[di Maurizio Pagliassotti • 23.05.2001] Quello che segue è un articolo scritto da Maurizio Pagliassotti, tornato di recente da un periodo passato presso la popolazione UWA (Colombia).

COLOMBIA – IL SANGUE DELLA TERRA

Il mondo all’inizio del mondo probabilmente assomigliava quest’angolo sperduto delle Ande colombiane; con questo verde intenso, questi rumori assordanti di natura, questa pioggia incessante, questo buio della notte, questi fiori eccentrici e questi animali schivi e solitari. E forse, gli abitanti assomigliavano ad un popolo come gli U’wa. Un popolo indigeno della Selva Colombiana che da secoli, o forse millenni, ha compreso che una specie vivente, qualunque grado di coscienza e conoscenza abbia sviluppato ha come scopo principale della propria esistenza la salvaguardia dell’ambiente in cui vive, per le generazioni future. Nessun animale, escluso l’uomo, distrugge l’habitat in cui vive. Nessuno. Il territorio U’wa è un luogo ove l’equilibrio tra uomo e natura è intatto. Un equilibrio che permette a questa antichissima popolazione di vivere nell’abbondanza materiale e spirituale, e di preservare un ambiente considerato dalla comunità scientifica internazionale come il secondo polmone mondiale di biodiversità. Prima di raggiungere il territorio ancestrale della comunità bisogna passare da Cubarà, piccolo centro sorto nei decenni passati, quando a colpi di ruspe, vangelo e fucile il territorio originario degli U’wa venne decimato da un milione e mezzo di ettari a poco più che un fazzoletto di terra. Furono quelli gli anni del “desarollo”, dello sviluppo, in cui la foresta si trasformava in pascolo, in petrolio, in miniera. Qui, a Cubarà, siamo all’estrema propaggine della “civilizzazione”, con le auto, internet e l’asfalto. Da qui in avanti inizia il mondo degli U’wa. Un mondo che il business globale vuole smantellare, forse anche per distruggere una cultura così ingombrante per l’occidente che, dopo essersi eletto unico portatore del verbo, ha deciso deliberatamente che la razza umana finirà. La selva è immensa, sembra che non abbia una fine, ti pervade e ti schiaccia. E’ un muro verde nella quale ci si può aprire un passaggio solo a colpi di machete, con la certezza che dopo un paio di giorni quella via sarà scomparsa, nuovamente inglobata dalla natura. Questa impressionante dimostrazione di forza rende chiaro quanto sia un problema esclusivamente umano, nel medio e lungo periodo, quello della crisi ambientale. Noi abbiamo deciso di distruggere l’ambiente umano, non la natura. Da cinquecento anni la storia si ripete. Qui giunsero i colonizzatori che con la pistola pistola e la croce sterminarono milioni di uomini, donne e bambini. Lo sterminio prese diversi nomi nel corso della storia: dapprima fu la “civilizzazione” dei conquistadores, poi “l’evangelizzazione” dei missionari  ed in ultimo il “progresso economico e sociale” delle “civiltà occidentali. Quante parole inventate per giustificare la volontà pura e semplice di impossessarsi delle immense ricchezze presenti in questa zona ed in tutto il Sud America. Oro, uomini, petrolio. La maledizione che colpisce da 500 anni “lamerica” ha questi nomi. Ma chi sono gli U’wa? Gli U’wa sono un popolo di seimila persone che non vuole essere venduto. Perché la maledizione ha colpito anche loro. Il loro territorio ancestrale è ricco di petrolio o ruria, come loro lo chiamano. Dicono che  Sira, la madre Terra, stia soffrendo per i danni che l’uomo bianco le sta infierendo. Ma noi ci sghignazziamo sopra. Dicono che la ruria sia il sangue della terra e se estratto la terra morirà. Quando sentii queste storie sorrisi. Pensai alle dispute fra politici, scienziati, giornalisti sul riscaldamento globale, sul ruolo che hanno i combustibili fossili nell’aumento della temperatura atmosferica….. Eppure loro sono dei selvaggi. Loro sono quelli che non usano il telefono o la televisione, che non hanno internet.  E noi siamo invece quelli che hanno sviluppato la tecnologia scientifica.Noi abbiamo il diritto di sterminali, di educarli, di piegarli. Loro sono diversi, non possiamo permettere che insieme a noi viva questo gruppo di sub umani.Non possiamo permettere che ci sbattano in faccia la cruda verità, cioè che la nostra cultura è distruttiva a brevissimo termine, che quando prendiamo l’automobile ci rendiamo complici di un genocidio, che la tecnoscienza poggia su basi fragili, ed alla fine, sulla questione della conservazione della specie non sa fare altro di meglio che scopiazzare ciò che dei selvaggi predicano. Natale è il periodo più bello dell’anno. Tutti ci sentiamo buoni, facciamo tanti regali, facciamo beneficenza, e poi ci sono le luci a festa per le vie, la frenesia delle compere e se si è fortunati la neve per una bella sciata. Tre mesi di consumo petrolifero nel periodo natalizio del solo mercato statunitense. Gli U’wa e il loro territorio saranno devastati per questo. Queste le previsioni più ottimistiche sull’estrazione petrolifera che la multinazionale americana Occidental Petroleum, meglio conosciuta come OXY,  vuole eseguire. “I soliti paranoici eco-ortodossi”, penserà qualcuno. A pochi chilometri da Cubarà la OXY negli anni passati è già andata ad estrarre petrolio presso la Laguna di Lipo. La laguna attualmente è una discarica a cielo aperto e gli indigeni che vi abitavano, gli Huabibas, sfollati dai paramilitari, sono divenuti un branco di alcolizzati che sopravvive nella bidonville di Saravena. Il primo pozzo che