[di Amedeo Tosi • 09.07.03] Dal dopoguerra ad oggi oltre 24 milioni di persone sono morte a causa delle guerre, 37 milioni di persone rifugiate hanno lasciato, temporaneamente o per sempre, le proprie terre...

GUERRE E NEWS: QUANDO ANCHE IL SILENZIO UCCIDE/1

Dal dopoguerra ad oggi oltre 24 milioni di persone sono morte a causa delle guerre, 37 milioni di persone rifugiate hanno lasciato, temporaneamente o per sempre, le proprie terre. Potrebbero essere sufficienti questi due dati per giungere ad affermare che a pagare il prezzo dei conflitti armati non sono in primo luogo le parti in lotta, quanto piuttosto segmenti di popolazione estranei ai meccanismi di innesco. Ma i dati che parlano da soli sono anche altri: 2 milioni bambini morti in guerra dal 1990 al 2000, 6 milioni i minori feriti o resi invalidi. E mentre negli anni Cinquanta e fino agli anni Ottanta la percentuale di vittime civili della guerra era minoritaria (si va dallo 0,8 per cento dell’immediato dopoguerra fino al 3,1 per cento degli anni ottanta), attualmente il 90 per cento del totale delle perdite umane è costituito da civili.
Nel mondo sono oggi presenti numerosi focolai di conflitti: se ne contano almeno trentacinque, di cui ventisei (Iraq, Afghanistan e conflitto israeliano-palestinese inclusi) sono considerati dalle statistiche vere e proprie guerre, in quanto superano la soglia dei mille morti e delle almeno cento vittime annuali a causa dei combattimenti. Ad essi si devono aggiungere una decina di situazioni di crisi latenti, alcune delle quali stanno uscendo in queste settimane, seppur faticosamente, da periodi di conflitto.
Partendo dalle suddette considerazioni c’è da chiedersi perché il sistema delle comunicazioni di massa, che mai come oggi può contare su risorse,  strumentazioni e tecnologie in grado di seguire e diffondere ogni evento importante, finisce per ignorare la maggior parte degli eventi bellici; o, più precisamente, accende i propri riflettori ad intermittenza, creando così conflitti di serie A, trasformati talvolta in veri e propri eventi mediatici da palinsesto spettacolare, e guerre di serie B, destinate all’oblio dell’informazione. Le guerre ignorate sono quelle che si stanno combattendo, con varia intensità, in Algeria, Angola, Burundi, Cecenia, Colombia, Costa d’Avorio, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia – Eritrea, Filippine, India, Indonesia, Kashmir, Liberia, Molucche, Nepal, Nigeria, Rwanda, Senegal, Sierra Leone, Somalia, Sudan, Sri Lanka, Uganda; la lista si potrebbe allungare, ed includere anche il Togo e tutte quelle nazioni in cui il conflitto è a bassissima intensità, ma per questo non meno grave.
Dunque, perché i mezzi d’informazione ignorano questi fronti? Cercherò di rispondere a questa domanda proponendovi, a più puntate, l’analisi della tipologia di conflitti che oggi imperversano nel pianeta e le relazioni politiche internazionali, per poi soffermarmi sull’opinione pubblica italiana ed infine approfondire il sistema dell’informazione, partendo dalla professione di giornalista per arrivare ad analizzare i vari mezzi di comunicazione di massa e Internet. Questo approfondimento sarà accompagnato da alcuni dati statistici, tra i quali anche quelli di una pionieristica indagine sul campo condotta recentemente dalla Caritas Italiana su «I conflitti dimenticati», iniziata nel settembre del 1999 e conclusasi nel giugno del 2001. Un lavoro di ricerca e trasversale sintesi concettuale e dei contenuti, più che un mosaico di citazioni. Ed anche qualche considerazione personale.

Conflitti e relazioni internazionali
Nessuna delle ventisei guerre (ventitre delle quali sono “guerre – dimenticate”) attualmente in corso è uguale all’altra. Nonostante ciò è possibile delineare alcune similitudini fra i vari conflitti, al fine anche di rendere più comprensibile il quadro generale della situazione. Le guerre combattute con le armi sono presenti in quasi tutti i continenti ad eccezione dell’Europa, anche se fino a poco tempo fa il nostro continente è stato teatro di uno dei conflitti più sanguinosi del dopoguerra, combattuto nella ex-Jugoslavia.
