[di Corrado Stajano • 12.11.2004] E così un’altra indecente legge, quella sull’ordinamento giudiziario, ha avuto l’esito che doveva avere. Non occorreva un indovino per capirlo. Imposta con il voto di fiducia alla Camera, è stata approvata mercoledì 10 novembre al Senato, contingentando i tempi del dibattito in modo strettissimo e nervoso...

GIUSTIZIA È SFATTA

E così un’altra indecente legge, quella sull’ordinamento giudiziario, ha avuto l’esito che doveva avere. Non occorreva un indovino per capirlo. Imposta con il voto di fiducia alla Camera, è stata approvata mercoledì 10 novembre al Senato, contingentando i tempi del dibattito in modo strettissimo e nervoso.

Approvata senza una vera discussione, senza tenere in alcun conto le opinioni critiche della stragrande maggioranza della cultura giuridica italiana. Non soltanto i magistrati: autorevoli giuristi, costituzionalisti, processualisti, il Consiglio superiore della magistratura hanno cercato in tutti i possibili modi di far capire quali sono i nefasti contenuti di questa legge e le ragioni del rifiuto. Una legge-vendetta contro i magistrati considerati nemici. La legge, infatti, non sembra proprio pensata e costruita per far funzionare meglio la giustizia, problema che rappresenta l’ultima preoccupazione del governo Berlusconi.

I magistrati, tutte le correnti concordi, hanno ora proclamato uno sciopero di protesta per il 24 novembre. Sono stati fin troppo cauti dopo il congresso straordinario tenuto in settembre a Napoli. Nei loro confronti si sono sprecati gli inviti a soprassedere, in nome della dignità del ruolo. Ma alle preoccupazioni manifestate da autorità istituzionali non hanno corrisposto gesti concreti in grado di impedire non tanto il parto di questo mostro giuridico, ma di far sì, almeno, che la discussione in Parlamento fosse ampia e corretta e che la proclamata volontà di dialogo propagandata dalla maggioranza non fosse, com’è poi accaduto, una delle tante bugie.

La dignità dei Giudici è stata calpestata dai legislatori della maggioranza ossessivamente tesi, con questa legge preventiva come le guerre di Bush, a impedire che i magistrati possano indagare in futuro su delicate questioni che gli stanno a cuore, il fantasma di Mani pulite. Si è creato così un sistema – dall’ingresso in magistratura alla sostanziale separazione delle carriere, alla burocratizzazione delle Procure – che viola anche la Costituzione. (Il presidente Leopoldo Elia ha parlato dell’«avventurismo che ispira il disegno di legge governativo»).

La decisione di far sciopero non suscita mai entusiasmo tra i magistrati. Lo impediscono la mentalità acquisita e la coscienza delle funzioni. Crea sofferenza, piuttosto. Ma in questa occasione vuole essere l’ultimo grido di allarme, il modo simbolico per far capire all’opinione pubblica la gravità di una legge che incrina l’indipendenza della magistratura e danneggia fortemente i cittadini e i loro diritti. I magistrati hanno tentato con tutti i mezzi di aprire un dialogo, discutendo e facendo proposte, sempre inascoltate. E così l’opposizione che non ha detto soltanto dei no.

Altro che tavoli. I patetici inviti di Rutelli al dialogo sulla giustizia rivolto al Polo delle libertà nella sua intervista al «Corriere» dell’8 novembre, hanno rivelato tutta la loro leggerezza compromissoria. O il leader della Margherita non ha letto con attenzione la legge e non ha seguito il suo iter o ha prevalso la sua preoccupazione di crearsi una grotta di sopravvivenza politica. C’è poco da creare «tavoli di confronto» con simili avversari che sembrano birrai di Chicago degli anni Trenta preoccupati di portare a casa il malloppo fin quando sono in tempo. (Ci sarà ben poco da salvare della XIV legislatura. Subito, a ogni modo, sarà necessario cancellare questa retriva controriforma).

E pensare che di una riforma seria della giustizia c’è bisogno in Italia come di pane. In un Paese dove lo Stato sarà probabilmente costretto a restituire i beni confiscati nel 1985 dal pool di Caponnetto, Falcone, Borsellino al supermafioso Tano Badalamenti che nel frattempo è morto e non è arrivata a compimento una sentenza definitiva di condanna. In un Paese dove, se tutto fila liscio, un processo penale dura 5-6 anni e un tempo assai più lungo un processo civile. Dove per un patteggiamento occorrono almeno quattro anni. Dove la quantità dei reati che cadono in prescrizione, spesso di estrema gravità, è altissima e da questa anomalia ha tratto giovamento anche il presidente del Consiglio col suo garbuglio giudiziario. Ma, si sa, non bisogna demonizzare: di questo perfido verbo non c’è traccia né sul Tommaseo né sul Devoto-Oli né sul Battaglia. Compare solo, segno di nuovi tempi pravi, sullo Zingarelli, Sul Sabatini-Coletti.

