[Vanni Salvemini • 20.01.05] Fine di un’era. L’aumento inarrestabile dei prezzi è la prova che il petrolio comincia a finire. Anche se gli economisti si ostinano a non capirlo. Cosa stiamo vivendo e quello che rischia di accadere in un’intervista esclusiva a George Soros pubblicata su “Mosaico di Pace”...

BENZINA ESAURITA

Non solo da guerra e terrorismo ma da soprattutto una fase economica tormentata e complessa. Il mondo è sconvolto da una crisi che in molti considerano strutturale. Perché determinata, ad esempio, dall’improvvisa insufficienza di una risorsa chiave, cruciale dello sviluppo, il petrolio. Lo smisurato incremento del prezzo del petrolio, che ormai è sulla soglia dei 60 dollari al barile, nonostante l’OPEC abbia portato la sua produzione al livello record di tutti i tempi, minaccia l’intera economia mondiale e soprattutto non sembra destinato a fermarsi. Dove stiamo andando? Cosa sta avvenendo? Ne abbiamo discusso con George Soros, un guru della finanza, che ha maturato uno giudizio molto critico circa la logica predatoria con cui si stanno governando i problemi del mondo. 

Professor Soros, cosa sta accadendo all’economia mondiale?

Secondo i principi del mercato, quando i prezzi salgono significa che la domanda eccede l’offerta. La domanda sta crescendo per un motivo ben preciso e prevalente: l’Asia meridionale e orientale, e soprattutto la Cina, stanno aumentando in modo straordinario i loro consumi di tutte le materie prime, compresa l’energia. Considerando i tassi di crescita attuali, in pochi anni sarà la prima consumatrice di petrolio, e la sua economia supererà anche quella degli Stati Uniti d’America. C’è un fattore a breve: il colossale errore di calcolo politico e militare commesso dagli USA in Iraq. Il potenziale secondo produttore mondiale di petrolio è quasi inattivo, perché gli Stati Uniti sono riusciti a invaderlo, ma non a prenderne il controllo. Il punto critico dal lato dell’offerta, il più grave, è che gli altri produttori sono già al massimo o quasi della loro capacità. In questi anni le ricerche di giacimenti e le realizzazioni di nuovi impianti estrattivi hanno proceduto con grande lentezza, in presenza di una domanda fiacca. Oggi tutte le attività industriali, che richiedono tempi lunghi per la predisposizione degli impianti, sono in crisi, perché la finanza mondiale premia solo ciò che rende a brevissimo periodo. Quindi nessuno investe in sistemi e impianti che richiedono ritorni decennali dei capitali investiti.  

Intanto, l’economia, sotto il dominio della finanza, sembra staccarsi dalla realtà.

Oggi l’economia mondiale è controllata totalmente dal sistema finanziario, e non più dagli imprenditori. Immensi capitali si spostano letteralmente alla velocità della luce, grazie ai sistemi telematici, alla ricerca della massima redditività a breve e brevissimo periodo. Le borse stanno passando sempre più a una gestione parzialmente o totalmente automatizzata non solo delle operazioni in senso stretto ma anche delle decisioni quotidiane di acquisto e vendita. In questa situazione, tutto ciò che richiede pianificazione a lungo termine e paziente costruzione di organizzazioni, strutture, impianti produttivi diviene un impaccio. Questo mercato finanziario globalizzato è una struttura folle che ha perso ogni contatto con la realtà. Ciò viene giustificato attraverso l’ideologia del libero mercato. La prima e fondamentale premessa di tutte le teorie economiche è che gli operatori finanziari siano razionali, cioè che siano orientati a perseguire il guadagno e non la perdita attraverso scelte logiche. Ma gli operatori di oggi per lo più guardano a indicatori istantanei e si servono di regole estranee a un ambito puramente economico. Gli operatori sono totalmente irrazionali. 

