[di Ettore Masina • 02.03.03] Il quasi-regime in cui ormai viviamo è così becero e il futuro così minaccioso che molti finiscono per rimpiangere il passato e considerarne con ammirazione o, se non altro, con rimpianto, gli uomini che ne furono i Grandi Personaggi.

ETTORE MASINA: AGNELLI, LUCI ED OMBRE DEL «BENEFATTORE»

Il quasi-regime in cui ormai viviamo è così becero e il futuro così minaccioso che molti finiscono per rimpiangere il passato e considerarne con ammirazione o, se non altro, con rimpianto, gli uomini che ne furono i Grandi Personaggi. E’ avvenuto mesi fa per Andreotti, condannato in secondo grado per reati infamanti ma valutato da larga parte dell’opinione pubblica un geniale (e, si suppone: onesto) statista; è avvenuto nei giorni scorsi per Gianni Agnelli, apoteosizzato come benefattore dell’economia nazionale e dunque del popolo italiano. Sulla verità storica finisce per prevalere la sensazione che questi Potenti ci abbiano assicurato per una lunga epoca, un quieto vivere che adesso, qualche volta, ci pare felicità. E’ un atteggiamento pericoloso: il peggio non giustifica mai il meno peggio, tanto più se il meno peggio ne è, più o meno direttamente, la  radice.  

FIAT, UNA FABBRICA-PARADISO?
La morte richiede rispetto e penso che nessuno, tranne il suo Dio, possa giudicare  compiutamente la vita di Giovanni Agnelli, virtù e colpe, se ne ebbe – e quali. Né si può dimenticare quanto la vita di questo “re”, come nel furore cerimoniale viene definito, sia stata singolarmente toccata dal dolore: la morte prematura del padre, la durezza “educativa” del nonno, il suicidio di un figlio disperato, la morte repentina di altri famigliari e collaboratori. L’arcivescovo di Torino e don Ciotti ci hanno lasciato intendere, infine, che l’uomo era nascostamente generoso verso le opere cosiddette di carità.
Tuttavia l’ennesima santificazione avviata dai mass-media e decretata da un’opinione pubblica ormai allevata a considerare il mondo come basato sui Dominatori dovrebbe trovare qualche limite nella verità storica. Il regno sul cui trono Gianni Agnelli sedette per mezzo secolo ebbe una storia in cui non si possono leggere soltanto sfolgorare di ingegno e signorilità manifestata nell’arengo dei conflitti sociali: vi sono pagine più che discutibili ed altre terribili. La Fiat ebbe, per lunghi anni, un servizio segreto che schedava gli operai di sinistra e provvedeva a inviarli a reparti “di confino”, quando licenziarli risultava difficile. Pagò lautamente un sindacato “giallo” (cioè provocatorio) e finanziò gruppi eversivi “anticomunisti”.  Nei tempi del boom dell’automobile, la famiglia Agnelli intascò proventi pari all’intero monte-salari del personale e sarebbe bello sapere se li re-investì nell’azienda. In tutti i casi la Fiat non fu, come qualcuno vorrebbe far credere, una fabbrica-paradiso, un luogo in cui si donavano lavoro e dignità al di fuori delle regole, aspre, del capitalismo. Non lo fu in Italia, meno ancora lo fu all’estero. Ricordo le condizioni di vita degli operai della Fiat Betim, a Belo Horizonte, in Brasile. Nel 1985 guadagnavano l’equivalente di circa 150 mila lire al mese, mentre le sole spese di trasporto arrivavano a 30 mila lire. La svalutazione del cruzeiro era del 250 % e negli ultimi tre anni il valore d’acquisto del salario era diminuito di un quarto. La grande maggioranza degli operai viveva in favela, senza acqua potabile, con luce elettrica soltanto di fortuna, a cielo aperto i canaletti fognari. Annotai allora sul mio taccuino: “Ben pochi lavoratori arrivano ai sessant’anni, a causa della mancanza assoluta di qualunque forma di prevenzione e di cura delle malattie professionali”. Un mio amico tentò la provocazione con un disegnatore meccanico: “Però la Fiat vi ha portato lavoro”. Rispose: “Sì, ma  un lavoro per carne da macello”. Lo sapeva il Re? Voglio raccontarlo, a costo di sentirmi dire che faccio della retorica, come ti accusano oggi, sempre più spesso, quando racconti certi fatti: appena tornato dal Brasile, avendo ancora negli occhi quelle baracche, lessi su un rotocalco che quando l’avvocato Agnelli si sentiva esaurito, si faceva portare in elicottero a Saint Moritz, sulla vetta di qualche montagna. Scendeva a valle con gli sci, poi tornava in elicottero a Torino.
La Fiat portò lavoro anche in Argentina, con uno stabilimento a Buenos Aires. Neppure quella era una fabbrica-paradiso Pochi giorni dopo il golpe militare, i suoi dirigenti, pieni di zelo patriottico, consegnarono agli aguzzini della Giunta l’elenco dei sindacalisti e degli attivisti della sinistra. Furono tutti arrestati, torturati, molti macellati.
Del resto agli Agnelli i generali piacquero sempre. I due conflitti mondiali rinsaldarono fortemente l’azienda e anche negli anni successivi la produzione armiera fu sempre guardata con grande interesse dalla Famiglia. Neppure le consociate Fiat si resero benemerite di umana solidarietà. La Valzella vendette milioni di mine anti-uomo ai peggiori regimi del mondo. Tanto per dire: interi campi minati dell’Iraq hanno quel marchio di fabbrica. Io stesso ho visto nell’Ogaden i moncherini di bambini saltati su  quelle mine, vendute imparzialmente a Etiopia e Somalia per una delle tante guerre africane. Sapeva il Re da dove venivano certi suoi proventi?
 
