[a cura dell'AIFO • 12.01.02] Un celebre libro di dom Helder Camara, indimenticabile vescovo brasiliano e compagno di strada dei piu' poveri, s'intitola "Mille ragioni per vivere". Noi membri di un'associazione popolare impegnata in 50 paesi del mondo ed in Italia con centinaia di volontari che operano per la solidarieta' e per la giustizia sociale vogliamo esprimere alcuni dei mille motivi per dire no alla guerra.

AIFO: ALCUNI DEI MILLE MOTIVI PER DIRE NO ALLA GUERRA

No, perche’ la condanna nei confronti del terrorismo e di ogni forma di violenza ed il cordoglio per i morti non puo’ generare e giustificare un’azione di guerra patita da una popolazione inerme e vessata da anni dai suoi stessi governanti. Negli ultimi decenni il 90% delle vittime delle guerre sono civili. In Afghanistan stanno morendo bambini, donne, uomini stremati da freddo, fame o uccisi da “bombe intelligenti”. No, perche’ e’ inutile. Rispondere al terrorismo con la guerra e’ inutile e legittima l’avversario. I primissimi giorni del conflitto alcuni autorevoli commentatori affermavano che bisognava evitare di usare il termine guerra perche’ cio’ avrebbe significato conferire ai terroristi lo status di nemico combattente ed era inaccettabile. Al di la’ dei sofismi linguistici il significato profondo non e’ trascurabile. La lotta al terrorismo si combatte togliendo nutrimento al terrorismo, bloccandone i finanziamenti, le relazioni, portandolo allo scoperto. Il terrorismo si combatte prosciugandone il brodo di coltura: il malcontento, i facili fanatismi; la guerra sta viceversa alimentando questi fattori. No, perche’ e’ retorica. Si afferma che dobbiamo difendere il mondo libero, il nostro stile di vita. Come suoneranno queste parole a chi del nostro stile di vita paga il prezzo: gli affamati, i senza acqua e senza cure, le vittime di tante guerre alimentate piu’ dagli interessi dei potentati economici che da conflitti tribali. E’ retorica perche’ ci si accorge delle donne e del popolo afghano solo oggi, dopo aver chiuso per anni gli occhi sulle vessazioni di un regime oscurantista e crudele. No, perche’ e’ una guerra paravento. Dietro una spettacolare azione di forza si lasciano irrisolti i problemi veri che affondano le loro cause nella ingiusta distribuzione delle risorse del pianeta, nell’aver piegato le scelte politiche ai poteri economici, nel ricordarsi dell’importanza delle Nazioni Unite solo quando servono a legittimare le scelte dei potenti. Quelle Nazioni Unite troppo frequentemente svuotate di una credibilita’ che oggi si cerca di conquistare con il conferimento del Premio Nobel. No, perche’ si fonda sull’ambiguita’ della violenza. Se accettiamo la violenza e’ difficile demarcare il confine tra una forma di violenza legale ed una terroristica. Non dimentichiamo che paesi come gli Stati Uniti hanno sostenuto per anni uomini oggi definiti terroristi e finanziato forme di guerriglia che hanno rovesciato i legittimi governi di alcuni paesi. No, perche’ nasce dalla logica dei due pesi e due misure. L’attacco e’ frutto del diniego del governo afgano di consegnare agli americani Bin Laden, considerato artefice della morte di 7.000 persone. Ricordiamo che nell’84 a Bhopal in India l’incidente ad un impianto chimico della Union Carbide provoco’ 16.000 vittime tra morti e disabili. Il governo indiano chiese a quello statunitense la consegna di Warren Anderson, presidente della Union Carbide, per processarlo in India, gli Usa si rifiutarono. Si obiettera’ che quello fu un incidente e non un atto di terrorismo e quindi i termini della questione sono profondamente diversi, precisazione che andrebbe fatta pero’ anche quando piu’ volte si sente paragonare i fatti di questi giorni all’invasione nazista della Polonia. Di fatto pochissime famiglie indiane sono state risarcite dalla Union Carbide ed il sig. Anderson ha eluso la sue responsabilita’. No, perche’ e’ fatta di un linguaggio ingannevole. Si usano termini che non hanno alcun riscontro con la realta’: “Liberta’ duratura” e’ il nome dell’operazione. Liberta’ da cosa? Dal terrorismo forse? Se domani gli Usa riuscissero ad acciuffare Bin Laden, se lo stesso governo afghano glielo consegnasse, davvero potremmo metterci l’anima in pace rispetto al terrorismo? Quanti Bin Laden sono alimentati da questa esagerata ostentazione di muscoli degli USA e dei loro alleati? “Bombe intelligenti”, terminologia che offende il genere umano che notoriamente dovrebbe ritenersi intelligente. Le bombe sono degli ordigni di morte programmati per colpire un bersaglio, potremmo definirle difettose, precise, killer ma mai intelligenti. E’ una guerra che parla il linguaggio dei media, ma gli orrori della guerra rimangono anche quando spegniamo il nostro apparecchio televisivo o cambiamo canale. Padre Zanotelli da Korogocho, la baraccopoli keniana in cui vive, ha inviato un messaggio ai volontari AIFO in cui spiega che con i fatti dell’11 settembre e’ la prima volta che l’attacco arriva al cuore dell’impero. Continua ricordando che noi oggi piangiamo i morti americani ma che allo stesso modo dovremmo piangere i milioni di morti per fame a causa dell’apartheid economica che governa il mondo. Su 36 milioni di malati di AIDS, ventisei milioni vivono in Africa, tutti destinati a morire. Dice Zanotelli: “L’AIDS, la fame, la malattia, sono un fuoco che avanza e distrugge milioni di persone. Non possono esserci morti di serie A e morti di serie B”. Con Zanotelli, Raoul Follereau e tutte le donne e gli uomini di pace diciamo: e’ con una rivoluzione culturale che vinceremo il terrorismo e la violenza. Partendo dal sovvertimento della logica “se vuoi la pace prepara la guerra” e con la pratica del “se vuoi la pace costruisci la giustizia”. La guerra e’ una finta scorciatoia. I morti americani come i morti di tutte le guerre che si consumano oggi su questo pianeta non ci chiedono di imboccare scorciatoie, ci chiedono di guardare in faccia ai problemi veri, quelli della gente. Ci chiedono una politica che guardi al bene della polis e non agli interessi dei potenti di turno. Ci chiedono la pace in terra e non quella eterna dei bombardamenti o dei cadaveri che rientrano in patria avvolti in una bandiera.