[«ARENA 3», 30 APRILE 1989] IL MOVIMENTO «BEATI I COSTRUTTORI DI PACE» PER LA GIUSTIZIA, LA PACE E LA SALVAGUARDIA DEL CREATO

Messaggio diffuso in occasione dell’incontro “Arena 3“, Verona 30 aprile 1989, al quale hanno partecipato ventimila persone.

Giustizia, pace e salvaguardia del creato. Siamo arrivati all’Arena perché abbiamo chiara la coscienza che questi obiettivi costituiscono per ciascuno di noi e per tutti gli uomini la grande scommessa sulla vita del nostro tempo; non una scelta facoltativa, ma una necessità che per la risposta ci pone tempi molto stretti.

I testimoni del Sudafrica e dell’America Latina ci hanno messo dentro alla passione quotidiana della maggioranza dei popoli del mondo: storie di sistematica ingiustizia, di violenza diffusa e intollerabile, di condizioni di vita sempre più impossibili, di distruzione selvaggia dell’ambiente e di saccheggio istituzionalizzato delle risorse. Bambini nati per essere subito uccisi dalla fame, dalla diarrea, dalla verminosi, “meninos da tua” a milioni nelle periferie delle grandi città, donne, lavoratori umiliati con non-lavoro, non-casa, non-istruzione, non-sanità o pagati 35.000 lire il mese, sfruttati e prostituiti.

Bambini, donne, uomini come noi? della stessa carne, della stessa terra, dello stesso tempo e perciò con gli stessi bisogni e diritti? Come possiamo definire la storia oggi? Comunità di uomini in cammino o urlo dei “dannati della terra”? Le cifre pendono spaventosamente dalla parte di questi ultimi: volti e drammi di ogni giorno, da oggi, anche di ogni nostro giorno. Oggi ci è chiaro che costruire la pace significa riconoscere fino in fondo come nostra la storia degli impoveriti del mondo, dando loro la precedenza assoluta. Con i loro occhi possiamo scoprire che cos’è realmente, su che cosa poggia e qual è il prezzo di quello che chiamiamo “sviluppo” e che presentiamo come “modello” al mondo intero.

Uno sguardo doloroso per noi ma vitale. Per un verso costateremo che, nonostante le nostre dichiarazioni di principio, questo “malsviluppo” tocca e si esprime nel nostro normale e quotidiano sistema di vita. Per l’altro verso ci imbatteremo nelle cause della nostra ingiustizia nei confronti dei popoli impoveriti, troveremo la radice profonda dell’aumento inquietante del degrado ambientale, saremo costretti a ripensare e rivedere tutta la nostra “storia di pace”.

Vogliamo ricordare qui il 40° anniversario della Nato che, fondata il 4 aprile 1949, portò pochi anni dopo (14 maggio 1955) alla nascita del Patto di Varsavia quale sua controparte militare nell’area dell’Est, costringendoci a vivere in un mondo e in particolare in un’Europa dei blocchi. E questa realtà esterna si è radicata in noi a tal punto che si è andata formando una mentalità dei blocchi contrapposti. E così il “discorso della montagna” di Gesù è stato messo nel cassetto o, meglio, si è cercato di adattarlo a questa mentalità spezzando l’unitarietà della nostra persona in due: quella della sfera privata che deve rimanere fedele alle beatitudini e quella della sfera pubblica che invece ha diritto di armarsi, di calpestare le libertà altrui, di distruggere l’ambiente per difendere interessi di gruppo, imponendo la legge del profitto e del più forte.

La mentalità dei blocchi contrapposti ha portato al diffondersi dell’integralismo e dell’innalzamento di steccati di ogni tipo, religiosi, politici, ideologici; ha portato ancora alla creazione di nazioni-fortezza contribuendo così a far aumentare i forti dislivelli tra paesi impoveriti e paesi “ricchi”. Inoltre, in nome di questa mentalità, abbiamo giustificato la corsa agli armamenti di ogni tipo, esportato guerre per incrementare produzione e commercio di armi ed è stata postulata l’accettazione delle armi atomiche, distruttrici di ogni forma di vita. E questo equivale ad ammettere che vi è qualcosa che fa più paura della morte stessa: il nemico.

La mentalità dei blocchi contrapposti ha chiuso i nostri occhi sui veri problemi di oggi. Non ci rendiamo conto che stiamo divorando le risorse dei popoli opprimendoli e che stiamo autodistruggendoci, avvelenando il pianeta e mettendo in serio pericolo la prosecuzione della vita stessa. Oggi ci troviamo qui all’Arena perché abbiamo capito che la vecchia via non è percorribile; ma che fare concretamente? Non ci troviamo di fronte a problemi più grandi di noi, ad abitudini e strutture ormai consolidate da decenni? I testimoni del Sud del mondo presenti tra noi non ci dicono solamente quali sono i problemi umani su cui misurarci con urgenza, ma anche su quale forza e su quale speranza poter far conto; sono qui anche come rappresentanti di tutti coloro che rischiano la vita quotidianamente, loro stessi minacciati di morte. La loro persona ci dice che non ci sono problemi impossibili finché la speranza è più forte della morte.