Oggi la maggior parte delle “zone calde” si trova nell’emisfero Sud del mondo; in Africa, in particolare, sono in corso ben quattordici  conflitti sul totale di ventitre, otto in Asia e Oceania mentre l’unico stato dell’America Latina considerato in guerra è la Colombia, anche se nello stesso continente sono presenti situazioni di crisi o di scontro all’interno di alcuni stati, come quello nel Chiapas (Messico meridionale) tra l’esercito Zapatista (EZLN) ed il regime priirista governativo. O la situazione di tensione che da mesi si registra in Argentina e in Venezuela, entrambi sull’orlo di una guerra civile.
I conflitti odierni hanno ben poche cose in comune con le guerre del passato: oggi, infatti, quasi tutti si svolgono all’interno degli stati, ovvero sono guerre civili; sono solo una decina i casi in cui si sta registrando l’invio di truppe straniere per sostenere una delle parti in lotta e denominatore comune del 90 per cento dei conflitti armati avvenuti dal dopoguerra è che essi sono geograficamente presenti  nel cosiddetto Terzo e Quarto Mondo, ovvero nelle aree meno sviluppate del pianeta.
Lo scoppio della guerra spesso comporta blocchi commerciali e sanzioni internazionali, rendendo gli stati veri e propri mercati di contrabbando mondiale di armi, narcotici, migranti, combustibile, e la popolazione accusa seri problemi di reperimento dei beni primari di sussistenza. Conflitti, questi, che si scatenano in contesti di piena delegittimazione delle istituzioni e sono combattuti su fronti frammentati, molto spesso con armi vecchie e rudimentali provenienti da arsenali dimessi dalle nazioni industrializzate; più che in veri e propri eserciti, i soldati si trovano a combattere all’interno di guerriglie paramilitari, assoldati spesso da mercenari, i cosiddetti “signori della morte”: persone che attraverso i conflitti cercano di arricchirsi e aumentare il proprio potere.
Una delle ragioni di fondo dello scoppio di molti conflitti risiede nel fatto che l’apparato politico degli stati coinvolti non è sostenuto da solide basi democratiche, non è legittimato dal popolo ma da accordi internazionali siglati a tavolino, oppure da governi imposti con la forza.
L’Africa e l’Asia hanno subito l’influenza politica e la modernità degli stati sviluppati, che in certe situazioni non hanno tenuto conto della struttura antropologica e storico – culturale dei suddetti continenti, provocando uno smarrimento profondo, degenerato in violenza.
La democrazia necessita di un processo di crescita lungo e basato sul consenso: i modelli politici ed economici Occidentali non è detto che possano produrre gli stessi effetti anche altrove, soprattutto se ignorano le reali esigenze della popolazione e la loro storia. I confini degli stati spesso ricalcano quelli delle vecchie colonie europee,  tracciati senza tener conto delle diversità sociali; ciò rende problematica in queste nazioni la costruzione di una propria identità nazionale, mentre le diversità etniche e/o religiose, o artificiose ragioni d’indipendenza, invece di generare una coesione collettiva sono diventate strumento politico, pretesto per scatenare sanguinose offensive al fine di controllare e gestire le preziose risorse naturali presenti nell’area di conflitto. Può essere citato quale esempio eclatante quello del conflitto in Angola, dove i signori della guerra gestiscono le concessioni alle multinazionali straniere per lo sfruttamento delle riserve di petrolio e diamanti. In questo modo la guerra è diventata un business durato per ben 28 anni; nell’aprile del 2002 si è raggiunto un accordo che ha fermato gli scontri, ma la pace è ancora molto debole e molti soldati vagano per il paese saccheggiando e uccidendo civili. In Liberia, invece, dal Duemila sono ripresi i combattimenti per il controllo delle miniere di diamanti e dell’ingente quantitativo di legname da esportazione. A questa lista bisogna aggiungere anche la Cecenia, regione troppo importante per una Russia poco intenzionata a cedere alle richieste separatiste, dato che in gioco vi sono oleodotti importantissimi e significativi giacimenti di petrolio e gas naturale.
