[di Nanni Salio • 24.02.02] La domanda e' sempre la stessa, posta in modo un po' sbrigativo: che cosa fareste voi, fautori della nonviolenza, di fronte al terrorismo o al dittatore di turno? La questione e' mal posta perche' tende a ignorare, spesso volutamente, la dimensione storica: enfatizza solo gli eventi e non prende in considerazione i processi che li generano. In questo modo impedisce di vedere le alternative: contribuisce a creare una coazione a ripetere (gli stessi errori!) e porta a sostenere profezie negative che si autogiustificano. Inoltre, vengono ignorati altri due aspetti assolutamente fondamentali: primo, coloro che sostengono che "ci sono alternative" non hanno potere decisionale; secondo, non viene spesa neppure una sola lira (o un solo euro) per costruire le alternative ai modelli, peraltro fallimentari, di intervento militare.

GUERRE E TERRORISMI, LE ALTERNATIVE DELLA NONVIOLENZA

Dateci anche solo meta’ del bilancio militare e vedremo se le soluzioni che proponiamo sono solo sogni astratti di idealisti velleitari e ingenui oppure se permetteranno di ottenere risultati migliori di quelli sinora raggiunti. Come amano dire i militari: “poche chiacchiere, mettete mano al portafoglio”. Dovrebbe essere ormai chiaro (ma ahime’ non lo e’ ancora abbastanza) che con lo stesso paradigma, con la stessa medicina, non si curano i malanni che sono conseguenze di diagnosi e di terapie sbagliate. La verifica e’ immediata: se lo scopo della guerra lanciata dall’amministrazione Bush il 7 ottobre scorso era quello di catturare Bin Laden e il mullah Omar, il risultato e’ stato quanto mai deludente. I due principali ricercati si sono volatilizzati, e la gigantesca macchina mediatica messa in moto per convincere l’opinione pubblica della bonta’ della guerra li ha trasformati in eroi agli occhi di molti diseredati. Oggi, quella stessa macchina ha l’ordine di non parlarne piu’, per non affrontare le ragioni reali della guerra e quelle dell’insuccesso. Se invece lo scopo, non dichiarato ma reale, era quello di continuare il “grande gioco” iniziato nell’800, oppure giocare alla “grande scacchiera” per controllare l’Eurasia, secondo quanto teorizzato da Brzezinski, allora gli USA sono certamente riusciti a mettere piede (e installare basi aeree) nell’Asia Centrale. Le tecniche della nonviolenza non servono a imporre progetti di dominazione, come quello esposto nei documenti del Pentagono o del Dipartimento di Stato USA (fra i tanti, la Quadriennal Defense Review), ma hanno ampiamente dimostrato di essere straordinariamente efficaci contro strutture di potere autoritarie e totalitarie ben definite. I casi che si possono citare sono assai numerosi, ben noti e ampiamente studiati nella letteratura internazionale sull’argomento: dall’India, all’apartheid in Sudafrica, alle Filippine, al crollo dei sistemi autoritari nei paesi dell’Europa dell’Est culminato il 9 novembre 1989, alle molteplici e significative lotte di resistenza civile anche durante il nazifascismo (le uniche che abbiano effettivamente permesso di salvare centinaia di migliaia di ebrei). Gli attentati dell’11 settembre hanno chiaramente messo in evidenza che il modello di difesa offensivo costruito dalle superpotenze durante la guerra fredda, e ulteriormente incrementato dagli USA dopo l’implosione dell’Unione Sovietica, non solo non ha contribuito a rendere gli Stati Uniti piu’ sicuri ma, al contrario, ha provocato una reazione di blowback, un contraccolpo terribile che nessuno scudo stellare avrebbe potuto impedire. Se il Pentagono, il Dipartimento di Stato, l’FBI e la CIA fossero gestiti come normalmente avviene in aziende private, i loro dirigenti sarebbero stati immediatamente licenziati. Nonostante siano foraggiate con fondi stratosferici, tutte queste istituzioni non sono riuscite a impedire un evento