DON CIOTTI. «VERSO LA LEGALITÁ CON LA “CAROVANA ANTIMAFIE”»

Don Ciotti, quali sono gli obiettivi della “Carovana antimafie”?

La ‘Carovana antimafie’ ha questo obiettivo: informare, sensibilizzare, fare crescere il grado di conoscenza, di consapevolezza della gente e affermare il principio che il cambiamento è possibile solo se ognuno fa la propria parte che non è solo delegare allo Stato, alle istituzioni. Insomma il messaggio è: il cittadino è protagonista. Il nostro compito è anche quello di stare a contatto con i ragazzi ma con continuità, non sporadicamente. I ragazzi hanno bisogno di qualcuno che li accompagni nel loro percorso di vita. Gli incontri saltuari possono dare dei buoni spunti di riflessione ma poi tutto finisce lì”.

La mafia, le mafie sono una realtà tragicamente radicata. Purtroppo il fenomeno Sta crescendo con modalità sempre più differenziate e raffinate. In questo contesto le prime vittime sono il vivaio dei giovani. Che fare?

“Vi porto due esempi che sono significativi e interessanti a mio parere. Questa è una società che si preoccupa dei giovani ma non se ne occupa come dovrebbe. E’ una società che etichetta troppo facilmente i giovani, talvolta solo in base al loro linguaggio, senza tenere conto del disagio che provano e i problemi che alcuni affrontano, che li fanno cadere a volte nella rete della droga. Dall’altra parte c’è il mondo degli adulti che appare disorientato, sembra che non sappia bene come comportarsi, cosa fare. Ma ricondurre tutto solo alla droga è una eccessiva semplificazione: il mondo non si ferma al rapporto che hanno i giovani con gli stupefacenti. Se si va ad analizzare il mondo degli adulti si scopre che anche lì si usa e si abusa di sostanze che creano dipendenza, quali alcool, psicofarmaci, prodotti dopanti. Questo ci fa capire che il mondo degli adulti non è migliore di quello dei giovani. Bisogna scrollarsi di dosso l’immagine negativa che abbiamo del mondo giovanile.

Allora che possiamo fare?

don Luigi CiottiDobbiamo capovolgere tutto, dobbiamo inondare il nostro territorio di spazi, di opportunità, di momenti, non dobbiamo prenderli in giro. E se anche la scuola svolgesse una funzione sociale ma poi i ragazzi non trovano lavoro, non sanno dove sbattere la testa è chiaro che il più fragile rischia di esserne travolto. Non si può generalizzare, bisogna distinguere per non confondere.
Allora la grande scommessa è credere nei giovani ma dandogli un’opportunità, creando spazi. Ce lo conferma il Censis (Centro studi investimenti sociali ndr) che sostiene che la presenza mafiosa al Sud è una zavorra che priva in un anno, e mi riferisco al 2003, dai 160 ai 180mila posti di lavoro: meno ricchezza, meno sviluppo, più povertà. Se non ci fosse questa zavorra, il Pil (Prodotto interno lordo ndr) tra Nord e Sud andrebbe quasi in pareggio.
Com’è possibile che il nostro Paese non riesca a trovare le modalità giuste per affrontare il dato criminale da una parte, ma soprattutto per creare quei percorsi di giustizia sociale dall’altra con un’attenzione particolare a questa nuova generazione di ragazzi? Con loro si può lavorare bene: hanno voglia di cambiamento, vogliono provarci, ci sono se li vuoi incontrare per aiutarli a crescere”.

Ma servono proprio le carovane della legalità? Non si rischia di sensibilizzare sul momento l’opinione pubblica che poi richiude la finestra dell’egoismo, dell’immobilismo, del rimando alle istituzioni?

