LIBRI. «UN PENSIERO AFRICANO» DI BARBARA CANNELLI

[Antonio Salvati • 25.09.09] Un viaggio nell’anima e nel cuore dell’Africa di cui avevamo e abbiamo ancora bisogno. E una pagina di storia culturale del Novecento avventurosa come il primo viaggio africano, utile per mettere in comunicazione mondi e creare un rapporto profondo, non solo economico, capace di immaginare vita e futuro per i due continenti, insieme.

Barbara Cannelli

UN PENSIERO AFRICANO

Filosofi africani del Novecento a confronto con l’Occidente, 1934-1982

Anno 2009 – pagg. 378 – 25,00 euro

ISBN 978-88-88868-78-7

Editrice LEONARDO INTERNATIONALAcquistalo on line

Le relazioni tra Europa e Africa, così strette nel passato – recente e talvolta recentissimo – oggi appaiono così allentate tanto da far sparire tutto un continente dal nostro orizzonte quotidiano. Certo le relazioni commerciali continuano, “come sempre”, ma non basta ad avvicinare l’Africa all’Europa, l’Africa all’Occidente, se non a tratti e per motivi ben precisi e contingenti. Ciò accade malgrado la globalizzazione che dovrebbe unire uomini e paesi. Eppure per tanti decenni i due continenti sono vissuti (nel bene e nel male) congiunti all’interno di uno stesso spazio storico e geografico, che coinvolgeva non solo l’economia ma anche la cultura, e ha creato uno speciale comune sentire, una comunanza di destino.

L’Occidente in generale e l’Europa in particolare, sembrano abbandonare l’Africa al suo destino. Soprattutto l’Europa a causa dell’antica storia comune e della colonizzazione. Diversi analisti sostengono che l’abbandono dell’Africa é iniziato con la fine della guerra fredda. Infatti, con la fine del modo bipolare l’Africa non é più un luogo strategico in cui scontrarsi. In realtà però il disimpegno inizia prima. Già negli anni ’70 entra in crisi – in Italia in particolar modo – il concetto stesso di “sviluppo”.

In Occidente da tanto tempo ci si rassegna a un continente pieno di drammi e emarginato alla periferia della storia. Tuttavia, l’Africa non è inerte. L’Africa dimostra di essere in piedi. L’energia e la vitalità dei suoi popoli è più forte di quel che si crede e delle informazioni che giungono in Occidente. Prova ne sia la convinzione e il coraggio con cui tutte le società civili africane, ma anche alcuni dirigenti, si sono impegnate negli ultimi decenni a affrontare la democratizzazione, sia pure in un contesto economico di grande precarietà e in presenza di gravi instabilità e crisi politiche.

Il ricco e bel libro di Barbara Cannelli, «Un Pensiero Africano. Filosofi africani del Novecento a confronto con l’Occidente, 1934-1982» (Leonardo International Editore 2008), è una concreta dimostrazione che, malgrado i gravi problemi che investono oggi l’Africa (guerre, migrazioni, malattie endemiche, malnutrizione, conflitti etnici, urbanizzazione caotica), nonostante il presente non possa che apparire nella sua drammaticità, l’Africa non è soltanto sinonimo di miseria e arretratezza. In altri termini, alle cifre spaventose che tutti conosciamo – sulla povertà, l’AIDS e la guerra – vi sono storie diverse, che  però non vediamo e pochi conoscono: si tratta del patrimonio culturale ricchissimo che i filosofi africani, in particolare francofoni, hanno ricostruito e tessuto lungo tutto il XX secolo favorendo un dibattito intellettuale e filosofico che «ha avviato una gigantesca opera di riabilitazione di quell’uomo (e donna) africani che i filosofi europei avevano giudicato senza Storia e privi di Ragione».

Nel vasto studio di Barbara Cannelli l’Africa e l’Europa, dopo un secolo che le ha drammaticamente unite e poi separate, tornano a incontrarsi nelle pagine di un gruppo di filosofi africani di lingua francese, a cui dobbiamo la nascita del pensiero africano contemporaneo. Siamo di fronte a una delle pagine più emozionanti del Novecento: una vicenda storica e politica straordinaria che inizia a Parigi negli anni Trenta, dove tra i membri di un piccolo gruppo di giovanissimi studenti e scrittori di colore maturano le linee del “Risveglio nero” che porterà all’Indipendenza dell’Africa; e dove, finalmente, il silenzio culturale a cui il colonialismo aveva costretto il continente africano viene rotto dalle prime grandi produzioni letterarie e filosofiche di quella che era allora la “gioventù nera”. Il libro documenta la nascita della filosofia africana del Novecento di cui restituisce tutto lo spessore: un patrimonio intellettuale eminente al cui fondo, nota l’autrice, si nasconde l’interrogativo alle origini di una filosofia (e di ogni filosofia): chi è l’uomo (e la donna) africano/a? E qual è il suo posto sulla scena dell’universale?

