[Giorgio Pisano - Unione Sarda • 01.02.04] Cagliari. È polemica dopo la cerimonia di consegna alla Marina di quattro navi Martino, giornata di gaffe. Il ministro ai giornalisti: fa schifo difenderci con i soldi degli alleati americani? E i rappresentanti della Regione, messi in loggione, abbandonano il palco delle autorità. La duplice cerimonia di consegna dei quattro pattugliatori d'altura alla Marina e delle bandiere di combattimento alle nuove unità si è trasformata in un incidente diplomatico tra la Regione e il Governo. Ieri mattina (sabato 31 gennaio 2004, ndr) nel porto di Cagliari era in programma la solenne cerimonia alla presenza del ministro della Difesa Antonio Martino, dei capi di Stato maggiore, delle massime autorità cittadine e regionali. L'assessore Felicetto Contu, in rappresentanza del presidente Masala, si è ritrovato relegato in terza fila nella tribuna d'onore: «Un insulto alla nostra istituzione», ha detto lasciando la cerimonia. Ha suscitato una valanga di polemiche l'atteggiamento del ministro, che ha dribblato le domande dei giornalisti. Dichiarazioni rubate in margine alla cerimonia per la consegna delle nuove unità alla Marina. Il ministro Martino all'attacco: «La Maddalena? Tutto un bluff» La presenza degli americani e la grande strategia del risparmio.

CAGLIARI. IL MINISTRO MARTINO, PATTUGLIATO DAI GIORNALISTI, SCAPPA

Al professor Antonio Martino, ministro della Difesa nel governo Berlusconi, non risulta che gli americani vogliano costruire un quartier generale Usa a La Maddalena. Non risulta neanche un allarme radioattivo nelle acque vicine alla base statunitense: «Abbiamo fatto chiarezza». In che senso? Quanto ai 35 del Consiglio regionale che vorrebbero mandare gli yankee a casa, sappiano che non rappresentano i sardi, tutti i sardi almeno. Eppoi, il Consiglio regionale non è infallibile. Quindi? Quindi buongiorno. Il ministro dice queste cose (e spezzoni di altre, in saldi) dopo un tramezzino riservato a pochi e prima di infilarsi su un’auto blu che lo porti via dal fastidioso assalto dei cronisti. Le sussurra, voce bassissima e irritazione a vista, in una mattina di vento e di governo dopo la cerimonia per la consegna di quattro pattugliatori d’altura alla Marina militare. Doveva essere una cerimonia senza incursioni sul manovratore. E invece finisce con un agguato di microfoni e taccuini all’ingresso del circolo ufficiali. Ressa, guardie del corpo, staff in agitazione psicomotoria e scampoli di intervista raccolta di passaggio. Proprio di passaggio: dalla porta alla macchina, tutto quello che avreste voluto chiedere a Martino in un massimo di dieci metri. L’appuntamento era fissato alle 10,30 al molo Ichnusa, davanti a viale Colombo chiuso al traffico per ragioni di sicurezza. La banda, i vecchi marinai, le vedove, i bambini. Festa. Ventun salve di cannone, i fucilieri. Ci sono le autorità, il cardinale neolaureato, il sindaco, il vescovo. E ci sarebbe stata anche la Regione se i suoi rappresentanti non se ne fossero andati subito per oltraggio sul posto: terza fila, quasi in loggione. Inammissibile. L’attenzione è tutta sul ministro che potrebbe approfittare dell’occasione per parlare del caso La Maddalena, di uranio impoverito, di rifinanziamento della missione in Iraq, del povero soldato Melis (malato di leucemia) che nessuno vuol salvare. Ce n’è in quantità da mercato all’ingrosso di interrogativi.
