[di Maria De Falco Marotta & Elisa Marotta • 28.11.03] Altro che pecora Dolly o il Frankenstein di Mary Shelley! Nei giorni della vernissage (giugno 2003) dopo aver visto con molta attenzione e un senso di smarrimento profondo le opere di Patricia Piccinini, che sono visibili nel suo sito: www.patriciapiccinini.net  ci siamo fermate subito dopo la scalinata che porta nel Padiglione australiano, per “registrare” l’effetto che produceva la visione delle sue opere sugli esperti visitatori provenienti dall’intero globo...

ARTE. UNA FAMIGLIA SCONVOLGENTE

(We are family, Padiglione australiano, Venezia, Biennale Arte 2003).

Altro che pecora Dolly o il Frankenstein di Mary Shelley! Nei giorni della vernissage(giugno 2003) dopo aver visto con molta attenzione e un senso di smarrimento profondo le opere di Patricia Piccinini, che sono visibili nel suo sito: www.patriciapiccinini.net  ci siamo fermate subito dopo la scalinata che porta nel Padiglione australiano, per “registrare” l’effetto che produceva la visione delle sue opere sugli esperti visitatori provenienti dall’intero globo.
Ebbene, più che meraviglia per le “novità”, si leggeva orrore sui visi della gente che, spesso, incespicava nello scendere quei quattro gradini e, soprattutto, non voleva commentare. Come si fa a tradurre in parole emozioni sconvolgenti provocate dall’arte moderna che si combina in modo così accorto con le nuove tecnologie?
Cosa si sarebbe potuto spiegare, a caldo,  sulle creature clonate di Patricia Piccinini, artista bella e giovane (è nata in Sierra Leone nel 1965, ha una laurea in storia economica e un’altra in Arti pittoriche) che vive a Melbourne con un lavoro di coordinatrice della «Basement Project Gallery» e può vantarsi di avere esposto parecchie sue produzioni nei maggiori musei del mondo- Stati Uniti, Spagna, Germania, Corea, Giappone, Inghilterra…, mentre nel 2003 nel padiglione australiano per la 50 Esposizione Internazionale d’Arte (Venezia), diventato una specie di “casa”, l’ha popolato di famiglie di esseri transgenici, di altre creature non facilmente identificabili ma che, allo stato embrionale, possono essere bambini, madri, cloni?
C’è veramente da sentirsi male di fronte al futuro prospettato con tanta lucidità da Patricia che, impudicamente, ha mostrato un video shoccante che raffigura un ciclo infinito di creazione e crescita di materia informe, oltre che esperimenti con le cellule staminali. E se poi vogliamo essere sinceri, quella specie di scrofa con un viso di  vecchia, attorniata dai suoi cuccioli appena dati alla luce, ti richiama quella donna di 62 anni, certamente all’apparenza meno anziana per le cure estetiche cui le donne si sottopongono in occidente, che partorì una bimba dopo essersi sottomessa alla fecondazione in vitro eseguita dal ginecologo Severino Antinori. Che orrore: la fantascienza diviene realtà , così in fretta che rende concepibile l’idea che questa “scrofa” o, molto più amabilmente, creatura “diversa”, esista nel nostro mondo.
C’è da chiedersi, allora: non è che vediamo la “mostruosità” di quest’essere repellente come una minaccia alla continuità della nostra specie? E non sottolinea il potenziale creativo, ormai libero, anzi scatenato della prassi transgenica che ci sta abituando ai pomodori che divengono migliori con i geni del salmone (ci fanno così risparmiare tempo nel preparare un secondo piatto), oppure ai materiali biologici di una specie che vengono fatti crescere o trapiantati in quella di un’altra?
 
DOMANDE & RISPOSTE
 
Patricia, come mai questa sua passione nel riprodurre esseri così diversi, diremmo “mostruosi”come nella letteratura di tutti i tempi?
 
Nel 1996 mi trovavo in alcuni musei medici e con la matita cercavo di riprodurre sulla carta, le patologie e le aberrazioni. Subito provai interesse per  il  modo in cui la tecnologia delle strutture mediche illustravano le nostre idee del normale e del naturale. Fui affascinata da queste idee e felice di questa nuova prospettiva di lavoro. In modo crescente, le idee con le quali io stavo trattando giravano attorno al rilevamento genetico e alla manipolazione, considerando anche l’impatto in aumento di medico e di  tecnologie sul corpo. Come artista, sono interessata primariamente alle idee, particolarmente a quelle che hanno attinenza diretta alla vita contemporanea. La mia attenzione alla tecnologia contemporanea procede da lì, come  trovo impossibile trattare con i problemi contemporanei senza referenza alla tecnologia contemporanea. Io non sono una formalista o una purista: comincio con un’idea e poi cerco una maniera di rappresentazione che si accordi concettualmente.
Attualmente, il mio interesse profondo è nello status di ‘ natural’ che, politicamente, ne  ha spostato la nostra comprensione. Che cosa è ora il naturale; o quello che costituirebbe la natura  del contemporaneo? La  Natura, l’organico ora è la falda attraverso il cui orlo penetra la tecnologia. L’attinenza di un’opposizione tra natura e tecnologia è, nella mia vita almeno, in modo crescente irrilevante. Il mio vero interesse è in quello che queste significano  per le persone. Direttamente, ho un atteggiamento molto ambivalente verso la tecnologia e la natura. Ambedue sono  le forze, troppo massicce e troppo complesse per essere definite facilmente come buone o cattive. Creo lavori che ideano i loro effetti e offrono un momento al pubblico per riflettere su come si impattino sulle loro vite. Mi piace lavorare lungo linee di colpa e momenti contraddittori che si mescolano ad attimi di compromesso  e godimento.
In quanto alle forme di tipo ibrido (centauri, sirene, fauni, minotauri…) esistono nelle culture umane dalla preistoria. Molto prima dell’ingegneria genetica, i miti presentavano le possibilità e le conseguenze di incrociare tra loro animali, vegetali e umani.
 