Confrontandosi con l’Occidente alcuni grandi intellettuali africani, tra i quali ritroviamo in più di un’occasione anche i Padri delle Indipendenze, creano in maniera originale un dibattito filosofico autenticamente interculturale. Il libro porta così a conoscenza del lettore per la prima volta anche testi fondamentali mai tradotti in italiano. E riformula la questione, oggi decisiva, dell’incontro tra le identità nel panorama globalizzato della posmodernità.

Dopo la lettura del volume è spontaneo chiedersi cosa resta di quella stagione? Il silenzio sembra essere calato, in Europa ma soprattutto in Italia, su una vicenda e una produzione intellettuale tanto illustri. Barbara Cannelli sottolinea come, paradossalmente, sia oggi il continente europeo, che aveva dominato l’Africa e il resto del mondo, a dibattersi nella paura di un’identità compromessa, che si teme sempre più di perdere a contatto con l’altro.

Certamente viviamo in un periodo caratterizzato da “nuova migrazione di popoli” in cui gran parte dell’umanità, soprattutto più povera e disperata, conosce la dimensione della precarietà e dell’incertezza; un tempo – ha osservato Enzo Bianchi – in cui le speranze di pacificazione tra i popoli sperimentano improvvise accelerazioni, ma anche tragiche sconfessioni dovute al riemergere di conflitti a lungo sopiti o all’esplosione di nuovi, o alla fragilità e parzialità stesse degli equilibri e delle “paci” raggiunti. Un tempo di risorgenti particolarismi e chiusure, con tutte le esclusioni che ne derivano. Tuttavia, siamo pienamente immersi in una stagione in cui la consapevolezza dell’intreccio delle relazioni a livello planetario suscita motivazioni e istanze di unità e cooperazione sempre più allargate. É l’intuizione del noto presidente senegalese Léopold Sedar Sénghor – poeta e letterato oltre che politico, inventore della negritude, l’espressione tipica del meticciato tra cultura francoeuropea e africana – che oltre cinquanta anni fa lanciò l’idea di Euroafrica, facendo riferimento a una visione di complementareità dei due continenti, a partire dalla cultura. Eurafrica è una visione – ha acutamente sottolineato Andrea Riccardi – in cui collocare le diverse identità nazionali europee e africane: «Eurafrica vuole essere una politica, ma anche un insieme di sentimenti e di idee tra mondi che si scoprono vicini». É una visione evocatrice di sentimenti di comunanza, che offre «un quadro di dignitosa reciprocità all’interesse con cui gli africani guardano all’Europa».

In altri termini, dall’Africa, per l’Europa, non provengono soltanto problemi: ma anche una elaborazione culturale ricca e complessa che stimola una discussione “euroafricana” da cui provengono – secondo l’autrice – fecondi interrogativi per l’Europa stessa, e che sembra testimoniare, una volta di più, il sofferto gemellaggio spirituale dei due continenti. Ripercorrendo la storia del Novecento come del “secolo brevissimo” di un’Africa alla ricerca della propria identità, gli autori africani, infatti, hanno elaborato una risposta profondamente umanistica a quello che l’autrice definisce il “pensiero del disprezzo”, di ieri e di oggi.

Spesso stigmatizzati dai più illuminati maestri del pensiero europeo come figli di un continente “senza storia” questi filosofi ci presentano una storia del mondo riscritta in una prospettiva in cui finalmente viene a cadere ogni gerarchia di “superiore-inferiore” tra le culture. Questo libro – che rompe un vuoto, un silenzio della cultura italiana rispetto alla produzione culturale del continente “gemello” dell’Europa – rappresenta senz’altro una novità nel panorama editoriale italiano sull’Africa, presentando per di più un aspetto poco conosciuto del continente. Più abituati all’Africa della natura,  dell’economia, o della geopolitica dei conflitti e dell’antropologia, ci troviamo qui di fronte all’Africa del pensiero. Una ricognizione amplissima della migliore produzione africana permette così al filosofo occidentale ma anche al lettore meno specialista di avvicinarsi alla questione, oggi così sentita nelle società multiculturali, dei rapporti con l’Altro e della difesa della propria identità; e allo studioso di confrontarsi con una riflessione tanto significativa quanto sconosciuta maturata al di là del nostro orizzonte del Mediterraneo.

Antonio Salvati