Sul palco d’onore, un addetto stampa porta la buona novella a metà mattina: forse, ma dico forse, il professor Martino incontrerà la stampa. Quando? Dopo la cerimonia, naturalmente. Passaparola rapidissimo. Verrà, non verrà, che cosa gli chiediamo, per favore non facciamo casino. Finisce tutto, pure un po’ in fretta, intorno a mezzogiorno quando il freddo ha ormai congelato gli ottoni e gli equipaggi precettati sul ponte delle navi. Martino si infila a visitarne una e, sul primo gradino della passerella, qualcuno grida no, non fate entrare giornalisti al seguito. Ma come fanno i marinai a districarsi in tutto questo protocollo? Mentre il ministro perlustra uno dei pattugliatori d’altura, i cronisti vengono accompagnati come turisti ai Fori imperiali verso una sala del circolo ufficiali. «Il ministro verrà qui», tranquillizza una delle cameriere. Il salone è ampio, assediato da tavoli stracolmi di panini e pizzette, grissini e prosciutto. Fugge verso altre sale, sempre ampie ma un pochino più riservate. Di qui a un minuto sarà arrembaggio. Il contrordine arriva all’improvviso: i giornalisti sono in fuori gioco, per loro c’è una stanza a parte, un luogo preciso. Un recinto. Subito oltre il corridoio e dopo le toilettes.
Grosso modo, saranno una quarantina: agenzie, giornali, televisioni, inviati speciali giunti col volo ministeriale. Uno, anzi una, fredda tutti: alla partenza da Roma avrebbe sentito dire che nessuno rilascerà dichiarazioni a nessuno. Nell’attesa, e nella speranza che la divina provvidenza ci metta
una pezza, il buffet si assottiglia. Carta e penna ma non solo, la categoria spazzola volentieri. Nel frattempo, gli altri invitati stanno in sale lontane e comunque dove la stampa non può e non deve. A evitare intrusioni pensa un servizio di sicurezza cortese e insuperabile. Radio-bignè intanto manda a dire che Martino non sta con la folla degli ammessi alla festa ma che s’è ritirato in un angolo «con pochissime autorità». Il fotografo del Comune, che vorrebbe farsi avanti, viene tenuto alla porta.
Nel recinto, tra un bianco freddo e una brioscina, si aspetta. Le cineprese sono a riposo, schierate sul pavimento, quando un un addetto stampa annuncia che – contrariamente al previsto – il ministro non incontrerà nessuno. In compenso, ci si potrà rifare con un commento del sottosegretario Salvatore Cicu. Il recinto, dalla tribuna alla curva sud, risponde all’unisono. Cicu no Cicu no, Cicu lo sentiamo tutti i giorni. Finirebbe così, con un arrivederci e grazie, se un portavoce non accendesse poi la fiammella della speranza: forse, quando va via, ma proprio al momento di andar via, il ministro qualcosa di passaggio ve la dice. Transumanza veloce verso la zona di passaggio con tanto di ufficiale che suggerisce come sistemarsi a tenaglia e, soprattutto, lasciare un varco libero, una via di fuga sicura «altrimenti il signor ministro lo facciamo uscire da una porta secondaria».
Il lampo d’una pupilla di vigilanza fa capire – pochi minuti all’una – che il professor Martino è in transito, l’auto che l’aspetta ha già le portiere spalancate. Appare. Sorride timidamente. E va al martirio. Quello che segue è un torrente di domande confuse, sovrapposte, gridate. E risposte che tradiscono, secondo dopo secondo, un insopportabile disagio. Le guardie del corpo intrecciano le braccia in una sorta di gabbia protettiva da dove pendono i microfoni. Risulta, al signor ministro, che gli americani intendano realizzare a La Maddalena un quartier generale con bandiera e polizia Usa? «Non mi risulta». Risulta, al signor ministro, che il Consiglio regionale ha licenziato la base statunitense? «Il Consiglio regionale non è infallibile. Ci sono stati cinque astenuti. Eppoi, quelli che hanno votato non rappresentano i sardi nella loro interezza». Questo è quasi un golpe dialettico ma il professor Martino non se ne avvede. La ressa è tanta, la tensione anche di più. Comunque non risulta, al signor ministro, nemmeno che esistano problemi di radioattività. A sostegno e in conto di, si materializza il sottosegretario Cicu che, presa al volo la parola, ricorda le tranquillizzanti analisi della Asl di Sassari. Qualcuno chiede poi quando saranno rivisti gli accordi segreti Usa-Italia che hanno dato vita alla base di santo Stefano. Risposta: «Scusi, perché dovrebbero essere rivisti?» Non gli pare che una base americana in territorio italiano entri in conflitto con la strategia difensiva Ue? Chissà se è una bella domanda, di sicuro infastidisce Martino che sorprende di contropiede il cronista («Lei ha le idee confuse») e poi, da professore, spiega: «La base di La Maddalena è complementare alla Nato. Della Nato fanno parte gli Usa e di conseguenza punto. Parlare di questo problema fa danni». A chi? «Ai sardi». Danni? «Scusi, a lei fanno schifo i soldi? Risponda: le fanno schifo? Ha idea di quanto si risparmia a farci difendere dagli alleati americani, che spendono di tasca loro, anziché a nostre spese?». Allora, è tutta una questione di soldi? «No comment». Basta così. «Il colloquio è finito», sentenzia un signore con molte greche sul cappello e il ministro viene rispettosamente spinto verso la portiera spalancata di una Mercedes blu. C’è solo un attimo di pausa in più quando un microfono non velenoso pone una serie di interrogativi incalzanti e conclusivi : a cosa serviranno le nuove quattro navi?, che servizio svolgeranno?, e dove? Viva l’Italia, metà giardino e metà Marina.

