[di Sergio Paronetto (Pax Christi) • 24.02.02] In questi giorni si è parlato della ragazza cristiana sudanese, la cui condanna a morte è stata annullata. Alcuni giornali hanno dato molto spazio a interpellanze del centro-destra a suo favore. Bene. Altri sono intervenuti per il suo diritto alla vita in silenzio. A proposito del Sudan, è bene informare a tutto campo.

ARMI, PETROLIO E DIRITTI UMANI IN SUDAN

 Occorre ricordare l’iniziativa della “Campagna italiana per la pace e il rispetto dei diritti umani in Sudan”, promossa da Caritas, Pax Christi, Acli, Amani, Arci, Cespi, Cesvi, Cuore amico, Mani Tese, Missionari comboniani, Nigrizia e Raggio), operante dal 1995. Essa sta svolgendo un lavoro di pressione politica a sostegno dei diritti umani violati in molte parti del paese, soprattutto sui monti Nuba (dove è necessario aprire corridoi per l’aiuto a popolazioni decimate ed escluse dagli interventi umanitari internazionali) e ha attivato canali di comunicazione e di scambio con realtà associative sudanesi. Su tali problemi interviene spesso padre Renato Kizito Sesana, assieme ad alcuni missionari veronesi, tra i quali sono molto attive le suore. Nel ’99 la Campagna ha organizzato il forum “Prospettive di pace in Sudan” che ha consentito un confronto fra esponenti della società civile e della vita politica sudanese. Il 5-6 ottobre 2001 ha promosso un convegno a Cremona dal titolo “Acqua e petrolio in Sudan: guerra e diritti umani”. Sono intervenuti rappresentanti dell’ONU, dell’Università di Padova, di Firenze e di Karthoum, giornalisti, uomini politici e il vescovo ausiliare di Karthoum Daniel Adwok. Il tema acqua-petrolio è stato ed è all’ordine del giorno anche del network “European Coalition on Oil in Sudan” che tenta di impedire l’aggravarsi della guerra civile in corso, che sta causando ormai da vent’anni sofferenze inaudite alla popolazione civile. “Prima la pace! Il petrolio alimenta la guerra in Sudan” è il motto della mobilitazione europea che invita le compagnie petrolifere (di origine cinese, malese, britannica, canadese, svedese, austriaca e ora anche russa; ci anche sono apporti tecnici italiani) a sospendere le loro attività fino a quando non vi siano garanzie certe di una pace giusta e duratura. I proventi petroliferi, dicevano i relatori presenti a Cremona, servono in gran parte al governo per acquistare armi. I missili recentemente acquistati dal Sudan sono “figli del petrolio”. Ultimamente, informa “Mondo e Missione” (febbraio 2002), il Sudan ha preannunciato un aumento della produzione di greggio di 60.000 barili al giorno, grazie allo sfruttamento dei campi petroliferi di Bentiu e di Menga, nel Sud Sudan. Si tratta di due aree spopolate perché la gente è stata cacciata o uccisa. La stessa sorte stanno subendo migliaia di sfollati che si sono ammassati nel distretto di Aweil, nel Bahr el Ghazal. Il vescovo di Rumbek, Cesare Mazzolari, ha raccontato all’agenzia “Fides” che molte famiglie, composte da madre e una o più figlie, sono scappate da Raga e da altre località più a nord per evitare di essere rapite o ridotte in schiavitù. Egli ha fatto appello alle Nazioni Unite perché la situazione risulta disperata. Molti si cibano di foglie e per avere acqua devono camminare almeno due ore. L’anno scorso, i vescovi cattolici ed episcopaliani del Sudan hanno affermato che “l’estrazione del greggio alimenta la guerra, sradica intere popolazioni civili e rafforza l’esistente squilibrio nella divisione della ricchezza”. Recentemente, sono intervenuti anche i vescovi del Kenya che si sono espressi contro l’acquisto del petrolio sudanese da parte del loro paese, perché Nairobi non diventi complice di un “business” che sta aggravando le sofferenze delle stremate popolazioni sudanesi. Dal punto di vista organizzativo, la campagna Sudan è coordinata dalla Caritas e da Pax Christi. Il suo sito è www.campagnasudan.it.  Sono disponibili anche kit didattici sulla realtà sudanese, compreso un calendario utile per conoscere gli elementi minimi essenziali del problema. In alcune scuole è già in uso.