La prima cosa da dirci, noi, bambini, donne, uomini, quelli che siamo è che non ci rassegniamo e non deleghiamo: abbiamo coscienza che i popoli sono i veri ed unici soggetti capaci di affrontare la situazione. Non esistono problemi umani che non ci riguardino e che possano venirci sottratti, neanche dagli stati e dai loro segreti. Per questo siamo disposti a tutte le obiezioni di coscienza necessarie, da quella al servizio militare a quella alle spese militari, da quella bancaria a quella professionale.

La seconda cosa da dirci: siamo disposti in prima persona a tutti i cambiamenti richiesti, trasformando da subito il nostro modello di vita sui valori della sobrietà, della solidarietà e della condivisione. Sono sempre più numerosi fra noi gli immigrati dai paesi impoveriti che cercano una possibilità di sopravvivenza. Dall’accoglienza che riserviamo, dai diritti che riusciremo a garantire loro, inizia la nostra storia nuova con i popoli… ricordando che anche noi siamo stati popoli di emigranti.

Gli emigrati ci aiuteranno a riconoscere e ad affrontare da subito anche tutti gli altri problemi, perché nessun uomo debba essere strappato alla sua terra e alle sue radici affettive e culturali. In particolare ci impegnamo perché l’Italia awii un nuovo rapporto politico e commerciale tra Nord e Sud del mondo che permetta a ques’ultimo di risollevarsi. Oggi i 1.200 miliardi di dollari (cifra impiegata annualmente nel mondo per la difesa armata) di debito estero dei paesi impoveriti costringono i paesi del Sud a dirottare verso le banche creditrici i finanziamenti necessari per lo sviluppo delle popolazioni locali e rendono emblematicamente vere le parole di Lula: «La terza guerra mondiale è già cominciata. Invece di soldati ci sono bambini che muoiono, invece di milioni di feriti ci sono milioni di disoccupati, invece della distruzione di ponti c’è la distruzione di fabbriche, di scuole, di intere economie».

In modo particolare, sullo spinoso problema del debito estero chiediamo al Governo e alla Comunità Europea di far proprie le proposte avanzate dal Tribunale Permanente dei Popoli, per realizzare subito una moratoria del pagamento degli interessi sul debito e per convocare presso l’ONU una Conferenza internazionale dei paesi debitori e creditori per la definitiva soluzione del problema. Intanto, a livello territoriale, facciamo in modo che venga incentivata la vendita di prodotti provenienti direttamente dal Sud del mondo, saltando le mediazioni commerciali speculative. Favoriremo progetti alternativi alle monocolture e al degrado ambientale e stimoleremo la ricerca di nuove regole commerciali eque e solidali con i paesi impoveriti.

Promoviamo la creazione e la diffusione di banche, tipo MAG (Mutua autogestione), che garantiscano un corretto utilizzo dei fondi in progetti di cooperazione. A livello sociale e politico impegnamoci a potenziare istituzioni non governative effettivamente in grado di soddisfare i diritti economici, sociali, culturali, civili e politici delle persone e delle comunità umane.

Prenderci cura degli uomini significa anche rivedere radicalmente il nostro atteggiamento con la natura. Siamo catturati ogni giorno dalla pubblicità della società dell'”usa e getta”, ma ormai i disastri ecologici (Seveso, Bhopal, Chernobyl, petroliere…), il buco nell’ozono, l’effetto serra, l’inquinamento atmosferico, l’avvelenamento dell’acqua e della terra, le alghe dell’Adriatico, la desertificazione e la distruzione delle foreste, l’accumulo dei rifiuti mostrano quanto siano tossici i frutti del nostro modello.

L’inversione di tendenza non possiamo aspettarla da altri; la realizziamo:
• cominciando dalle scelte personali (meno sprechi, meno consumi, diversificazione dei rifiuti, rifiuto dei pesticidi, uso della bicicletta, rispetto dei ritmi naturali);
• contrastando e denunciando tutti gli abusi che vengono perpetrati nel territorio per clientele, per interessi e per incoscienza;
• partecipando alle scelte di programmazione.