Retroscena della richiesta di un colloquio annullato con un pretesto  all’ultimo minuto. Le domande per un’intervista mai nata.

Dietro la missione mordi e fuggi del ministro c’è la storia di un’intervista programmata, richiesta, forse concessa, poi sospesa a una condizione e infine negata con un pretesto ridicolo. Appena è stata diffusa la notizia dell’arrivo a Cagliari di Antonio Martino (giovedì scorso) L’Unione Sarda ha contattato l’ufficio stampa del ministero della Difesa e ha chiesto un appuntamento. La risposta, rapida e cortese, ha spalancato porte aperte: nessun problema ma è necessario conoscere in anticipo le domande che verranno (che verrebbero) poste al signor ministro. Telefonata successiva, di precisazione: le domande debbono pervenire entro la giornata di venerdì «altrimenti non riusciamo a organizzarci». Le domande sono arrivate a Roma, via fax, poco dopo mezzogiorno, dunque in tempo abbondantemente utile. A quel punto però è improvvisamente cambiato l’ interlocutore. Il colonnello che doveva «dare conferma in capo a qualche ora» è sparito: fuori stanza, momentaneamente lontano dall’ufficio, impegnato al piano di sotto.
Al suo posto s’è fatto vivo un altro ufficiale che, col massimo garbo, ha comunicato: 1) la visita del ministro a Cagliari ha tempi stretti e dunque non si può concedere un’intervista. 2) alle ultime domande (sull’Iraq) il ministro avrebbe risposto non alla stampa ma al Parlamento. 3) perché non
provare «a fare qualche domandina avvicinandosi al momento del buffet?». Le domande che L’Unione avrebbe voluto porre al ministro non sono molte diverse da quelle che gli sono piovute addosso nei centoventi secondi concessi ieri tra l’ingresso del circolo ufficiali e la macchina che doveva portarlo via. Ecco, grosso modo e in sintesi, cosa volevamo sapere: 1) Signor ministro, il Consiglio regionale della Sardegna ha ufficialmente chiesto la chiusura della base Usa di La Maddalena. Che ne dice? 2) L’accordo del ’72 prevedeva la concessione di un punto-attracco, ora invece si parla di base vera e propria: non le sembra eccessivo? 3) Radioattività: secondo lei perché i francesi insistono nel dire che c’è ed è oltre i limiti? 4) Non le pare che una base americana contrasti coi principi della politica di Difesa della Ue? 5) Ottobre 2003, un sommergibile Usa striscia sul fondale. Incidente da niente, dicono gli Usa. Però licenziano commodoro, capitano e sei uomini d’equipaggio: per così poco? 6) Le risulta che gli americani vogliano realizzare un quartier generale con bandiera e polizia Usa? 7) Uranio impoverito: il sottosegretario Cicu fa il pompiere su tutto il fronte. Quando si potrà sapere tutta la verità? 8) Iraq: sarà un altro Vietnam? 9) Siamo in Iraq a fianco degli Usa e non sotto egida Onu: non è una palese violazione della nostra Costituzione? 10) Come può il governo parlare di missione di pace, posto che la guerra non è finita?