CARDINALIZI, GLI ULTIMI SACRAMENTI
Poiché cerco di essere un cristiano, è per me di conforto sapere che Giovanni Agnelli ha ricevuto quelli che vengono definiti ”.gli ultimi sacramenti”. Mi conforta meno, anzi mi è di scandalo, che questi sacramenti gli siano stati portati da un cardinale, accorso nella notte. Un episodio del genere ricorda davvero i costumi regali di altri tempi per i quali non bastava un semplice prete al capezzale del monarca agonizzante, c’era apposta un Grande Penitenziere. Penso a una tetra statistica la quale dice che fra i cassintegrati e i pre-pensionati la percentuale dei suicidi è tre volte più alta di quella dei coetanei. Chissà  se l’arcivescovo di Torino è andato al funerale di uno di quei miseri. Non era amico personale loro  – e di Agnelli sì? Non  mi sembra domanda di poco conto. Trovo nella Lettera detta di San Giacomo: “Se adempite il più importante dei comandamenti (Amerai il prossimo tuo come te stesso), fate bene. Ma se fate distinzione di persone, commettete un peccato”.
 
NOSTALGICI
Nell’eccesso veneratorio della maggior parte dei giornalisti, i due Giovanni Agnelli (nonno e nipote) e il loro uomo di fiducia (per il primo) e maestro (per il secondo) ingegner Valletta, sembrano essere stati gli edificatori della Fiat, questo unico esempio italiano di Grande Industria. Ancora una volta, a questo modo, si costruisce una storia che ricorda soltanto i re, non (o non anche) i loro soldati, i loro intellettuali, i  faticatori e le faticatrici senza galloni… C’è in questo silenzio sui lavoratori una più o meno consapevole faziosità. I due italiani più intelligenti del secolo XX, Piero Gobetti e Antonio Gramsci, lo videro con chiarezza: il “miracolo Fiat” fu reso possibile dal fatto che l’”autocrazia eroica” di Giovanni Agnelli senior, generò, a risposta, un forte movimento operaio, in cui il concetto di “classe” si legò imprevedibilmente all’orgoglio di essere parti di un’azienda all’avanguardia tecnologica: e perciò non rotelle di un immenso ingranaggio ma consapevoli produttori di “capolavori”. (E’ interessante ricordare che “capolavoro” fu il nome dato dagli operai al pezzo che, al momento dell’assunzione, dovevano rifinire per provare la propria capacità). Questo tipo di lavoratore, che non esitò a prendere le armi, nel 1945, per difendere gli impianti della fabbrica dalle velleità demolitorie dei nazisti in fuga, oggi forse non esiste più, soprattutto a causa di una parcellizzazione del lavoro che gli rende ignota la funzione e la destinazione del “suo” prodotto. Ma non bisogna dimenticarlo, altrimenti si tradisce la storia del Paese: esistette nelle grandi fabbriche, sino alla fine degli anni ’70, una vera “aristocrazia proletaria”, che ebbe grande influsso sulla cultura del Paese: nel sindacato, certamente, e persino del Parlamento, in cui non pochi di quei lavoratori entrarono portati dal PCI; ma anche, persino nell’Azione Cattolica e in altri movimenti ecclesiali. Le lunghissime fila di anziani nelle brume invernali del Lingotto, davanti alla camera ardente dell’Avvocato, erano composte certamente da molti nostalgici di quel passato.