di lavoro a san Leonardo, che affermava di Mandela: «Era un uomo di spessore, dal fascino irresistibile, magico. Ha insegnato a tutti, bianchi e neri, a liberarsi dalla diabolica convinzione che una razza sia superiore ad un’altra, a rispettarsi a vicenda, liberando così i neri dall’odio verso i loro oppressori ed i bianchi ad avere fiducia nel diverso e nel nero». È cioè il perenne impegno alla riconciliazione, non solo personale, ma anche sociale, frutto della cultura del perdono, fonte di pace, per cui Mandela, con profetico stile, istituì la commissione per la verità e la riconciliazione tra la sua gente (TRC), eco delle parole di Gesù: «Quando porti l’offerta all’altare e non sei in pace con fratello, riconciliati prima con lui; poi offri il tuo dono!» (Mt 5,24)

Ed infine la quarta sfida, che è sempre in agguato. La produzione delle armi. Forse quella bellica è l’unica industria che tira. Purtroppo. Compresa la costruzione dei famosi F-35, che restano uno scandalo, per l’enormità del costo di ogni aereo ed un mistero per cui nessuno si sia opposto alla loro costruzione tra le forze politiche.

Tante le sfide, che la cultura della pace deve oggi affrontare! Con lealtà, sapendo però che la sfida più grande sarà quella di costruire un’economia che riesca a dare lavoro ai nostri ragazzi e giovani. La precarietà lavorativa è purtroppo la prima grande negazione della pace. Qui, soprattutto qui, sono attesi, all’Arena di Verona, i nuovi Costruttori della pace! Buon lavoro!

Giancarlo Bregantini
Arcivescovo di Campobasso-Boiano