la corporation statunitense ha costruito in territorio U’wa si chiama Gibraltar One. Un luogo di frontiera quindi, e non potrebbe essere altrimenti. Le famiglie indigene, trentaquattro, che abitavano in questa zona sono state caricate con la forza sugli elicotteri dall’esercito e sono state portate via. Così funziona la vita in Colombia, paese dove non esiste lo stato di diritto. Esistono invece i paramilitari, due guerriglie, l’esercito, la milizia; tutti soggetti che quotidianamente si scannano in una guerra civile che sembra finta, artefatta, costruita a tavolino per rendere più semplice il processo di sfollamento dei milioni di uomini che osano vivere dove devono essere costruiti i megaprogetti strutturali voluti, pretesi, imposti, dal potere economico internazionale; pozzi petroliferi, dighe, autostrade, ferrovie, miniere, bacini idrici per l’acqua potabile. Quando arrivi al pozzo, dopo mille controlli, attese allucinanti, perquisizioni, domande fatte dagli ufficiali dell’esercito posto a guardia del sito la testa rimane vuota, imbambolata. Alzi lo sguardo e vedi a cento metri da te, e quindi dal pozzo, una casa indigena con una famiglia. Vivono nel fetore e nel rumore assordante. Pensi: “ma non possono spostarsi, scappare da questo inferno”? Resistono, nella puzza, nel rumore, con a cento metri un pozzo pertrolifero che martella e martella senza fermarsi mai. Ed è solo silenzio, non c’è nessuna domanda da porre. Anche perché le domande cominciano a essere poste alla propria coscienza di uomo occidentale. Si sono opposti in tutti i modi gli U’wa. Hanno alzato le barricate lungo le strade, hanno condotto battaglie legali, hanno richiesto l’aiuto della società civile occidentale. Ma il pozzo è stato fatto. Non è stato difficile per la OXY sventrare una montagna, far “desplazare centocinquanta persone ed iniziare le perforazioni. E’ intervenuto l’esercito con il Battaglione d’assalto 53 e tutto è filato liscio. Il tutto in un assordante silenzio e del Governo Colombiano e dei media occidentali. E allora dato che tutto appariva perso gli U’wa hanno minacciato un suicidio collettivo. Lo hanno già fatto al tempo dei conquistatore s e della loro furiosa corsa all’oro ed alla plata. Il mondo ha conosciuto questa minaccia ed ha incominciato a vergognarsi un po’. E’ nato un fronte di solidarietà molto forte, i giornali hanno dedicato ampio spazio alla lotta disperata degli U’wa, soprattutto negli USA. La battaglia si è inasprita dopo il brutale assassinio a Cubarà degli antropologi Terry Freitas, Ingrid Washinatowak e Laheane Gay schierati al fianco degli indigeni, da parte della guerriglia FARC legata a doppio filo con gli interessi delle multinazionali operanti in Colombia ed in particolare con la OXY. L’impianto si deve fare, gli U’wa devono essere cacciati e chi si intromette in questa storiaccia paga con la vita. Questo il messaggio. Ma il coraggio mosso dalla disperazione è cieco ed incontrollabile. E’ partita una campagna internazionale di raccolta fondi, i Verdi Italiani si sono impegnati direttamente mandando in territorio indigeno commissioni di osservatori, le manifestazioni e i tour di sensibilizzazione di susseguono. E la resistenza di quella famiglia con il pozzo a cento metri si è trasformata in una furiosa lotta globale che coinvolge migliaia e migliaia di soggetti: associazioni, giornali, indigeni di tutto il mondo, istituzioni religiose, sindacati, movimenti studenteschi, singoli uomini e donne. A Settembre nel territorio ancestrale, si svolgerà un Tribunale Popolare, dove converranno delegazioni di tutti i popoli indigeni del continente americano, una miriade di soggetti sociali di tutto il mondo, giornali e televisioni. Quando ci si trova nel territorio ancestrale in mezzo a questa selva che ti sovrasta, a confronto con una cultura che osa proporre l’uomo tra cento, mille, diecimila, centomila anni, capisci che questa non è la lotta limitata a seimila persone ed a un fazzoletto di pianeta.Questi uomini ci stanno proponendo una soluzione agli insormontabili problemi che abbiamo creato. Dice un passo del testamento U’wa: “Se l’uomo agisce con cattive intenzioni, presto o tardi, finirà con il bere il veleno del suo proprio fiele, perché non si può tagliare un albero senza che muoiano le foglie…..Per questo, quando i nostri siti sacri saranno invasi dall’odore dell’uomo bianco, sarà vicina la fine non solo degli U’wa, ma anche del Riowa (bianco). Quando egli avrà sterminato l’ultima tribù del pianeta, prima di incominciare a contare i suoi genocidi, gli sarà più facile cominciare a contare i suoi ultimi giorni….. Ogni specie estinta è una grave ferita per la vita e lascia posto alla sopravvivenza. Forse, prima la cupidigia si impietosirà dell’uomo bianco, prima gli permetterà di vedere la meraviglia del mondo e la grandezza di un universo che si estende più in là del diametro di una moneta.” Gli U’wa sono soliti dire che ogni inizio ha una fine. Non è solo un popolo indigeno che vuole opporsi ad un concetto di sviluppo devastante. Se il progetto di estrazione petrolifera della OXY verrà attuato, il mondo alla fine del mondo assomiglierà anch’esso questo sperduto angolo della cordigliera andina, con i suoi pozzi petroliferi, l’inquinamento generalizzato, le stagioni delle piogge che sono diventate miti e poco piovose, i paramilitari, le guerriglie e un popolo che lotta per salvare se stesso e inconsapevolmente, ma nemmeno troppo, noi tutti. (Maurizio Pagliassotti)