Ma, come spesso accade, sostenendo a lungo un’ideologia si finisce per credervi…

I petrolieri sono orientati all’accaparramento dell’esistente anziché alla ricerca del nuovo. I disastri politici e militari dell’Afghanistan e Iraq nascono da tentativi di estromettere e aggirare Paesi considerati nemici come l’Iran o solo parzialmente amici come la Russia. Ad esempio, da decenni si cerca di far passare un oleodotto in Afghanistan per collegare i giacimenti dell’Asia centrale ex sovietica con i porti del Pakistan, evitando il percorso naturale che coinvolgerebbe l’Iran. In realtà nessuno è mai riuscito a ottenere il controllo del territorio afghano, sebbene ci abbiano provato parecchi imperi nella storia, dalla Persia all’Inghilterra alla Russia prima zarista poi comunista.  

E, invece, dal punto di vista politico, qual è la situazione del petrolio?

Lo “situazione politica del petrolio”, è drammatica. Il maggior produttore mondiale è l’Arabia Saudita. Col risultato che un Paese considerato amico dell’Occidente è anche il centro mondiale del terrorismo islamico, sebbene la cosa non sia chiara all’opinione pubblica. La produzione interna degli Stati Uniti è in calo fin dagli anni ’70 del secolo scorso, tanto che oggi più di metà del petrolio consumato negli USA è importato. Si capisce quindi quanto sia vitale per loro mantenere il controllo della maggior quantità di risorse possibile. L’ideologia neoliberista ha talmente pervaso le menti che tutti inseguono il vantaggio immediato, cercando di conquistare la posizione di massimo privilegio con ogni mezzo, accaparrandosi le risorse esistenti e note, a costo di scontrarsi anche in guerra con chi si oppone. L’invasione dell’Iraq era perfettamente sensata in questo contesto, salvo che i suoi autori non si sono resi conto di non disporre dei mezzi per controllare il territorio dopo la conclusione del conflitto. Hanno terribilmente sopravvalutato le proprie capacità e quelle della macchina bellica americana, insuperabile sul campo di battaglia ma inservibile di fronte a forze paramilitari radicate sul territorio, ideologizzate e ben decise a sacrificarsi in azioni anche suicide. Per chi comanda il mondo, il petrolio è una risorsa che si controlla tramite i calcolatori della borsa di Wall Street e le supertecnologiche forze militari americane, non un fluido oleoso che scorre in condotte che pochi straccioni armati di esplosivo possono far saltare in aria come e quando vogliono. 

Siamo giunti al punto cruciale: qual è la reale disponibilità di petrolio al mondo? Questa è una crisi di fase o una crisi strutturale, l’inizio di processo ancora più radicale?

La crisi di una risorsa come il petrolio non si ha quando finisce, ma quando ne resta ancora la metà. Per essere un po’ più precisi, quando la produzione smette di crescere o, per i matematici, quando il consumo cumulato raggiunge il punto di caduta o di flesso. Oggi abbiamo un arresto dovuto a motivi contingenti, come la guerra in Iraq e le vicende della Yukos in Russia, ma un giorno verrà il punto di flesso vero, quando la metà del petrolio del mondo sarà stato consumato. Attenzione però: il fattore nuovo più importante resta lo sviluppo accelerato della Cina, di cui le previsioni fatte fino a poco tempo fa non tenevano conto. 

Eppure gli economisti sostengono che quando il petrolio comincerà a scarseggiare, il suo prezzo salirà, rendendo competitive altre fonti di energia. È vero che gli economisti che in queste materie fanno previsioni sono sempre gli stessi che le hanno clamorosamente sbagliate. Il fatto è che mentre il prezzo del petrolio continua a salire, tutti parlano di sgravi fiscali sui carburanti ma nessuno accenna all’opportunità di modificare il modello di sviluppo, ricorrendo a fonti di energia sostenibili…