“Sono molto preoccupato: i primi nemici del cambiamento sono o rischiano di essere – paradossalmente – molte di quelle realtà che sono impegnate nell’antimafia perché molte iniziative partono sull’onda dell’emotività: le tragedie, le morti, l’affanno di un Paese e le grandi risposte. Poi le persone cambiano nel tempo, non si fa più notizia perché la mafia è sommersa, subentrano altri problemi e si vive questa dimensione pensando che si possa affrontare il problema con fiaccolate, momenti di memoria o convegni con nomi di prestigio. Questa modalità se si ferma lì è il peggior contributo che si può dare alla lotta alla criminalità, alle mafie. Vorrei spiegarlo meglio per non essere frainteso: molti che sono partiti con generosità, in modo trasparente, hanno perso il senso e il significato della loro missione lungo il cammino, si sono concentrati sull’attività del loro movimento, della loro associazione e hanno perso invece quella dimensione che questo impegno richiede quotidianamente sul territorio, con coerenza, con continuità, con credibilità. Senza trascurare lo Stato che fa anche leggi utili, tutto questo ha senso e significato solo se diamo continuità, se si è radicati nel territorio, se si lavora giorno per giorno con la scuola, con le associazioni, con le chiese, anche con i sindacati, insomma con la società civile in tutte le sue espressioni. E’ paradossale ma a volte le associazioni rappresentano il peggior nemico del cambiamento. Quando per esempio organizzano esclusivamente convegni, anche coinvolgendo personaggi importanti. Non basta. Bisogna lavorare con la gente, dargli una mano. Una carovana come la nostra ha una funzione di stimolo e di presa di coscienza. Deve essere una spina nel fianco degli amministratori, serve per interrogarli sul motivo per cui si fanno delle scelte in un senso piuttosto che in un altro. E se promuove dei momenti di riflessione con i ragazzi ha ancora più valore. Se invece si ferma lì e non c’è un seguito, una continuità, rappresenta solo un episodio e ha poco senso”.

Don Ciotti, ci può fornire qualche dato?

“Negli ultimi due anni ci sono stati l’83% di morti in più legati al fenomeno delle mafie. Un dato sconcertante se pensiamo che negli ultimi 5 anni siamo arrivati a 800 morti di mafia: è un Paese in guerra. Ma circoscrivere il problema al singolo mafioso o all’associazione di stampo mafioso è riduttivo. Lo Stato quando ha voluto è riuscito, anche con leggi adeguate, con gli strumenti, con gli uomini e i mezzi in qualche modo ad arginare il fenomeno. Il vero problema non è tanto il dato criminale. Io negli incontri pubblici dico sempre: chi se ne frega della mafia e dei mafiosi (o almeno in parte), il vero nodo sta in quel comune sentire mafioso, in quel bacino di acqua in cui il pesce si alimenta, quello è il dato sconcertante, che ci sembrava ridotto. Noi dobbiamo lavorare per prosciugare il bacino. L’impegno di ‘Libera’ con i suoi movimenti, associazioni, sindacati è quello di lavorare nel territorio, togliere l’acqua al pesce. Alcune scelte, alcuni ritardi legislativi hanno reso più difficile questo, ma ci sono anche dei segnali positivi come la confisca dei beni ai mafiosi che procede, le cooperative che sono partite. Però c’è un fatto grave: noi abbiamo sostenuto la legge del 96 (la 109 del 1996 sull’uso sociale dei beni confiscati ndr) ma sono usciti alcuni decreti successivi che permettendo di mettere in vendita i beni confiscati, di fatto offrono l’opportunità di ‘restituirli’ ai mafiosi. Di questo si parla troppo poco. Allora ben vengano i segnali positivi dallo Stato ma solo come espressione della normalità, non dell’eccezionalità”.

Ma siamo tutti responsabili a vari livelli? Questo logoramento del tessuto sociale, civile e morale perpetrato da pochi a danno di molti a cosa può portare?

“Chi ha un ruolo pubblico, istituzionale, – un ministro, un’associazione, un uomo di chiesa, un insegnante, – ha una duplice responsabilità: etica e individuale-sociale. Individuale perchè riguarda la propria coscienza, etica perché si è responsabili anche della collettività, per cui qualsiasi scelta sbagliata è una ferita al contesto sociale. Questo è molto importante a livello di ruolo pubblico. Oggi c’è una malattia mortale che pervade la società italiana: la rassegnazione. Molti pensano che le cose non cambieranno mai. La nostra grande scommessa è quella di esserci non da rassegnati, di sentirci addosso una grande responsabilità tutti, anche se su piani diversi, e soprattutto una grande consapevolezza: il silenzio e la rimozione sono i peggiori nemici del cambiamento. Non vedere, lasciare correre perché si pensa che esistono tanti altri problemi sono il peggiore nemico del cambiamento. Questo è il maggiore alleato dell’illegalità, la aiuta a estendersi. Dobbiamo metterci in testa che ognuno di noi è chiamato a prendersi le sue responsabilità, anche solo una piccola parte, affinchè ci sia il cambiamento. Ognuno nel proprio ruolo. Ma non possiamo credere che la lotta alle mafie spetti solo a polizia e magistrati: l’illegalità, la corruzione deve essere un problema di coscienza, di impegno, di attenzione, di fermento che dobbiamo sentire dentro noi stessi”.