Il conflitto più esteso, denominato anche “Guerra Mondiale Africana”, è quello che coinvolge la Repubblica Democratica del Congo e altri stati confinanti (Angola, Rwanda, Burundi, Namibia e Zimbabwe): dietro il paravento di una guerra nata per problemi tra alcune etnie, si nasconde in realtà una ragione prettamente economica: il controllo delle risorse aurifere e del legno pregiato. Scontri che hanno portato nel 1994 alla morte, in Ruanda, di ottocento mila persone (su una popolazione di circa 5 milioni di abitanti), e ad oggi le vittime della Guerra Mondiale Africana arrivano a tre milioni. Come si avrà modo di constatare più avanti, i dati sulle vittime sono generalmente molto approssimativi ed in alcuni casi (come, ad esempio, il numero di vittime in Angola) drammaticamente approssimativi. I motivi di ciò sono vari: dal susseguirsi di momenti di tregua ad improvvise e sottaciute  escalation di violenza, dall’oblio e disinteresse dell’informazione alle oggettive difficoltà di riscontro da parte delle istituzioni sopranazionali legate alle Nazioni Unite. 
Nella lista dei conflitti, l’unica crisi internazionale dimenticata, sfociata poi in un conflitto etnico, è quella del popolo kurdo: un’etnia senza terra, la più numerosa del pianeta, con 30 milioni di persone che vivono in un’area (da loro chiamata Kurdistan) che si estende fra la Turchia, Iran, Iraq, Armenia e Siria. Questi Stati contrastano fortemente ogni loro tentativo di indipendenza e molto spesso la repressione è sfociata in tremende carneficine. Altro conflitto drammaticamente dimenticato, che presenta però i connotati di una guerra di conquista territoriale, è quella tra l’Eritrea e l’Etiopia: da decolonizzazione le aveva unite, ma dopo una guerra trentennale l’Eritrea era riuscita a staccarsi. Nel 1998 è ripreso il conflitto per il controllo della regione di Yrga, che permetterebbe all’Etiopia di avere uno sbocco sul mare. Nonostante ingenti aiuti da parte degli USA, che hanno molti interessi geopolitica in quell’area, la guerra va avanti, logorando sempre più l’Eritrea, ormai in ginocchio.
Analizzando in maniera approfondita le cause delle guerre attuali, si trova un filo – rosso che porta a interessi politici ed economici estesi a livello internazionale; le multinazionali esercitano sempre più la loro influenza sulle scelte politiche delle nazioni –siano esse sviluppate o meno- determinando un nuovo ordine mondiale che si è sostituito al bipolarismo della “guerra fredda”. La situazione di complessivo fuorigioco in cui si trovano le nazioni meno sviluppate nella competizione con i monopoli occidentali ha finito per scatenare feroci contese per il controllo delle risorse naturali. E le alleanze economiche con le grandi multinazionali sono determinanti per raggiungere gli obiettivi desiderati, creando e perpetrando così sotto nuova forma la vecchia ricetta delle influenze-dipendenze fra nazioni. Un capitolo a parte meriterebbe, a mio avviso, l’analisi del flusso e delle ripercussioni degli “aiuti” economici ai cosiddetti Paesi in Via di Sviluppo da parte degli organismi internazionali (Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale in primis) le cui ricette per lo sviluppo (tecnicamente chiamati “Aggiustamenti Strutturali”) hanno finito il più delle volte per rimettere in moto ed alimentare la spirale delle cause dei conflitti, piuttosto che risollevare dall’indigenza popolazioni in serie difficoltà. (Continua/1)


Fonti: Bibliografia: AA.VV. – Caritas Italiana : «I conflitti dimenticati» – (Feltrinelli, 2003); Alberto Papuzzi: «Professione giornalista» – (Donzelli, 2002); Carlo Gubitosa: «L’informazione alternativa» – (EMI, 2002); Mimmo Candito: «I reporter di guerra» – (Baldini e C., 2002); Reporters Sans Frontieres: «I media dell’odio» – (Ed. Gruppo Abele, 1998). Consultazione di vari quotidiani e riviste: Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa; «Nigrizia» di gennaio, febbraio e marzo 2003. Siti Internet www.misna.org  (Agenzia giornalistica);  www.warnews.it , Sito che diffonde notizie su tutti i conflitti in corso.