Altro che ragionevole durata del processo, come stabilisce l’articolo 111 della Costituzione riformato nel 1999. Le condanne, i frequenti ammonimenti, le messe in mora della Corte di giustizia europea rappresentano la prova di una situazione molto preoccupante.

La legge sull’ordinamento giudiziario non sembra curarsene. È piuttosto una specie di sgrammaticato regolamento di disciplina a carico dei magistrati, oltre che una dichiarazione di egemonia del potere politico sull’ordine giudiziario. Non si cura per niente di mutare, migliorare, normalizzare, dare credibilità a un sistema sempre più impraticabile in un Paese dove le arcaiche procedure dell’amministrazione della giustizia, con le sue lungaggini e i suoi disservizi, e l’incompetenza del governo centrale, provocano danni quotidiani e intralci a un possibile sviluppo sociale ed economico.

L’Associazione nazionale magistrati ha preparato un libro bianco ricco di dati e di notizie che offrono un panorama penoso sul funzionamento della giustizia in Italia. Qualche esempio, Milano: «Tutte le udienze penali hanno luogo senza la presenza dell’ufficiale giudiziario. Sono segnalati ritardi e difficoltà nelle notifiche, con rinvio dei procedimenti penali. In tutte le aule penali manca una sala per i testimoni che bivaccano nei corridoi discutendo sull’oggetto della testimonianza che devono rendere senza che nessuno, neanche l’ufficiale giudiziario (che non c’è) possa controllarli. Il bivacco è comune ad altri servizi per il pubblico. Alcune aule di udienza (ormai un numero sempre maggiore e in crescita) non dispongono di camera di consiglio. Tutti i giudici civili fanno udienza senza l’assistente di cancelleria».
Torino: «A fronte di un organico complessivo di 477 unità (dirigenti, cancellieri, ausiliari) la copertura è di 358 unità».
Bologna: «Terza sezione civile. Nessun usciere staziona nel corridoio, sorveglia, funge da filtro o regola l’accesso agli uffici di ciascun giudice; tutti possono entrare liberamente nelle stanze con gli immaginabili disagi, perdite di tempo, pericoli. Ogni magistrato deve fungere sempre da aiutante ufficiale giudiziario chiamando personalmente nel corridoio le parti, i testi, gli avvocati. Per visionare un fascicolo d’ufficio un avvocato deva fare domanda anche un mese e mezzo prima. La pubblicazione delle sentenze pubblicate in minuta dai giudici avviene dopo circa tre mesi. Non rari gli smarrimenti dei fascicoli d’ufficio e di parte, con necessità di compilazione di verbali volanti».
Ferrara: «Si segnala il degrado strutturale del Palazzo di giustizia ove piove dentro e si staccano pezzi di soffitto, pericolosi anche per l’incolumità dei terzi».
Modena: «Totale udienze civili tenute 32 di cui 27 in assenza di cancelliere».
Cagliari: «Le udienze penali con la sola eccezione di quelle in Corte d’appello e di quelle collegiali del Tribunale di Cagliari, si svolgono senza la presenza dell’ufficiale giudiziario. A Sassari ci si è organizzati con altoparlanti per chiamare le parti e i testimoni, a Cagliari, per le udienze Gup e del Tribunale dei minorenni, con microfoni: gli inconvenienti sono molteplici perché non è possibile avere la sicurezza che tutti sentano il richiamo, senza contare che è davvero impossibile sorvegliare i testimoni perché non entrino in aula e non assistano al dibattimento prima che venga il loro turno di deporre».
Messina: «Disfunzioni nel settore civile. I ruoli dei giudici hanno una consistenza superiore alle 1500 cause. Sottodimensionamento del personale di cancelleria. Insufficienza delle risorse finanziarie: penne, matite, carte rappresentano un bene prezioso. Insufficienza dei locali: i giudici sono costretti a condividere le stanze in gruppi di due o tre.

Fatiscenza dei locali: alcuni uffici, quali la sezione Gip-Gup e l’ex procura circondariale sono ubicati nel piano seminterrato con problemi di luce, aria, mentre qualche volta è stata segnalata la presenza di topi».
Il sesto Paese industrializzato del mondo. Come ha detto il ministro Castelli l’11 novembre 2003: «Maggiori risorse per la giustizia? Serve piuttosto una cultura manageriale».
 
Corrado Stajano