Cittadino-legge-istituzioni: quali possibile rapporto costruttivo, quali garanzie, e in particolare quale tutela per il cittadino che vuole rompere la catena criminale?

“Anche qui le esperienze sono veramente diverse, trovi le situazioni in cui le persone sono veramente tutelate, garantite, con degli esempi molto concreti, molto positivi di testimoni che hanno collaborato, ma anche alcuni esempi di fragilità dello Stato rispetto a questo. Ci sono casi sia di collaboratori di giustizia che hanno commesso reati e poi si sono ravveduti che sono stati messi sotto protezione, sia esempi di testimoni che per spirito di giustizia (alcuni hanno dovuto lasciare la propria terra, i figli, le famiglie) che lo Stato ha accompagnato e protetto. Ma ci sono anche delle storie di grande fragilità”.

Don Ciotti, non si parla piu’ di mafia a livello generico, ma in realtà non si spiega mai cosa e’ la mafia veramente…

“O se ne parla in modo sbagliato. Non ha senso far vedere ‘La piovra’ se non per creare il mostro, qualcosa di distante, un qualcosa di irrecuperabile, che non fornisce speranze. Oppure si parla degli eroi, che è anche questo pericoloso, perché se non accompagni la riflessione sembra che siano cose possibili solo a Don Puglisi, al giudice Borsellino eccetera. Invece i ragazzi devono capire che si può costruire qualcosa di importante soprattutto lavorando insieme. Io spiego subito ai ragazzi che cos’è la mafia, spiego subito qual è la differenza tra il crimine organizzato e le mafie: quando si parla di mafie parliamo di un crimine avviato che per il proprio interesse e potere ha connessioni con segmenti della politica, del mondo della cultura, dell’arte, perfino con la chiesa. Quella è la mafia, definizione non inventata da me, ma così definita dagli studiosi ed esperti di tutto il mondo. Criminalità organizzata è un’altra cosa. I ragazzi devono capire allora il peso, il bacino mafioso, le connessioni che devono essere fatte. Secondo: dobbiamo subito dargli le coordinate per fargli capire che la mafia non e’ un’area geografica del Paese. Io ripeto sempre che Corleone nasce nel 1237 grazie a due colonie di immigrati della regione lombarda, tant’è vero che nei Vespri siciliani parlavano nel dialetto di quelle zone. Questo per dire che è la nostra Italia, i nostri flussi migratori nell’arco dei secoli. Non etichettiamo quelli del Sud, come persone che ‘non sono del nostro sangue’, no, no, la storia è un’altra. Bisogna anche dire che non tutto è mafia, ma ci sono delle connessioni comuni a tutto il territorio che danno problemi. Ad esempio la prostituzione oggi non è riconducibile direttamente alla mafia che attualmente non gestisce questo fenomeno sul territorio, anche se l’ha fatto in passato. In questo orizzonte c’è bisogno di aiutare i ragazzi a capire e a dare le coordinate sul loro territorio di quelle che sono le connessioni, senza generalizzare, senza creare e creargli problemi, ma nel rispetto della verità. Io parto sempre dall’aspetto positivo, dobbiamo dire ai nostri ragazzi che noi affrontiamo un tema difficile, pesante, scomodo, di cui si conosce e non si conosce però è un dato educativo cogliere le cose importanti che vengono fatte. C’è chi rispetta le leggi, la legalità, i genitori che sgobbano per pagare le tasse per coprire chi non le paga: i ragazzi devono cogliere il positivo, devono uscire da un incontro, magari a scuola, pensando che c’è chi, magari con fatica e sacrifici rispetta e vive tutto questo. Bisogna costruire insieme dei cantieri di speranza per i nostri ragazzi, renderli protagonisti, sono persone, non contenitori da riempire, insomma devono capire che esistono mille esempi positivi. Bisogna dargli una mano a coglierli, soprattutto sui giornali che parlano sostanzialmente di morti e cose negative. Occorre dare ai giovani strumenti critici, opportunità, in un cammino di concreta speranza”.
 
Programma della “Carovana Antimafie”.


Fonte: Polizia di Stato