[Sergio Paronetto – 09.09.2003] Chi brandisce la sua cattolicità come arma di rifiuto del «diverso» o del «lontano» assomiglia al fariseo della parabola che si ritiene perfetto insultando il pubblicano (Luca 18). Durissime, infatti, sono le espressioni evangeliche contro i farisei e gli scribi (ad esempio: Matteo 23 o Luca 11). Che poi una messa, cioè una celebrazione dell’eucaristia che vuol dire frazione del pace, rendimento di grazie, comunione e servizio diventi segno di esclusione e di rifiuto appare, francamente, intollerabile.
La pretesa di possedere la verità contiene la radice dell’intolleranza. A questo proposito, occorre ricordare che il papa Giovanni Paolo II, il 12 marzo 2000, ha chiesto solennemente perdono per molti errori dei cattolici. Ha pronunciato i famosi «mai più» nei confronti di ogni logica di discriminazione e di violenza o per «le contraddizioni alla carità nel servizio della verità».
«Cattolico» vuol dire universale e accogliente. I credenti operano per costruire una città plurale dove ci si rispetti elaborando e realizzando percorsi inediti di cittadinanza nell’esercizio consapevole dei diritti e dei doveri. Per il vescovo Tonino Bello, compianto presidente di Pax Christi, la pace è, anzitutto, «convivialità delle differenze». Ad essa in questi giorni si richiamavano molti cattolici veronesi. Coloro che hanno partecipato ad alcuni incontri ecumenici, in occasione della pubblicazione della Carta Ecumenica. Coloro che hanno pregato in cattedrale col loro vescovo assieme a valdesi, ortodossi rumeni e russi, evangelici battisti. Coloro che hanno preparato e realizzato la Festa dei Popoli. Coloro che si stanno preparando a manifestare a Genova contro il G8 per una globalizzazione della giustizia, dei diritti e della pace e, in ottobre a Perugia e ad Assisi, per l’«Onu dei popoli».
Sergio Paronetto
Pax Christi di Verona