[Amedeo Tosi • 20.01.05] Tra qualche giorno, il 27 gennaio, l’assemblea generale della Nazioni Unite commemorerà l'anniversario della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz. In questi giorni si stanno organizzando ovunque manifestazioni all’insegna del ricordo del più grande orrore commesso dagli uomini in tutta la loro sanguinosa storia, l’olocausto, la shoah, il genocidio di milioni di ebrei in tutta l’Europa, e con essi mi centinaia di migliaia di prigionieri di guerra e di oppositori politici...

IL RICORDO DI IERI, LE RESPONSABILITÁ DI OGGI

Tra qualche giorno, il 27 gennaio, l’assemblea generale della Nazioni Unite commemorerà l’anniversario della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz. In questi giorni si stanno organizzando ovunque manifestazioni all’insegna del ricordo del più grande orrore commesso dagli uomini in tutta la loro sanguinosa storia, l’olocausto, la shoah, il genocidio di milioni di ebrei in tutta l’Europa, e con essi mi centinaia di migliaia di prigionieri di guerra e di oppositori politici. Una commemorazione senza precedenti, promossa dai governi degli Stati Uniti, della Russia, dell’Unione europea, dell’Australia, del Canada e della Nuova Zelanda, cui hanno aderito la stragrande maggioranza dei paesi membri. Per la prima volta hanno aderito all’iniziativa anche molti paesi arabi e mussulmani.
 
Il ricordo di quei dolorosi fatti dovrebbe richiamarci ed aiutarci tutti a considerare le responsabilità che ognuno di noi ha nei confronti delle tragedie che si stanno consumando oggi, anno 2005, nel pianeta, dove centinaia di persone muoiono, in ogni minuto di ogni giornata, per fame, malattie curabili, violenze di regimi politici e a causa della guerra.

Non può esserci memoria sincera senza una presa di coscienza della responsabilità che tutti abbiamo nei confronti del genocidio silenzioso dell’umanità, fatto di vittime dirette e, soprattutto, di “vittime collaterali”, in atto nella regione Aceh, in Afghanistan, Algeria, Burundi, Cecenia, Colombia, Repubblica Democratica del Congo, in Costa d’Avorio Eritrea-Etiopia, Filippine, ad Haiti ed in Iraq, Israele-Palestina, KashmirKurdistan, LiberiaNepal, Nigeria, Repubblica Centrafricana, Somalia, Sri Lanka, Sudan, Uganda. Paesi in guerra con se stessi, con economie che si nutrono di guerra, grazie anche alle armi fabbricate da chi oggi commemora le vittime di ieri.

Nonostante tutto ciò, la decisione delle Nazioni Unite è un piccolo segnale positivo che ci fa sperare in un futuro migliore, che avverrà se tutti saremo in grado di assumerci oggi la responsabilità di essere cittadini attivi di questo pianeta. Oggi.

 
Il direttore dell’Agenzia giornalistica www.misna.org, Pietro Mariano Benni ha scritto nei giorni scorsi un interessante articolo “IN MEMORIA DI MARTIN LUTHER KING E DEL SUO SOGNO, QUELLO VERO”, che vi propongo.
 
[Pietro Mariano Benni • 17.01.05] Chi, quanti, dove e come in questi giorni si sono ricordati che Martin Luther King”, se non fosse stato barbaramente e misteriosamente ammazzato nell’aprile del 1968, sabato scorso avrebbe compiuto 76 anni?

Negli Stati Uniti, la ricorrenza è una festa nazionale che, secondo tradizione, ricorre il primo lunedì successivo, cioè oggi (17 gennaio 2005, ndr). Ieri, in uno dei suoi numerosi discorsi tenuti nel fine-settimana in diverse località americane, il reverendo nero Jessie Jackson, che 37 anni fa vide con i suoi occhi l’attentato a King, ha detto: “La sua eredità, per ogni anno che passa, viene sempre più diluita… Facile da ammirare, King è difficile da seguire…”. Già nel 1986, Jackson aveva scritto: “Dobbiamo opporci a questa memoria debole e anemica dei media nei confronti di un uomo grande. Credere che il dottor King fosse soltanto un sognatore significa fare ingiustizia a lui e a alla sua memoria. Perché tanti uomini politici vogliono ricordarlo solo come un sognatore?”.

