“Siccità e desertificazione minacciano la sopravvivenza di un quinto della popolazione mondiale – più di un miliardo di persone – e hanno portato alla riduzione dello strato superficiale del suolo e della sua capacità produttiva in un terzo della Terra (4 miliardi di ettari)”. Sono questi i numeri emersi al convegno “Siccità e Desertificazione” tenuto a Rimini nel novembre 2004 e organizzato da Regione e Arpa Emilia-Romagna per fare il punto sul monitoraggio della desertificazione e della siccità nel bacino del Mediterraneo.
Il concetto di “Desertificazione”
La disponibilità di riserve idriche è fondamentale per l’ecosistema e per le attività primarie dell’uomo e gli eventi siccitosi possono avere un impatto rilevante sia sull’ambiente che sull’economia. La definizione più accettata di desertificazione è stata data dalla Convenzione delle Nazioni Unite per la Lotta alla Desertificazione (UNCDD) dove viene definita come “degradazione del territorio in aree aride, semiaride e sub-umide secche dovuta a vari fattori, comprese la variazioni climatiche e le attività umane”. Il concetto di degrado del territorio, che comporta un impoverimento delle qualità del territorio, va distinto da quello di desertificazione.
Un’area desertificata perde, infatti, irreversibilmente la capacità di sostenere la produzione agricola e forestale (sterilità funzionale). Nelle regioni aride, semiaride e secche l’indice di aridità oscilla tra 0.05 e 0.65. Questo valore è dato dal rapporto delle precipitazioni annuali e il potenziale di evapo-traspirazione.
Un fenomeno di portata globale
La desertificazione nelle sue forme più intense interessa oltre 100 paesi minacciando la sopravvivenza di più di un miliardo di persone. La situazione è particolarmente drammatica nelle zone aride dove il 70% delle aree, corrispondenti a un quarto dell’intera superficie terrestre, risultano minacciate. Siccità e desertificazione dipendono principalmente dal clima, ma nei paesi del Mediterraneo settentrionale sono dovuti allo sfruttamento intensivo dei terreni e delle risorse idriche e perciò all’uso non sostenibile delle risorse naturali da parte dell’uomo. Si stima che circa 135 milioni di persone rischiano di dover abbandonare la propria terra a causa dell’avanzata del deserto. In Africa, nelle aree del Sahel, del sub-Sahara del Corno d’Africa, dove il processo è ancora più rapido si stima che circa 60 milioni di persone saranno costrette a migrare verso l’Africa del Nord e l’Europa entro il 2020.
Mediterraneo: zona di transizione
Il problema è molto presente anche nelle aree temperate. In questo contesto, il Mediterraneo rappresenta una zona di transizione dove le aree desertificate sono intervallate da quelle a rischio di desertificazione. I paesi del bacino del Mediterraneo, infatti, negli ultimi anni sono stati interessati da una notevole riduzione delle precipitazioni. La degradazione del territorio nell’area mediterranea è spesso legata a pratiche agricole povere: in risposta ai pericoli naturali, alle siccità, alle inondazioni, agli incendi boschivi e alle attività umane i suoli diventano salini, aridi, sterili e improduttivi. L’abbandono dei campi successivo alla crisi agricola del nostro secolo ha ulteriormente aggravato la situazione e l’economia moderna contribuisce al problema: fertilizzanti, pesticidi, metalli pesanti, agricoltura intensiva e l’introduzione di specie vegetali esotiche invasive stressano incessantemente i nostri suoli.
A lungo l’agricoltura si e’ trovata sul banco degli imputati quando si parla di desertificazione, “ma il degrado complessivo delle risorse ambientali è dato dall’insieme delle attività produttive- sottolinea Massimo Iannetta responsabile del gruppo “Lotta alla Desertificazione” dell’Enea – oltre all’agricoltura ci sono il turismo, l’industria, l’attività estrattiva e l’urbanizzazione che concorrono al processo di desertificazione”.
La scarsità di risorse idriche che ne è conseguita ha determinato una crescente sensibilità verso i problemi legati a fenomeni siccitosi che risultano particolarmente gravi nelle regioni a clima arido o semiarido in conseguenza della notevole variabilità delle grandezze idrometeorologiche e dell’elevato grado di sfruttamento delle risorse idriche disponibili.
La desertificazione avanza lungo l’Italia
La percentuale di territorio italiano a rischio desertificazione “è stabile da un paio di anni al 30% – continua Massimo Iannetta – la stima delle Nazioni unite del 98-99 era al 27%, ed è cresciuta arrivando al 30% nel 2003. Poi circa due anni di precipitazioni più abbondanti hanno stabilizzato, per ora, il dato”. Studi per mappare il rischio di desertificazione in Italia sono già stati condotti all’interno di progetti condotti su scale globale (Eswaran e Reich, 1998), continentale (progetto DISMED, 2003) e nazionale. Le immagini al satellite del bacino del Mediterraneo rendono un’idea dell’importanza del problema, ma gli studi che analizzano e sommano insieme il contributo del clima, del suolo, della vegetazione, e delle attività umane forniscono un quadro più completo e accurato della situazione territoriale italiana.