L’importanza del petrolio per la nostra civiltà è molto maggiore di quello che sembra al cittadino medio. Certo, tutti i mezzi di trasporto, con alcune eccezioni, funzionano con derivati del petrolio. Le eccezioni sono i treni, i tram e i filobus, che funzionano con l’energia elettrica, che si può produrre anche con fonti diverse dal petrolio, anche se almeno in Italia avviene in scarsa misura. Non a caso, negli Stati Uniti i treni sono diesel e i tram sono una rarità. Ma anche l’energia elettrica è prodotta in buona parte bruciando derivati del petrolio; in Italia l’alternativa più importante è il gas naturale, che però è legato al petrolio da molti fattori, sia di mercato sia tecnici. Gas e petrolio sono risorse affini, presenti nelle stesse aree, geologicamente collegate, e quindi gestite dalle stesse compagnie, con prezzi solidamente collegati tra loro. Si deve aggiungere che molti prodotti d’uso comune derivano dal petrolio: pressoché tutte le materie plastiche sono prodotte a partire dagli idrocarburi naturali. Pensiamo poi alle immense infrastrutture industriali e commerciali che sostengono l’estrazione, il trasporto, la distillazione, il trasporto dei derivati e la loro distribuzione ai consumatori: non si tratta di qualcosa di facilmente sostituibile o convertibile ad altri usi. 

Non sarà, dunque, facile immaginare una società senza il petrolio. In quale direzione cercare?

Se si ricorrerà a nuove fonti di energia, anche rinnovabili, potrà nascere un “mondo più democratico”. Ma i signori dell’oro nero lotteranno accanitamente per la conservazione del potere. Questo fattore non rientra nei conti degli economisti, che parlano di un mercato astratto che non esiste e, forse, non è mai esistito. In un contesto neoliberista, nessuno si impegna a fare investimenti significativi, necessariamente a lungo termine, in nuove fonti energetiche rinnovabili. Ci hanno messi in un vicolo cieco. Verrà il giorno della resa dei conti petrolifera, senza dubbio. C’è il rischio serio che sia un giorno di violenza e miseria.  

George Bush è stato rieletto, nonostante tutto. Cosa vede nel futuro degli USA?

La politica di Bush mette in pericolo quella che Karl Popper chiamava la società aperta. Ovviamente, sono afflitto e sconcertato del risultato dell’elezione. Spero, ma non mi fido, che la seconda gestione del presidente Bush prenda spunto e corregga gli errori commessi nel precedente mandato. È in gioco la capacità di riconoscere la nostra “fallibility”. Rassicurato dalle dimensioni della vittoria, Bush potrebbe tornare il moderato che fu come governatore del Texas e seppellire l’ascia di guerra con Parigi, Berlino e Madrid. Ma può Bush evolvere in statista equanime? Sarebbe un gran bene per gli Stati Uniti e il resto del pianeta, in giorni affannati.

Vanni Salvemini


fonte: http://www.mosaicodipace.it

Il futuro del petrolio
 
Il prezzo del greggio è in continuo aumento, dall’inizio dell’anno è incrementato di circa il 38%. Ma quali sono le cause che stanno spingendo così in alto il costo del petrolio? Molte. Ma su tutte emerge una consapevolezza: la domanda è in forte aumento, a causa della crescita economica della Cina e dei Paesi asiatici, e il petrolio sta finendo. La guerra in Iraq ha fatto poi il resto.
Siamo, dunque, solo all’inizio di un processo profondo e lungo nel quale si chiuderà un’epoca e se ne riaprirà un’altra. Un processo che probabilmente non sarà indolore.

 
Un ungherese d’affari

Soros, nato in Ungheria, è emigrato all’età di diciassette anni in Inghilterra, dove si è laureato alla London School of Economics. Si è trasferito poi negli Stati Uniti nel 1956, dove ha cominciato ad affermarsi come uno dei principali uomini della finanza mondiale. L’impero economico di Soros ha raggiunto dimensioni ragguardevoli e tali da influenzare l’economia di nazioni intere come l’Inghilterra. Recentemente ha maturato una svolta, decidendo di impegnarsi direttamente nella diffusione di una visione dello sviluppo economico alternativa a quella del liberismo economico. Attraverso le sue fondazioni promuove in tutto il mondo iniziative culturali e di solidarietà.