La voce di Paul Rockwell, già docente di filosofia alla Midwestern University, è stata tra le poche levatesi con competenza in questi giorni per commemorare King: “Nel suo profetico discorso del 1967 alla Riverside Church , Martin Luther King sottolineò 4 punti: 1) il militarismo americano avrebbe distrutto la lotta alla povertà; 2) la superficialità americana produce violenza, disperazione e disprezzo per la legge negli stessi Stati Uniti; 3) l’utilizzo della gente di colore per combattere contro altra gente di colore all’estero è una manipolazione crudele dei poveri; 4) i diritti umani andrebbero misurati con lo stesso metro ovunque”.

Erano i tempi della guerra in Vietnam. Rockwell ricorda anche che il quotidiano Washington Post definì “irresponsabile” quel discorso e il “New York Times”, in un editoriale intitolato “L’errore del dottor King” lo criticò per essere uscito dall’area concessa agli esponenti di colore, quella dei diritti civili. Il settimanale Time andò anche più in là definendolo una calunnia demagogica e un copione per Radio Hanoi ( e non si riferiva certo al film di molti anni dopo “Good Morning Vietnam”…).

Due biografi di Martin Luther King, Stephen Oates e David Garrow hanno addirittura dedicato interi capitoli dei loro saggi al virulento attacco dei media contro “l’internazionalismo” di King. Ma tutti ripetono come pappagalli, fuori contesto, ricorda Rockwell, quattro parole di quel discorso: “I have a dream”, ho fatto un sogno, e hanno dimenticato sia i veri contenuti sia le assurde reazioni che sollevò. In tempi di guerra in Iraq, di conflitto incomponibile in Medio Oriente, di macro e micro-mondo lacerato da tensioni e contrapposizioni spesso assurde, colpito da sciagure immani , da aumento diffuso della povertà, forse non c’è più posto nemmeno per quelle quattro parole fuori contesto. Non c’è più posto, se non formale e retorico, né per King né per il suo sogno né per chiunque altro tentasse di ripetere con lui che non può esserci pace senza giustizia e che il silenzio degli onesti fa più paura della cattiveria dei malvagi. Tutto considerato, sorprende che sia stato assassinato nel 1968 e che, nel diluirne il pensiero, lo si dimentichi sempre di più e si continui in qualche modo ad assassinarlo? Eppure proprio un suo pensiero, una sua frase meno nota, può essere di ispirazione, di guida e di conforto a qualsiasi uomo di buona volontà: “Anche se sapessi che il mondo finisce domani, oggi pianterei ancora il mio alberello di mele”. (Pietro Mariano Benni)
 
Tra le varie iniziative che nel mondo sono state organizzate in occasione  del giorno in memoria di Martin Luther King, è giunta in redazione quella segnalata dagli amici del Centro Giovanile Kamenge di Bujumbura (Burundi), molto significativa se contestualizzata alla difficilissima situazione politica ed economica in cui è immerso il piccolo Paese della regione africana dei Grandi Laghi.

«Oggi cominciano e continuano tutta una serie di attività extra, denominate “Tregua Martin Luther King”, ideate insieme al Catholic Relief Services e la Caritas America. In programma uno spettacolo in commemorazione di Martin Luther King con orchestra, acrobati, gruppi di teatro del Centro. Oggi inizia anche un grande torneo di calcio con 24 squadre delle scuole secondarie e domani un torneo di basket femminile con 10 squadre delle stesse scuole. Già da una settimana, 5 gruppi delle scuole secondarie e delle comunità religiose dei Quartieri Nord stanno seguendo, al Centro Kamenge, delle attività di formazioni sulla Nonviolenza. Inoltre abbiamo organizzato anche due grandi concorsi di disegno e di poesie, sempre nelle scuole secondarie dei Quartieri Nord. I concorsi e i tornei finiranno a metà febbraio. Un modo veramente strano per prepararsi alle elezioni politiche ormai vicine. In questa campagna di sensibilizzazione ai temi e alle pratiche nonviolente verranno distribuiti anche migliaia di fascicoli sulla vita di Gandhi. I profeti ci ricordano –sottolineano gli animatori del Centre Jeunes Kamenge- che nessuna pace, riconciliazione, giustizia, libertà passa attraverso la violenza e la guerra. Per questo loro hanno pagato con la vita!».

Un altro piccolo-grande segnale positivo, che ci fa sperare in un futuro migliore.
 
Amedeo Tosi