Ad Evian i G8 si sono presentati con nuove promesse “riconosciamo che sono necessari fondi addizionali”, “confermiamo il nostro impegno attraverso ulteriori azioni in ambiti quali lo sviluppo istituzionale, le partnership pubblico-privato, lo sviluppo delle risorse umane, le attività di ricerca e la promozione della sanità pubblica a livello di comunità”; “riaffermiamo il nostro appoggio al Fondo Globale per la lotta all’HIV/AIDS, la tubercolosi e la malaria”. Non un solo impegno concreto sottoscritto da tutti. L’affermazione più verificabile è “diamo il benvenuto e sosteniamo la proposta di ospitare, in collaborazione con il Fondo Globale, una conferenza internazionale di donatori e sostenitori Sa luglio a Parigi. Il proposito sarà quello di sviluppare strategie per mobilitare risorse per assicurare finanziamenti sostenibili e di lungo periodo al Fondo”. Si rimanda all’ennesima, inutile, dispendiosa conferenza internazionale.
Nel 2000, l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva stimato che per far fronte all’epidemia di HIV/AIDS fossero necessari circa 10 miliardi di dollari all’anno e che per rispondere congiuntamente anche a tubercolosi e malaria quella cifra avrebbe dovuto raggiungere i 20 miliardi di dollari. Su quelle premesse i G8, con il segretario generale delle nazioni Unite – Kofi Annan – come sponsor, nel 2001 a Genova lanciarono il Fondo Globale per la lotta a HIV/AIDS, tubercolosi e malaria. Il Fondo però non sarebbe stato gestito dalle Nazioni Unite (secondo il suggerimento paradossalmente avanzato proprio da Kofi Annan), ma da una organizzazione indipendente – una Global Public Private Partnership – alla cui direzione e amministrazione avrebbero partecipato di diritto anche i rappresentanti dei maggiori contribuenti, ivi incluse le multinazionali. Ciò nell’ipotesi che una simile struttura sarebbe stata più agile, riducendo “i costi di transazione” che si considerano legati alla tradizionale burocrazia, e che avrebbe attratto risorse dal settore privato nella nuova partnership globale pubblico-privato.
A quasi due anni di distanza il Fondo Globale rischia la bancarotta. Può contare su 3,4 miliardi di dollari di impegni da distribuire su otto anni, ma nemmeno i soldi promessi per il 2002 sono stati ancora interamente trasferiti al Fondo. Solo per far fronte alle richieste già approvate (153) e quelle che si pensa possano esserlo nel prossimo round di settembre, ci vorrebbe l’immediata disponibilità di un altro miliardo e mezzo di dollari. Senza contare che solo 9 delle richieste approvate nel 2002 hanno iniziato a ricevere effettivamente i fondi. Per quanto riguarda la partecipazione del settore corporate questa è molto al di sotto delle aspettative; in particolare solo tre compagnie hanno contribuito (Wintherthur, Eni, Statoil) per complessivi 1,5 milioni di dollari. Ha fatto decisamente di più Bill Gates che attraverso la sua Fondazione ha trasferito al Fondo cento milioni di dollari, garantendosi tra l’altro un posto nel Consiglio di amministrazione.
Ad Evian il presidente Bush si è presentato con la promessa di un contributo di 15 miliardi di dollari (su cinque anni) per la lotta all’AIDS. Nessuna certezza però: ogni quota annuale (3 miliardi) per poter essere spesa dovrà prima essere tradotta in stanziamenti in sede di legge finanziaria dal Congresso americano. Di quei soldi, poi, solo un miliardo all’anno sarebbe versato al Fondo Globale e quello solo se gli altri partner ne mettono il doppio. Ma i quattro rappresentanti europei al G8 hanno parlato di un possibile contributo dell’UE di solo un miliardo all’anno (rimandando comunque un impegno più concreto al prossimo Summit europeo di Salonicco (26 giugno). In realtà i soldi americani saranno gestiti secondo interessi bilaterali degli Stati Uniti, probabilmente per acquistare farmaci dalle multinazionali americane ai prezzi speculativi che quelle vorranno stabilire, tanto più che anche sul tema dell’accesso ai farmaci per i paesi più bisognosi i G8 non si sono scoperti, rimandando ogni valutazione alla Conferenza Ministeriale del Organizzazione Mondiale del Commercio, che si terrà dopo l’estate a Cancun. Piuttosto, anche per l’accesso ai farmaci e ai servizi sanitari si propongono nuove Global Public Private Partnerships (GPPP). E’ il modello che va di moda: incentivare il contributo del settore privato per coprire il proprio disimpegno.
Riproporre per ogni problema e per ogni malattia una nuova organizzazione, un nuovo gestore privato (seppure a partecipazione pubblica) delle risorse pubbliche, indebolisce e, di fatto, delegittima le organizzazioni e le agenzie specializzate delle Nazioni Unite, accrescendo la confusione nel campo della governance della cooperazione con i paesi del Sud del Mondo. Nuove organizzazioni comportano nuovi costi di struttura e di personale (a costi internazionali) e, come ha dimostrato fin qui il Fondo Globale – che del modello GPPP è ormai considerato un prototipo – nuove procedure burocratiche con costi addizionali sulle già precarie risorse delle istituzioni nei paesi in via di sviluppo. Senza considerare l’indebolimento dei sistemi sanitari derivanti da un approccio selettivo per malattie e per progetti avulsi da un piano sanitario nazionale, nonché la limitazione di sovranità cui devono sottostare i paesi beneficiari per accedere ai fondi. Quanti chiedono comunque “più fondi per il Fondo”, facendosi giustamente interpreti della tragedia che stanno vivendo i paesi più poveri, non sembrano avere adeguatamente soppesato questi aspetti.
Osservatorio Italiano sulla Salute Globale
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