[«ARENA GOLFO», 27 GENNAIO 1991] «LA PACE GUIDI LA SORTE DEI POPOLI»

Il 27 gennaio 1991, per iniziativa del movimento Beati i Costruttori di Pace, si svolge nell’Arena di Verona una manifestazione straordinaria contro la guerra del Golfo. Affiancando il movimento per la pace che in quei giorni attua con successo un’iniziativa di diplomazia popolare, inviando una delegazione a Bagdad per trattare direttamente col governo iracheno la liberazione degli ostaggi italiani, l’incontro in Arena di Verona riunisce diecimila persone. Grande è la partecipazione del mondo cattolico di base, che raccoglie l’invito di papa Giovanni Paolo II: «Mai più la guerra, avventura senza ritorno». Fra i messaggi che giungono in Arena, viene letto e riproposto qui di seguito quello di Mons. Loris Capovilla, già Segretario di Papa Giovanni XXIII:

 

Mons. Loris Capovilla, già Segretario di Papa Giovanni XXIII e Vescovo Emerito di Loreto.

LA PACE GUIDI LA SORTE DEI POPOLI
Messaggio di Mons. Loris Capovilla, già Segretario di Papa Giovanni XXIII e Vescovo Emerito di Loreto

Sono nato nel corso della guerra 1914-1918. La prima immagine stampata nella mia fantasia di bimbo di tre anni, è quella di mio padre in grigioverde. Ho ricordi tristissimi degli anni ‘20 di questo secolo, funestati da lotte sociali, culminate con la sconfitta della giustizia.

Ho percorso il curriculum di studi teologici tra la guerra d’Abissinia e la guerra di Spagna. Sono stato ordinato prete la vigilia della seconda guerra mondiale. Ne ho conosciuto gli orrori, aggravatisi negli anni 1943-1945. Ho solidarizzato col popolo ebraico, crudelmente perseguitato. La rilevazione dei delitti compiuti nelle sue carni dai fautori di dottrine negatrici di Dio e dispregiatrici della persona umana, mi fanno vergognare d’essere sopravvissuto.

Lo strisciante stillicidio della guerra fredda mi ha agghiacciato il cuore. Ho sofferto sino allo sgomento nei giorni delle repressioni sanguinose di donne e uomini insorti, anelanti alla libertà, al di qua e al di là degli oceani: libertà di pensiero, di religione, di associazione: ho accompagnato con strazio il lento decorso della guerra di Corea e del Vietnam; i conflitti India-Pakistan, le guerre in Israele, Palestina, Libano, Cipro, Corno d’Africa. Ho sofferto la notte di tenebre piombata sui popoli di schiavitù, oppressione, sfruttamento.

Mi è sembrata vittoria di tutto il genere umano, quando, negli anni ‘60, Giovanni XXIII, l’antico padre, nutrito col messaggio cristiano e col sudato pane della tradizione contadina, innalzò sulle contese internazionali il vessillo dell’enciclica «Pacem in terris». Questo documento nulla ha perduto della sua forza persuasiva e della sua attualità: «La pace rimane solo vuoto suono di parole, se non è fondata su quell’ordine che il documento ha tracciato con fiduciosa speranza: ordine fondato sulla verità, costruito secondo giustizia, vivificato ed integrato dalla carità, e posto in atto nella libertà».

Era voce di un vecchio saggio, non di un europeo o di un occidentale; voce che sollecitava ad inoltrarsi finalmente sulla strada della autentica conversione e dell’imperativo evangelico: «Amatevi gli uni gli altri»; voce di fratello di tutti coloro che hanno fatto della pace il leit-motiv di servizio e di testimonianza; voce della coscienza universale maturatasi al punto da dichiarare che l«a guerra è in ogni caso irragionevole e disumana».

I cristiani, stimolati dai loro profeti, in comunione sincera con i credenti in Dio e con le donne ed uomini di buon volere, largamente presenti in tutte le aree culturali e religiose del mondo, son decisi più che mai a costruire e consolidare la pace. Fermamente convinti che gli esseri umani, onesti e solidali, possono e debbono risolvere, con intelligenza e con amore, ogni problema al tavolo delle trattative, vogliono operare dal di dentro delle istituzioni culturali, religiose e politiche, con competenza scientifica, capacità tecnica, esperienza professionale; consapevoli però che queste qualità, se sono necessarie, non sono sufficienti per ricomporre i rapporti della convivenza in un ordine genuinamente umano, cioè in un ordine di cui fondamento sia la verità, misura e obiettivo la giustizia, forza propulsiva l’amore, metodo di attuazione la libertà.

Essi sanno che «a tale scopo si richiede certamente che gli esseri umani svolgano le proprie attività a contenuto temporale, obbedendo alle leggi che sono ad esse immanenti, e seguendo metodi rispondenti alla loro natura, ma si richiede pure allo stesso tempo che svolgano quelle attività nell’ambito dell’ordine morale, quindi come esercizio o rivendicazione di un diritto, come adempimento di un dovere e prestazione di un servizio».

Siamo oggi sull’orlo di un precipizio? Lo fummo nell’ottobre 1962, durante la crisi dei Caraibi. Allora Giovanni XXIII si rivolse a John Kennedy, a Nikita Krusciov e ai responsabili dell’ONU e delle nazioni coinvolte in quella avventura: «Con la mano sulla coscienza, ascoltino il grido angosciato che da tutti i punti della terra, dai piccoli innocenti e dagli anziani, dai singoli individui alle comunità, sale verso il cielo: Pace, Pace! Supplico i capi di stato di non restare insensibili a questo grido dell’umanità. Facciano tutto ciò che è in loro potere per salvare la pace, così eviteremo al mondo gli orrori di una guerra, di cui nessuno potrebbe prevedere le spaventevoli conseguenze. Continuino a trattare. Sì, questa disposizione leale e aperta ha grande valore di testimonianza per la coscienza di ciascuno e in faccia alla storia. Promuovere, favorire, accettare trattative, ad ogni livello e in ogni tempo, è norma di saggezza e di prudenza, che attira le benedizioni del cielo e della terra».

Uniti a tutti coloro che, come credenti auspicano, come cittadini pretendono, la ripresa delle trattative per la risoluzione del conflitto in atto nel Medio Oriente, nel riconoscimento del diritto di tutti i popoli, facciamo riecheggiare anche il monito che Paolo VI, dalla tribuna dell’ONU, con intonazione di preghiera e di profezia, ha lanciato il 4 ottobre 1965, festa di Francesco d’Assisi: «Voi attendete da noi questa parola che non può svestirsi di gravità e di solennità: non l’uno sopra l’altro; non gli uni contro gli altri, non più, non mai. A questo scopo principalmente è sorta l’Organizzazione della Nazioni Unite, contro la guerra e per la pace. Ascoltate le chiare parole di John Kennedy: l’umanità deve porre fine alla guerra, o la guerra porrà fine all’umanità. Non occorrono molte parole per proclamare questo sommo fine dell’ONU. Basta ricordare che il sangue di milioni di uomini e innumerevoli e inaudite sofferenze, inutili stragi e formidabili rovine sanciscono il patto che vi unisce, con un giuramento che deve cambiare la storia futura del mondo: non più la guerra, non più la guerra. La pace, la pace deve guidare le sorti dei popoli e dell’intera umanità».