Droga sostenibile e droga che uccide. Mi pare necessaria una ulteriore precisazione, quanto meno per il largo consumo… di onestà intellettuali, in condanne e conseguenti assoluzioni a poco prezzo. Quanto meno per rendere giustizia alle parole, quando esse assumono il peso di una sentenza e influenzano le persone, in particolar modo quelle che ancora non hanno una personalità formata, coloro che ancora non hanno pieno il carico della coscienza, cioè l’essere presenti a sé stessi. E un bambino, sebbene grande, non è cosciente; per diventare coscienti di noi stessi, il primo avvertimento è l’avvertimento dell’esistenza dell’altro.
Noi adulti sappiamo bene che crescita vuol dire differenziazione, affermazione di sé come entità autonoma, attraverso le varie fasi di sviluppo dell’individuo, attraverso le occasioni e le opportunità della vita, ma ciò non autorizza nessuno a rilasciare patenti di «maledetto» per forza, perché questa è una vocazione destinata al macero, e cosa assai più grave, destina al macero i più deboli.
Avere personalità non significa essere qualcosa per mezzo di una canna, di una pasticca. Chi possiede una personalità matura dimostra unità nel comportamento tra ciò che pensa e ciò che fa, valuta in maniera obiettiva la realtà e se stesso, e perciò si rapporta al contesto coerentemente alla propria situazione.
In uno spinello quotidiano vi è l’impegno e la fatica per raggiungere una crescita personale accettabile? Oppure in questo atteggiamento vi è una considerevole instabilità emotiva che maschera un disagio con l’avvicinamento ai rischi estremi. Fallimento degli educatori, di una società che sta a guardare? Forse questo è il risultato che scaturisce da una sorta di nichilismo congenito a qualche generazione… fortunatamente passata, perché educare non sta più solo per trasmissione di nozioni-conoscenze, ma come formazione alla complessità, come insieme di comportamenti, quanto meno per colmare con il tempo certe carenze. E bisogna riuscirci in tempo, affinché non diventino «maledette lucide follie».
L’uso di roba è prevalentemente una via di fuga senza progettualità, è la rappresentazione dell’impossibilità di trovare una uscita di emergenza, per cui non si può parlare di “prevenzione del danno”, ciò che si deve e si può prevenire è il coinvolgimento nell’uso, soprattutto quello precoce, fornendo ai giovani l’opportunità di trovare risposte più valide ai loro problemi-compiti di sviluppo.
Certe argomentazioni che girano sulla droga inciampano sulle bocche di tanti adulti; meritano sicuramente attenzione, ma io ho imparato a sfuggire le visioni ed i percorsi unidimensionali, e proprio accogliendo e accompagnando i giovani in difficoltà sono diventato estremamente attento al disagio che circonda le persone affaticate, al loro bisogno di essere aiutati a entrare un po’ in sé stessi, per comprendere che ci si deve impegnare strenuamente per difendere la propria dignità personale.