[«ARENA GOLFO», 27 GENNAIO 1991] MONS. ALFREDO BATTISTI: «SI FERMI L’INDUSTRIA BELLICA»

Il 27 gennaio 1991, per iniziativa del movimento Beati i Costruttori di Pace, si svolge nell’Arena di Verona una manifestazione straordinaria contro la guerra del Golfo. Affiancando il movimento per la pace che in quei giorni attua con successo un’iniziativa di diplomazia popolare, inviando una delegazione a Bagdad per trattare direttamente col governo iracheno la liberazione degli ostaggi italiani, l’incontro in Arena di Verona riunisce diecimila persone. Grande è la partecipazione del mondo cattolico di base, che raccoglie l’invito di papa Giovanni Paolo II: «Mai più la guerra, avventura senza ritorno». Fra i messaggi che giungono in Arena, viene letto e riproposto qui di seguito quello di monsignor Alfredo Battisti, Arcivescovo di Udine.

 

Mons. Alfredo Battisti (Arcivescovo di Udine dal 1972 al 2000)

«SI FERMI L’INDUSTRIA BELLICA»
Messaggio di Mons. Alfredo Battisti, Arcivescovo di Udine

In questa drammatica ora della storia, i cristiani si trovano di fronte a gravissimi e complessi problemi, che impegnano la coscienza a pronunciare un giudizio sugli avvenimenti che occupano la cronaca. E stato conculcato il diritto fondamentale del popolo del Kuwait alla sua libertà politica. Per la prima volta nella storia, da parte di una autorità sovranazionale quale l’ONU c’è stato un accordo pressoché unanime nel condannare il fatto e nell’invitare l’Iraq a ritirarsi dal Kuwait; l’ONU ha perciò autorizzato l’embargo nei confronti dello stesso stato. È un fatto nuovo che determina un salto di qualità nel diritto internazionale dei popoli. Successivamente, il Consiglio di sicurezza ha posto un ultimatum e, in caso di rifiuto, ha autorizzato anche l’uso di tutti i mezzi coercitivi. Dopo lo scadere dell’ultimatum, sono iniziate le operazioni belliche.

A questo punto la coscienza si fa pensosa: si trova di fronte a un grave conflitto di diritti e di doveri. Un primo principio recepito dalla «Gaudium et Spes» (80-81) attesta che anche se c’è una causa giusta, non è più possibile parlare di guerra giusta, perché la guerra ha cambiato natura, anzitutto per i mezzi di distruzione come i missili con testate nucleari, chimiche e batteriologiche. Inoltre, vi è ora il rischio che il conflitto coinvolga tutto il mondo arabo.

Per questo il Papa ha ripetutamente esortato ad evitare la guerra come avventura senza ritorno. «L’inizio di questa guerra segna una grave sconfitta del diritto internazionale e della comunità internazionale. La guerra non è un mezzo adeguato per risolvere i problemi tra le nazioni, non lo è mai stato e non lo sarà mai».

Un altro principio invece richiama il dovere di riparare una grave ingiustizia verso un popolo e afferma che l’ordine e il diritto internazionali vanno ripristinati. È questo in pratica il fine che si afferma di perseguire con l’intervento armato che taluni chiamano guerra, altri operazione di polizia. C’è il problema della partecipazione a questa guerra dello Stato italiano in base alla Costituzione e del singolo cittadino in base al dettato della sua coscienza. I cristiani possono senza dubbio affermare il diritto del singolo alla obiezione di coscienza nei confronti di un coinvolgimento personale nell’intervento armato, ma questo probabilmente non può essere definito come dovere di tutti.

Si pone il problema della fedeltà ad un sistema di sicurezza collettiva e questo spiega in Parlamento le due diverse scelte politiche tra cristiani, ambedue ritenute in coscienza legittime e giuste. In tutti però, in quanto cristiani, deve esserci l’orrore per quanto sta succedendo attualmente in questa guerra. È pertanto doveroso richiamare, come fa il Papa, a cercare continuamente vie alternative alla guerra, perché torni presto la pace.

Non solo sono stati violati i fondamentali diritti di un popolo, ma anche le più elementari norme del diritto internazionale, sia nei confronti delle sedi diplomatiche, sia nei riguardi dei prigionieri di guerra. Stante la complessità di questa situazione, alcune linee etiche devono orientare la coscienza dei cristiani.

Primo, questi devono evitare il rischio di alimentare una cultura del nemico e della guerra. La repressione di una ingiustizia non deve comportare l’odio o la volontà di distruzione del popolo iracheno. Occorre soffrire per la morte violenta di ogni uomo in base al principio evangelico che ogni uomo è mio fratello.

Secondo, devono insistere sull’urgenza di avviare una conferenza internazionale per risolvere le altre gravi questioni del Medio Oriente quali la Palestina e il Libano. Se non si fa questo, anche se verrà risolta la questione del Kuwait non si avrà la pace in quella tormentata zona del pianeta.

I cristiani devono insistere sulla necessità di fermare l’industria bellica e il commercio delle armi, che è risultato un orribile mercato di morte, e promuovere la conversione delle fabbriche di armi in industrie alternative. Infine, i cristiani sanno che la pace può nascere solo se cambia il cuore dell’uomo, e il cuore non lo cambia la guerra ma la grazia di Dio, da implorare con insistente e fiduciosa preghiera.