DON TONINO BELLO E LA COSTRUZIONE DELLA PACE

Nei mesi scorsi a Veronella (Vr), nell’ambito delle conferenze dei “Profili” organizzate dall’Assessorato alla Cultura, abbiamo assistito ad un oratorio dedicato a don Tonino Bello, compianto vescovo di Molfetta e presidente di Pax Christi, uomo di chiesa che è stato negli anni ’90 portatore di un messaggio di pace che abbraccia i temi dell’interculturalità, dell’antimilitarismo, delle tematiche ambientali, dell’amore per gli esclusi dalla società, cioè pace nella sua interezza.

don Tonino BelloI temi toccati da don Tonino sono anche oggetto di riflessione e dibattito nelle scienze sociali attuali, alla luce del cosiddetto “pensiero ecologico” nato negli anni ’70 a seguito della crisi delle teorie neo-positiviste, fondamento teorico della politica degli Stati, il cui maggiore esponente è il politologo americano Gregory Bateson. In questo filone epistemologico “ecologia” non è intesa come dimensione dell’ambiente naturale e della sua tutela, ma in senso lato, come una logica che privilegia il contesto spazio temporale entro cui l’uomo è inserito.

Queste due visioni – religiosa e laica – della complessità sociale che investe la visione del mondo occidentale di fine 1900 hanno numerosi punti in comune, tanto da portare ad un’unica conclusione: la pace come costruzione sociale.

Prendendo spunto dall’oratorio “Tonino Bello, il tormento della pace” di Luigi Francesco Ruffato e Sandro Bergantin e dal volume “Introduzione alla scienza politica” di Patrizia Messina, analizziamo alcuni aspetti di queste posizioni.

 
Il contesto come comunità

Il primo quadro dell’oratorio si intitola “le radici” e parla della giovinezza di don Tonino nella sua terra di Puglia, concludendo: “Non dobbiamo dimenticare le nostre radici se non vogliamo trovarci nomadi della desolazione – il ricordo di quello che siamo stati ci consente il riaccordo con quello che siamo diventati…”; nell’ecologia, legata all’etimologia stessa della parola (greco “Oikos” ambiente e “Logos” discorso), l’attenzione è rivolta all’interrelazione delle parti che compongono il tutto, e quindi all’uomo, alla sua cultura, la sua storia, l’ambiente sociale e naturale in cui è inserito.
 
Nel secondo quadro Don  Tonino parla del processo di militarizzazione della Puglia: terra su cui sbarcano i disperati dei Balcani – siamo negli anni delle guerre civili nell’ex Jugoslavia – cui in Italia si risponde  allestendo campi profughi, ma anche potenziando le strutture militari.

Sappiamo che l’Ordine Internazionale è stato mantenuto per decenni con la guerra fredda e il terrore di un conflitto nucleare tra le due superpotenze; ancora oggi il possesso di armi nucleari da parte degli Stati pone un problema su come percorrere le vie della pace: il pensiero ecologico suggerisce un’azione politica non violenta basata sulla libertà dei popoli, la tutela dei diritti umani e della democrazia, da promuovere potenziando il sistema educativo e formativo.

 
La Chiesa del grembiule e l’interculturalità

È una posizione che si può allacciare anche all’immagine della “chiesa del grembiule” di don Tonino, chiesa del servizio, della condiscendenza, del coinvolgimento in presa diretta nella vita dei poveri. Le sue parole: “Stimola in tutti, nei giovani in particolare, una creatività più fresca, un fantasia più liberante, e la gioia turbinosa dell’iniziativa che li ponga al riparo da ogni prostituzione” si possono paragonare all’educazione interculturale, i cui obiettivi sono quelli di conoscere come si formano gli stereotipi, i pregiudizi dal punto di vista psico-sociale, scoprire che tutti abbiamo stereotipi e pregiudizi sugli “altri” che tendiamo a riprodurre acriticamente; capire che è opportuno superare questi pregiudizi attraverso l’incontro con il diverso, con l’obiettivo di mettere in discussione alcuni luoghi comuni.
 
Don Tonino in numerose occasioni manifestò il proprio amore per gli sfrattati, i rifugiati politici, gli immigrati, i carcerati. Offriva ogni domenica a mezzogiorno il pranzo per quaranta marocchini che si radunavano nella parrocchia di Ruvo, e chiese perdono a questi infelici “sfruttati, sottopagati, ricattati, costretti al silenzio sotto la minaccia di continue denunce… perdonaci, se noi pur appartenendo ad un popolo che ha sperimentato l’amarezza dell’emigrazione, non abbiamo usato misericordia verso di te…”.

Tutto questo porta a mettere in discussione i modelli culturali che hanno caratterizzato in occidente lo sviluppo politico fin dalla nascita degli stati nazionali: la stessa Unione Europea e il processo di globalizzazione fanno sentire questi modelli non più adeguati. Pertanto da una comunità politica centrata sull’omogeneità culturale (lo Stato nazione) si deve passare ad una comunità centrata sul valore della diversità, da riconoscersi come un diritto umano fondamentale.
 