Indice di aridità e stazioni meteorologiche in Italia
Le regioni a rischio
Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna mostrano il processo di desertificazione in stato avanzato. Anche le regioni del centro nord, in particolare Toscana ed Emilia Romagna, manifestano un peggioramento della situazione idrometeorologica e sono sempre più vulnerabili all’irregolarità delle precipitazioni. Il deserto avanza velocemente sulle fasce costiere e nelle zone collinari del Sud: l’analisi climatica del 2003 rivela una tendenza negativa della condizione idrometeorologica dell’Emilia Romagna: i valori dell’Indice di Precipitazione Standardizzato (SPI) segnalano che la regione negli ultimi 50 anni si è gradualmente impoverita di acqua nel terreno, tendendo ad assumere condizioni di moderata siccità, solo a tratti severa. In Emilia Romagna il consumo d’acqua dal 1975 al 2003 è passato da 1,882 a 2,125 milioni di metri cubi all’anno, con incrementi significativi soprattutto per uso agricolo (da 1,002 a 1,405 milioni di metri cubi) e civile (da 350mila a 487mila metri cubi).
Urbanizzazione e agricoltura intensiva sotto accusa
L’Istituto Sperimentale per lo Studio e la Conservazione del Suolo ha sostenuto la realizzazione di un nuovo atlante sul rischio di desertificazione in Italia: qualità del clima, del suolo e della vegetazione sono i 3 indici a cui gli scienziati dell’Agenzia Ambientale Europea hanno fatto riferimento per compilare una mappa con scala 1:250,000. Il dato più preoccupante è che la maggior parte della Sicilia, Puglia e sud della Sardegna hanno indici di aridità inferiori a 0.65, tipici dei territori desertici. Anche i suoli del Sud e parte del Centro Italia, la Pianura Padana e le Alpi sono minacciati da siccità e inaridimento. Nel nostro Paese, caratterizzato da un territorio fortemente antropizzato, l’estendersi dei processi di desertificazione è in rapporto diretto con la crisi delle città principali che ad un assetto tradizionale del paesaggio costituito da sistemi abitativi a forte compenetrazione naturale a basso consumo di risorse, sostituisce un modello basato sulla cementificazione massiccia, il dispendio energetico e l’inquinamento ambientale.
All’urbanizzazione di nuove aree corrisponde l’abbandono e l’esodo dei centri storici con la scomparsa di presidi territoriali capaci di una corretta gestione del paesaggio. Si determina un processo di desertificazione fisico e sociale. Al degrado architettonico, l’erosione dei sistemi montani, collinari e di pendio corrisponde il depauperamento delle risorse umane. L’emigrazione, la eredità di identità, la caduta dei valori sono aspetti socio culturali della desertificazione.
Monitorare e arginare il fenomeno: i progetti su scala nazionale e internazionale
Anche se siccità e desertificazione in Italia sono fenomeni che non hanno la drammaticità del continente africano o di alcune zone di Asia e America Latina, non sono da trascurare. La situazione è ancora sotto controllo, ma il fenomeno sta assumendo sempre più dimensioni generali e segnali negativi provengono dalla pianura bolognese e ravennate. La Convenzione sulla lotta alla Siccità e alla Desertificazione delle Nazioni Unite (UNCDD), firmata a Parigi nel 1993 e ratificata in Italia nel 1997, rappresenta uno strumento giuridico internazionale che impegna tutti i paesi firmatari (190) a cooperare nella lotta alla desertificazione per attenuare gli effetti della siccità nei paesi gravemente colpiti con un approccio che migliori le condizioni di vita delle popolazioni locali.
Gli sforzi per combattere la desertificazione vengono intensificati a livello locale grazie allo sviluppo e all’attuazione dei Piani di Azione Nazionale (PAN), Sub-Regionale (SRAP) e Regionale (RAP) finalizzati alla riduzione delle perdite di produttività dei suoli causate da cambiamenti climatici e attività antropiche, da elaborare con quelli delle altre regioni. A questo fine, nel 1997, il Governo Italiano ha istituito presso il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, il Comitato Nazionale per la Lotta alla Desertificazione.
Alle radici del problema: una crisi idrica planetaria
“La Terra è minacciata dalla crisi dell’acqua” avverte la Banca Mondiale. All’inizio del ‘900, l’Umanità utilizzava circa 600 chilometri cubi di acqua. Oggi ne utilizza 6.000: dieci volte tanto. Negli ultimi dieci anni la popolazione umana è raddoppiata. Ma i consumi di acqua si sono quasi quadruplicati, tanto da sfiorare, ormai le capacità di riciclaggio della natura che, ogni anno, col suo ciclo idrogeologico, rende disponibile all’uomo da 9.000 a 14.000 chilometri cubi di acqua potabile. L’uomo ne utilizza i 40 – 65%, ma si calcola che nel 2050, quando la popolazione mondiale supererà i nove miliardi di persone, la domanda di acqua potabile potrebbe eguagliare, se non superare, l’offerta della Natura.
“E’ ormai indispensabile dare un nuovo valore all’acqua – ha dichiarato al convegno di Rimini Guido Tampieri, assessore all’Agricoltura e all’Ambiente – occorre governare questi problemi tenendo conto della dinamica delle risorse, cioè della disponibilità dell’acqua, e non, come spesso accade, assecondando la dinamica della domanda. Bisogna rivedere la gerarchia dei bisogni; ridurre perciò i consumi d’acqua, consumare meno e meglio”.
Valentina Robbiati
Tratto da www.Greencrossitalia.it del 07.04.05