Don Milani è più che mai vivo, sebbene siano passati trentacinque anni dalla morte – avvenuta il 26 giugno 1967; poche settimane prima era uscita Lettera a una professoressa, il testo che lo avrebbe consacrato fra i profeti del 1968. Testimoniano della sua attualità i libri a lui dedicati, che si susseguono uno dietro l’altro. Fra questi, il più importante è quel I care. Ancora (Editrice Missionaria Italiana), nel quale Giorgio Pecorini, grande amico di don Milani, ha raccolto Lettere, progetti, appunti e carte varie, inedite e/o restaurate. Un enorme lavoro di pazienza, sia perché don Milani scriveva e appuntava continuamente, sia perché le sue carte hanno subito dispersioni, perdite, nascondimenti a non finire. Dice Pecorini: “A più di trenta anni dalla morte, non esiste ancora una raccolta completa degli scritti di Milani.” Grazie a Pecorini abbiamo sotto gli occhi il don Milani più autentico, con le sue ricchezze e asprezze, ma anche con la sua modernità, per usare un termine ambiguo e abusato. Non basta ricordarlo in un congresso di partito (quel famoso “I care” alla cui insegna si era radunato il Pds, con molte contestazioni): quell’ “ancora” che Pecorini ha voluto nel titolo vuole dire, appunto, l’attualità. Tanto più oggi, se è vero che la sconfitta, non soltanto elettorale e sociale, della sinistra, è anche, se non soprattutto, una sconfitta culturale. E la vittoria della destra è proprio la vittoria di quella pseudocultura contro la quale don Milani combatteva: la cultura del più forte, del primo della classe, dei vincenti che emerginano i perdenti (“Siamo uomini o caporali”, di Totò) nella classe di scuola come nella fabbrica e nella vita. E i più deboli che hanno bisogno, sì, di più soldi, ma soprattutto di più parole. Sembra un monito in vista della contestazione al G8: don Lorenzo sarebbe certamente stato con i contestatori. Padre Alex Zanotelli, un altro dei profeti del nostro tempo, così conclude la presentazione al volume di Pecorini, scritta fra le baracche di Korogocho: “C’è più che mai bisogno oggi di giovani (‘Ho voluto più bene a voi ragazzi che a Dio’ ha scritto don Milani nel testamento) che abbiano il coraggio di rispondere creativamente alle nuove sfide che incombono nella storia umana. Giovani decisi a battersi per un’Italia capace di futuro, per un mondo capace di futuro”.E il finale dell’ultima lettera, scritta da don Milani a Ferruccio Gesualdi, poco prima di morire: “Stasera ho provato a mettere un disco di Beethoven per vedere se posso ritornare al mio mondo e alla mia razza e sabato far dire a Rino ‘Il priore non riceve perché sta ascoltando un disco…’. Volevo anche scrivere sulla porta ‘I don’t care più’, ma invece me ne ‘care’ ancora molto”. Ancora, dunque. Don Milani ci ricorda, anche in un momento oscuro come quello che stiamo attraversando, che le battaglie per la giustizia, la democrazia e la pace (si pensi alla polemica sugli obiettori di coscienza) sono “ancora” aperte, che nessuna sconfitta è definitiva, che alla radice delle sconfitte – come delle vittorie – c’è una cultura, ci sono delle parole. Forse sono proprio le parole – quelle che don Milani cercava di insegnare ai ragazzi di Barbiana – fra le poche realtà che i soldi non riescono a comprare o a sopprimere.
TAG: Società