Se la Rivoluzione francese ha posto l’accento sull’uguaglianza tra individui, adesso è necessario pensare al diritto alla diversità e alle relazioni che rendono possibile l’esistenza del “diverso”: quelle che riguardano gli uomini (e donne) che definiscono la comunità e tra essi e il loro ambiente.

 
Dalla tolleranza alla solidarietà

Si richiede il passaggio dalla “tolleranza”, concetto che implica una gerarchia tra chi chiede e chi elargisce tolleranza, partendo dal presupposto che esista una “normalità” (la nostra) alla “solidarietà”, quale conoscenza dell’altro, rispetto, parità di diritto all’esistenza e relatività di ogni forma di cultura. La solidarietà è alla base della condivisione di un progetto comune e quindi, di un dialogo solidale con l’altro, mentre la tolleranza indica sì coesistenza pacifica, ma la relazione con l’altro non è paritaria e simmetrica.
 
È proprio in questo scenario di impossibile solidarietà e nemmeno di tolleranza, ma con la logica “amico/nemico” che sta alla base della comunità centrata sull’omogeneità culturale, che si sviluppa nella ex Jugoslavia una guerra civile devastante, appena al di là del confine della civilissima Europa occidentale, che assiste impotente “all’incendio che devastava la Bosnia e la Croazia: senza una logica, senza una via d’uscita…”.

Sarajevo, dicembre 1992. Sorreggono la bandiera della pace: a sinistra don Albino Bizzotto; a destra, don Tonino BelloNel dicembre 1992, già gravemente ammalato, don Tonino partecipa con altri 500 “matti” alla marcia della pace a Sarajevo, città assediata dalla guerra. Dopo alcune traversie dovute alle difficoltà di ottenere i permessi, al percorso cosparso di mine e sotto il fuoco dei cecchini, il gruppo entra a fari spenti, al buio, in Sarajevo.

Nella città vengono accolti con strette di mano, baci dei bambini, lacrime dei passanti e dei soldati. Don Tonino parla di non violenza attiva, di difesa popolare non violenta, di alternative alla strategia militare. Ma la popolazione indirettamente chiede delle armi, per potersi difendere, per non lasciarsi morire fino all’estinzione.

Durante il viaggio di ritorno don Tonino si chiede: “attecchirà davvero la semente della non violenza? È possibile cambiare il mondo con i gesti semplici dei disarmati? Fino a quando questa cultura della non violenza rimarrà subalterna? Ma in questa guerra allucinante chi ha veramente torto e chi ragione?”.

La pace come progetto di un nuovo ordine internazionale

A queste drammatiche domande il pensiero ecologico tenta di rispondere proponendo un Nuovo Ordine Internazionale Democratico che mettendo l’accento sulla correlazione tra progresso socioeconomico e pace, giunga a chiedersi quali potrebbero essere i requisiti di una pace giusta e quindi di un ordine politico internazionale giusto, ed inoltre rivolgendo l’attenzione al concetto di giustizia  valuti quale rapporto sussiste tra democrazia politica, uguaglianza economica, equità distributiva.

Il Nuovo Ordine Internazionale Democratico ha il compito di superare diverse contraddizioni: se esso è legato ad un alto progresso e sviluppo socioeconomico e al necessario processo di democratizzazione degli Stati, dall’altro la sua realizzabilità dipende dalla limitazione del potere dei paesi più ricchi e più forti rispetto agli altri Stati.
 
Una prospettiva potrebbe essere quella di ridare centralità al primato del cittadino rispetto alla sovranità degli Stati, introducendo anche nella vita politica internazionale il principio di solidarietà, per condurre alla costruzione del dialogo tra diverse culture, e da ciò rendere possibile la costruzione della pace positiva, intesa cioè non come assenza di guerra, ma come progetto politico, base per un nuovo patto sociale internazionale.
 
Usando le parole dell’uomo di fede don Tonino “L’unità con la parola di Dio destabilizza tutti i poteri religiosi e civili, quando diventano fine a sé stessi e non mezzi al servizio della persona. La Chiesa oggi è chiamata a pronunciare per intero la parola della pace, se vuole essere fedele al Vangelo”.

Usando invece le parole del laico: “gli scienziati sociali, non meno dei politici di professione hanno il compito strategico di sfuggire dalla gabbia del senso comune, andando oltre i riferimenti culturali e istituzionali consolidati: è  da ciò che dipende il nostro futuro”.
 
Graziana Tondini


Molti libri utili per conoscere don Tonino Bello sono editi dalla casa editrice

La Meridiana . Inoltre vi consigliamo la lettura del recente libro di Sergio Paronetto «La nonviolenza dei volti».