La realtà contemporanea le piace?
 
Sono affascinata dal consumismo, dalla sua bellezza fragile, ingiustificabile e sottile. Per me è l’archetipo di quelle cose che, anche se non sono buone per noi, non le favoriamo, ma possiamo amare. Sono sedotta dalla varietà, dalla complessità, dalla bellezza e dalla seduzione del consumismo. Sono ugualmente consapevole di come sia inconsistente, verniciato di perfezione, che poi è la sua  forza. Nel mio lavoro invento uno spazio che può far riflettere un momento sulla bellezza compromessa, e gode e si meraviglia di ciò senza negare le sue crepe e menzogne.
 
Cosa pensa della tecnologia?
 
La tecnologia contemporanea è piena di promesse e miti. La cultura dei Media gioca sulle nostre speranze e desideri per la tecnologia con una moltitudine di assicurazioni. La clonazione, internet punto- com, la manipolazione genetica, la biologia,  la nano- tecnologia ,hanno  rinnovato radicalmente il nostro mondo, fabbricando loro un buon luogo. Nessuno, all’inizio, pose domande, perché si pensava che niente di prezioso vi fosse in alcune di queste cose. Come artista, sto tentando di dare un’opinione e di promuoverla in quanti vedono i miei lavori. La mia soluzione è un compromesso: solo perché qualche cosa è cattivo, non voglio nemmeno dire che non è buono. Certamente la tecnologia è un aspetto interpretativo della mia pratica, sia a  livello formale che  concettuale, però non mi piace pensare che definisca il mio lavoro. Piuttosto, le idee definiscono il mio lavoro e la tecnologia trasforma quelle idee in un vissuto  di  esperimenti.
 
Patricia i suoi lavori sono prevalentemente nel campo della frontiera della scienza: cosa l’affascina di più?
 
Attraverso le mie  sculture, fotografie ed ambienti di video, sin  dai primi giorni del 1990, ho iniziato a provare un gusto per la forma umana e la sua potenziale  manipolazione e il suo accrescimento attraverso l’intervento bio- tecnologico. Dal rilevamento del genoma umano alla crescita di tessuto umano, innesti e ibridazioni varie, un terreno in cui i progressi scientifici e le domande etiche si attorcigliano, le idee sulla natura e la sua simulazione sono diventati centrali nei miei  lavori, per mettere in dubbio quello che è  il reale e quello che non lo è. Mi aiuto con la tecnologia del computer, che smaschera la realtà e l’artificio,  proponendo la natura  come un’invenzione umana e come essa sia  un concetto empirico. Mi piace inventare un mondo in cui la narrativa e la fantasia co- esistono. Nel nostro mondo  che sta rapidamente cambiando,  cosa costituisce  il reale in ogni modo? La pubblicità contemporanea e la cultura del consumismo attirano in modo seducente,  nel momento in cui respingono . Anche il prodotto più banale: mostrato nella luce giusta, diviene un’asserzione di maniera. L’identità personale ed i problemi che lo circondano giacciono al centro del mio progetto. I miei lavori pongono la domanda:  quello fabbrica cosa e noi siamo chi? Per se il corpo può essere disfatto e può essere rifatto attraverso la tecnologia, questo che implicazioni ha per la nostra identità come esseri umani?
Ultimamente, i reportage  televisivi sull’inserzione di organi di maiale surrogati in corpi umani, hanno suscitato faville nel  dibattito sulla natura dell’identità e la sua contaminazione potenziale. I benefici e gli  inconvenienti di una terapia genetica per curare una  malattia, oppure raccolti genetici clonati per sconfiggere la sterilità, offrono un enorme potenziale medico, per la loro resistenza alla malattia. Ogni sviluppo ci sposta e favorisce una via da un immaginato originale o “’essenziale” stesso, verso qualcosa che ancora non conosciamo e che rende  ugualmente problematiche le nostre definizioni passate del naturale. La relazione complessa tra umanità, natura e la tecnologia è tuttora ambivalente. Nei miei lavori, il futuro non sembra così molto lontano. Noi  lo sfidiamo, però, è imminentemente raggiungibile. In un mondo dove la realtà di pre-figure di fantascienza con regolarità allarmante ci impressionava, ora ci ha resi consapevoli che il fantastico diverrà comune all’interno di una questione di tempo.
 
Le sue creazioni sono altamente inquietanti: cos’è la vita e come la classifichiamo nel diritto?
 
Le mie creazioni accentuano alcuni dei problemi etici del Terzo Millennio. La domanda è: cosa classifichiamo come vita, e su che base? Perché creiamo questa vita, e dove è posta l’appartenenza? E a che punto qualche cosa originato in un laboratorio divenuto un’entità vivente ha a che fare con quello che comunemente si ritiene giusto  e  nel diritto? Come noi ci avviciniamo ad un’età di cyborgs, neuro- computer, e le altre creazioni che si sposano con l’organico ed il sintetico? Queste domande dell’identità e sulla moralità sono inevitabili. Sull’uso di tessuto di cervello animale nelle  macchine, per esempio. Occorre, urgentemente, un dibattito positivo  sulle implicazioni, cioè su cosa  noi dovremmo prendere, e quello che noi non dobbiamo assolutamente usare.
L’artificiosità non forma la preoccupazione primaria dell’artista, comunque. L’interesse è diretto invece verso il nostro ruolo nel creare questa forma di vita nuova, e la nostra responsabilità verso questa. Il futuro è pieno di incognite, però dobbiamo esplorarlo.