A livello nazionale chiediamo ai responsabili politici italiani che venga sostenuta la proposta di una Convenzione per la protezione dell’atmosfera terrestre. Il no al nucleare, o meglio il no alla via energetica dura uscito dal referendum del novembre 1987 deve portare allo sviluppo di programmi concreti delle fonti alternative, deve diventare cioè un chiaro sì alla via del sole, la via del risparmio energetico, delle fonti rinnovabili, della diversificazione, della decentralizzazione.

La necessità di armonizzare la vita presente e futura dell’umanità con l’ambiente ci induce a limitare la produzione di rifiuti (soprattutto quelli nocivi) e attuare programmi di riciclaggio evitando di scaricarli sui territori altrui. Prendersi cura dell’uomo, rispettare l’ambiente, significa non investire più nella politica di potenza. Per rispondere alle sfide odierne poste dall’interdipendenza, a cominciare da quelle dello sviluppo e dell’ambiente, occorre passare dall’idea della “difesa nazionale” all’idea della “sicurezza planetaria”, i cui problemi sono di natura economica, sociale e culturale, non militare.

La sicurezza, così concepita, esige che i vari conflitti vengano risolti da una unica autorità mondiale, cioè l’ONU adeguatamente democratizzata, la quale deve farsi carico anche del superamento degli eserciti nazionali mediante la creazione di apposito organismo operativo.

L’atmosfera di distensione in atto offre una occasione storica per promuovere una coraggiosa corsa al disarmo, anche con segni di azioni unilaterali, e avviare la costruzione di una “sicurezza comune” in cui venga esclusa qualsiasi capacità di minaccia e aggressione verso l’esterno, instaurando così un vero dialogo e una fiducia reciproca.

Chiediamo dunque che il Parlamento e il Governo italiani si impegnino in questa direzione operando per:
• rafforzare e democratizzare il sistema delle Nazioni Unite;
• bloccare i piani di modernizzazione di tutte le armi nucleari;
• sostenere tutte le iniziative volte ad eliminare dall’Italia e dall’Europa le armi di sterminio a partire dall’abbandono della teoria della “risposta flessibile” che giustifica il primo colpo nucleare;
• dare il proprio supporto ad accordi per una drastica riduzione delle forze convenzionali in Europa;
• arrestare ogni progetto di riarmo dell’Italia quali la produzione del caccia europeo “EFA” degli anni ’90, il progetto della seconda portaerei ed il progetto di realizzazione della base di Crotone per lo stanziamento dei cacciabombardieri F 16 oggi stazionati in Spagna.

Tutto questo, lo ripetiamo, in vista di un progressivo disarmo sia all’Ovest che all’Est, per facilitare i cambiamenti in atto nell’Unione Sovietica e per togliere l’illusione di risolvere la tensione Nord-Sud aumentando il nostro potenziale bellico.

Chiediamo inoltre una legge che controlli e riduca il commercio delle armi, la riduzione e il controllo parlamentare delle spese militari. La rapida approvazione della nuova legge sull’obiezione di coscienza, l’abolizione della legge sul segreto militare, e l’istituzione di un fondo per la riconversione dell’industria bellica in industria civile.

L’incontro dell’Arena è un segno chiaro, diretto ai nostri politici a livello nazionale ed europeo, per aiutarli ad abbandonare le paure e i complessi di potere di cui spesso sono schiavi. In questo senso lanciamo, insieme a numerose altre associazioni e movimenti, un appello affinché giustizia, pace e salvaguardia del creato siano poste al centro della prossima consultazione elettorale europea per la costruzione di un’Europa democratica e non violenta.

Questa assemblea, nell’antico anfiteatro romano dove i cristiani dilaniati dalle fiere diventavano spettacolo, è anche un segno ecclesiale: il cristiano di oggi riscopre l’antico coraggio della testimonianza e dell’annuncio. In sintonia con il cammino ecumenico verso Basilea ’89 e Seoul ’90 ci impegnamo e cheidiamo che le grandi tematiche di oggi assunte dagli appelli pontifici “Populorum Progressio” e “Sollecititelo Rei Socialis” diventino pastorale ordinaria, catechesi quotidiana. Se in questa grande svolta etico-culturale, in questa inversione di tendenza che parte dalle coscienze, non ci aiuta soprattutto la fede, chi ci aiuterà?

Insieme a tutti, uomini e donne di buona volontà, annunciamo da queste antiche gradinate, testimoni del passato, la fiducia e la speranza che non la morte ma la vita trionferà.

 

Messaggio del Cardinale Carlo Maria Martini

Volentieri invio il mio saluto agli organizzatori, a coloro che offriranno la loro testimonianza e a tutti i presenti a codesto incontro promosso da “Beati i costruttori di pace” presso l’Arena di Verona. Con il saluto vi giunga anche il mio compiacimento per questa vostra iniziativa di riflessione e di sensibilizzazione, che opportunamente prepara all’ormai vicinissima Assemblea ecumenica europea di Basilea “Pace nella giustizia”.

