[di Federico Ginato (da La Paz-Bolivia) • 15.02.03] La popolazione boliviana si ribella agli aumenti delle tasse decretati dal governo. A capeggiare le proteste lo stesso corpo della polizia che si è ammutinato e chiuso nelle caserme. Pensantissime le conseguenze degli scontri, un bilancio  provvisorio parla di 16 morti e 90 feriti.

BOLIVIA NEL CAOS

Lunedì mattina, 10 febbraio 2003, il popolo boliviano si è svegliato con una finanziaria che, senza nessun preavviso, ha istituito una imposizione fiscale del 12,5 % per tutti redditi superiori a 880 bolivianos mensili (poco più di 100$). Una misura che colpisce soprattutto i ceti medio-bassi. Il Governo, alla prese con l’ennesima recessione economica, non ha trovato niente di meglio che optare ancora una volta per le ricette di “aggiustamento strutturale” suggerite dal FMI (Fondo Monerario Internazionale) a tutti i Paesi del mondo, indipendentemente dalle loro peculiarità economiche e sociali. Gli effetti sono stati, come sempre, disastrosi.
Secondo la Banca Mondiale, è considerato povera la persona che possiede meno di 2$ dollari al giorno per vivere ed estremamente povera chi possiede meno di 1$.  Un impiegato medio in Bolivia guadagna al mese 2000 boliviani che, decurtati delle varie tasse, tra le quali l’ultima, si riducono a 1315 bolivianos mensili (circa 180 $), che divisi per i 5 componenti di una famiglia media boliviana e per i 30 giorni di un mese, non risultano più di 1,15 $ al giorno. La maggioranza della popolazione boliviana è quindi sulla soglia della povertà estrema.  Le misure economiche adottate sono riuscite ad ottenere quello che solo fino a qualche giorno fa sembrava impossibile. L’intera società civile boliviana, senza alcuna eccezione, si è ritrovata unita nel criticare la politica del governo. Vigorose proteste sono state mosse sia dai partiti di opposizione, campeggiati dal MAS di Evo Morales e leader molto popolare tra i ceti più deboli, sia da tutte le organizzazioni di categoria a cominciare dai sindacati fino alla organizzazione degli industriali. Anche la chiesa cattolica ha preso posizione affermando che non si può togliere il “pane a coloro che non hanno niente”.  Ma l’elemento che ha fatto scattare gli atti di violentza è stato l’ammutinamento delle forze di polizia che, esasperate per i salari bassissimi, si sono rinchiuse nelle caserme e hanno lasciato incustodite le strade della capitale. La situazione si è aggravata nei pressi di Piazza Murillo, la piazza dove si affacciano i palazzi del congresso, del governo e la cattedrale.  Circa 200 poliziotti,  asserragliatisi nel palazzo del Ministero degli Esteri, sono stati circondati da reparti dell’esercito decisi a riprendere il controllo della piazza. Lo scontro è stato inevitabile ed è durato 6 ore con scambi di colpi anche di grosso calibro che hanno lasciato sul terreno 16 persone tra poliziotti, militari e civili che si erano inseriti nella contesa.  A quel punto, malgrado il diffondersi di un messaggio della Presidenza che annunciava la sospensione delle misure fiscali, la situazione è ulteriormente degenerata. Gruppi numerosi di cittadini, tra i quali molti studenti, hanno iniziato ad assaltare e ad incendiare alcuni ministeri e le sedi dei partiti di governo. In serata, approfittando dell’oscurità e dell’assenza dell’ordine pubblico, è iniziato il sacchegggio di negozi ed uffici da parte di centinaia di vandali che hanno imperversato indisturbati per tutta la zona del centro.  Stamane, La Paz appariva come una città presa al sacco. Tutte le attività, di qualsiasi tipo, sono paralizzate. Ancora non si sa se a causa dello sciopero generale proclamato da tempo per oggi o per la paura di nuove violenze e rapine.  A soli sei mesi dalle elezioni che hanno sancito il ritorno al governo del presidente Gonzalo Sanchez de Lozada, esponente del partito di destra MNR (Movimento Nazionalista Rivoluzionario), la Bolivia si ritrova nel caos. In questi mesi sono falliti tutti i tentativi promossi dalla presidenza per trovare un accordo con la seconda forza politica del Paese, il MAS (Movimento Al Socialismo) capeggiato da Evo Morales, un leader carismatico che, salito alla ribalta internazionale per la sua lotta a difesa dei piccoli coltivatori di coca (cocaleros) minacciati dalla politica statale di sradicamento delle piantagioni, ha saputo unificare sotto un’unica bandiera gruppi sociali molto eterogenei tra loro: movimenti indigeni, sindacati, alcune forze politiche di sinistra, cocaleros, studenti. La situazione della Bolivia non fa che appesantire il quadro di una America Latina  che soffre di una cronica instabilità politica, economica e sociale che non si presta a facili soluzioni. Dopo il fallimento delle politiche economiche sostenute dal FMI e dalla Banca Mondiale, l’intero continente guarda con speranza al Brasile di Lula per poter credere ancora in un futuro che appare sempre più grigio ed incerto. Troppo peso,  forse, per un uomo solo.