CASTEL VOLTURNO TRA SILENZI E VOGLIA DI RISCATTO


CASTELVOLTURNO UN ANNO DOPO

[24.09.09] Il 18 settembre scorso ricorreva il primo anniversario della strage dei sei immigrati uccisi a Castelvolturno e quasi non s’è vista una riga di giornale a ricordarla. Soprattutto non c’è stata un’inchiesta giornalistica che abbia raccontato cosa è cambiato in quell’area un anno dopo, come vivono oggi i ghanesi e le comunità migranti, a che punto è il processo e la ricerca della verità… E la riflessione amara va a un giornalismo distratto e immaturo che non è più capace di andare in profondità, di cercare le ragioni e di raccontarle, di comprendere per informare e far conoscere.

All’indomani della strage anche qualche ministro in carica disse che si trattava di un regolamento dei conti all’interno della malavita e che gli uccisi fossero spacciatori. Dal racconto dei pentiti, oggi sappiamo che l’unica ragione era «sottomettere la comunità dei neri, ormai dovevano capire (…). L’ordine di Giuseppe Setola era: “Uccidete tutti quelli che trovate là. Se ci sono le donne, anche le donne”». Lo racconta l’assassino pentito Oreste Spagnuolo. «Difatti per noi era indifferente colpire uno o l’altro. E ci eravamo attrezzati per ucciderne molti di più».

Alla cerimonia organizzata per ricordarli nel paese c’erano una cinquantina di persone insieme all’assessore regionale Corrado Gabriele, il vescovo di Capua, monsignor Bruno Schettino, l’imam di San Marcellino, il sindaco di Castelvolturno, Francesco Nuzzo.

L’ALTRA CASTEL VOLTURNO

[25.09.09] Ma a Castel Volturno non ci sono solo clan di casalesi e stragi di immigrati, appalti truccati, corruzione, abusi e abusivismo. Ci sono anche i paccheri delle «Terre di don Peppe Diana». Sarà questo il nome che prenderà la cooperativa che andrà a coltivare le terre sottratte agli esponenti della malavita locale. I paccheri sono stati presentati sabato 13 settembre al «SANA» di Bologna, l’importante salone annuale del naturale. La pasta è stata prodotta col grano di un terreno confiscato a Michele Zaza nell’agro di Pignataro e raccolto da decine di ragazzi che nei primi di agosto hanno partecipato a uno dei campi di lavoro organizzati da Libera.

«È un’altra scommessa vinta – dice Valerio Taglione, coordinatore di Libera Caserta e del Comitato don Diana – insieme a tutti quelli che in questi anni ci hanno sostenuto e hanno creduto insieme a noi che è possibile costruire comunità alternative alla camorra a partire da fatti concreti. La prossima tappa sarà la produzione di mozzarella di bufala».

Non si tratta soltanto del sapore di legalità come più volte abbiamo detto. È il sapore di una vita alternativa a quella pesantemente tenuta sotto il tacco della violenza mafiosa. Una vita nuova che profuma anche di pasta di grano duro e di mozzarella di bufala.

Nella foto: i genitori di don Diana (Gennaro Diana, Iolanda Di Tella) insieme al figlio Emilio Diana, con  i paccheri delle «Terre di don Peppe Diana»