Mi rivolgo a voi con le parole del saluto pasquale di Gesù ai suoi discepoli: “Pace a voi!”. Non è soltanto l’espressione di un augurio: è l’offerta di “un dono, il dono della nuova e definitiva alleanza. Lo Spirito Santo, primo dono del Signore ai credenti, è l’annuncio, la garanzia e il suggello di questa alleanza eterna. Essa riguarda tutta la creazione, perché, insieme a noi, l’universo creato – come scrive l’Apostolo – “geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto” e attende “di essere lui pure liberato dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio” (cfr. Rom 8,21-22).

Questa stessa alleanza, riassunta ed espressa nel dono della pace, richiede e suscita, come atteggiamento necessario, la giustizia. Una giustizia che si apre alle dimensioni della solidarietà e che raggiunge la sua perfezione nell’amore.

Il vostro impegno, così come il compito di ogni cristiano, è innanzitutto quello di annunciare e testimoniare la certezza di queste realtà, che si possono sintetizzare nel “Vangelo della pace”. Nello stesso tempo – come scrivevano tre anni fa i Presidenti delle Conferenze Episcopali Europee – “la pace deve nascere da una conversione e il Vangelo della pace inizia necessariamente con una chiamata alla conversione, rivolta a tutti noi. Non esiste altra strada (…). Cristo Gesù, nostro Signore, “che ha distrutto il muto dell’odio” (cfr. Ef, 2,14) e “che è nostra pace” (ib.), chiama anche noi a percorrere il cammino della pace. Egli ci invita ad amare quelli che — a torto o a ragione — chiamiamo nostri “nemici”. Si aspetta che noi facciamo il primo passo, correndo dei rischi, per arrivare alla riconciliazione. Egli chiama beati gli operatori di pace, coloro che la costruiscono. Esige dai suoi discepoli la pratica della pace e della riconciliazione (lettera dell’8 marzo 1987).

Oltre all’annuncio, quindi, ci sono richiesti la conversione e l’impegno. Si tratta perciò di confessare le nostre colpe, le nostre chiusure, i nostri rifiuti, i nostri ritardi di fronte al dono e al compito della pace. Come già durante il quarto incontro ecumenico europeo di Erfurt dello scorso autunno, è necessario riconoscere che anche nella nostra Europa non mancano i segni della resistenza al Regno di Dio, perché il peccato si manifesta personalmente e socialmente. Questi segni hanno a che fare con le ineguaglianze sociali, la disoccupazione, la mancanza di prospettive per il futuro per molti giovani, il risorgere di episodi di razzismo, la violazione dei diritti dell’uomo e della libertà, il persistere della corsa agli armamenti e della minaccia nucleare, oltre che — su un versante tipicamente ecclesiale — con il perdurare delle nostre divisioni tra cristiani (cfr. Messaggio finale).

All’annuncio e alla confessione delle nostre colpe deve accompagnarsi l’impegno e l’assunzione di responsabilità. L’Europa, che è stata la patria delle divisioni tra i cristiani e la culla e il teatro dei più gravi conflitti tra i popoli, ha, senza dubbio, una responsabilità maggiore al riguardo e una missione specifica e storica da vivere. Come cristiani e come cittadini europei siamo partecipi di questa responsabilità e di questa missione. Va, dunque, moltiplicato ogni sforzo per la ricomposizione perfetta dell’unità tra i cristiani. Come pure siamo invitati a continuare nel cammino di “comprensione vicendevole e di unità di tutto il nostro Continente, a lavorare per il bene dell’umanità in Europa e in tutto il mondo, ad aprirci di più alle nuove generazioni…, a favorire azioni concrete per migliorare la qualità della vita, a lasciarci coinvolgere senza reticenze a favore della giustizia e della pace» (Messaggio finale del quarto Incontro ecumenico europeo di Erfurt).

La vostra riflessione sul debito estero dei paesi poveri, sul degrado dell’ambiente e sul disarmo, con le relative proposte di itinerari educativi può ben inserirsi in questo cammino più ampio. L’augurio è che anche il vostro incontro possa contribuire alla costruzione della pace nella fiducia e nella verità e possa costituire un’adeguata preparazione al prossimo incontro di Basilea. In esso, tutte le chiese cristiane d’Europa saranno chiamate a rinnovare il loro annuncio del vangelo della pace, a individuare le strade di una coraggiosa conversione e a lasciarsi interrogare sui compiti e sugli impegni che le riguardano per l’accoglienza e l’edificazione della “pace nella giustizia”.

fonte: Rivista “Pace, diritti dell’uomo, diritti dei popoli” anno III, n.1/1989