altamente prevedibile. Nessuna delle pur molteplici alternative possibili alla guerra intrapresa dagli USA, che ha provocato un numero di vittime civili almeno pari se non superiore a quello degli attentati alle torri gemelle e al Pentagono e un numero imprecisato di morti tra i combattenti, permette di ottenere risultati immediati, perche’, come gia’ si e’ detto, e’ necessario invertire un processo e questo richiede tempo. Non possediamo nessuna bacchetta magica, ma siamo in grado di individuare una serie di passi per una politica ben piu’ ragionevole e con maggiori probabilita’ di successo di quella intrapresa. Passiamola rapidamente in rassegna, esaminando i dodici principali modi con cui e’ possibile “fare la pace senza fare la guerra”. 1. Giustizia senza vendetta: la ricerca dei colpevoli, dei perpetratori, non solo materiali, ma anche dei mandanti, e’ compito di un organismo sovranazionale e non di una singola parte. Gli USA si sono finora opposti alla costituzione di un Tribunale Penale Internazionale sui crimini contro l’umanita’: cambieranno idea dopo l’11 settembre? Giuridicamente, questi attentati sono un crimine contro l’umanita’ e non un atto di guerra, e come tali devono essere affrontati. 2. Negoziazione: uno dei principi cardine della trasformazione nonviolenta dei conflitti e’ la non demonizzazione dell’avversario e l’analisi corretta delle sue richieste. Che cosa ha chiesto Bin Laden nel corso della sua dichiarazione trasmessa dalle TV di tutto il mondo? Tre sono i punti essenziali, tutti quanti non solo negoziabili, ma di tale rilevanza che da tempo avrebbero dovuto essere affrontati: definitiva risoluzione del conflitto Israele-Palestina; cessazione dell’embargo e dei bombardamenti sull’Iraq, con lo stillicidio di morti che mensilmente sono almeno pari a tutte le vittime dell’11 settembre; abbandono delle basi USA in Arabia Saudita e piu’ in generale nei paesi arabi. 3. Costituzione di una commissione internazionale per la verita’, la giustizia e la riconciliazione: questa commissione potrebbe cominciare a funzionare a partire da ONG e gruppi di base, sulla falsariga di quella promossa in Sudafrica da Nelson Mandela e Desmond Tutu, coinvolgendo in un secondo tempo le istituzioni statali e sovranazionali. Un piccolissimo ma significativo esempio e’ la coraggiosa iniziativa promossa da Global Exchange, che ha permesso ad alcuni parenti delle vittime dell’11 settembre di recarsi in Afghanistan per incontrare i parenti delle vittime civili dei bombardamenti USA, nel segno del riconoscimento della reciproca sofferenza. Aiutiamo i cittadini e le cittadine degli Stati Uniti a rielaborare positivamente il trauma subito, senza cadere nella spirale della vendetta. 4. Sostegno ai movimenti locali che lottano per i diritti umani e la democrazia con metodi nonviolenti: ovunque sono presenti gruppi che operano per una trasformazione nonviolenta dei conflitti, in particolare movimenti di donne come quello afghano RAWA. Aiutiamo le “signore della pace” anziche’ i vecchi e i nuovi “signori della guerra”. 5. Dialogo, educazione, cultura: e’ il lavoro lento, ma indispensabile, per costruire un’autentica cultura della nonviolenza, compito primario di ogni educatore. Segnaliamo due importanti contributi: Umberto Eco, “Le guerre sante, passione e ragione” (La Repubblica, 8 ottobre 2001, www.repubblica.it/online/mondo/idee/eco/eco.html ); Daisaku Ikeda, “Il dialogo spegne le fiamme dell’odio” (Il Nuovo Rinascimento, n. 247, novembre 2001). 6. Movimento internazionale per la pace: cosi’ come negli anni ’80 una grandiosa mobilitazione riusci’ a sconfiggere la minaccia nucleare, occorre a maggior ragione costruire un movimento delle societa’ civili di ogni paese, del Nord e del Sud del mondo, che sappia imporre un cambiamento nell’agenda delle priorita’ politiche sui temi globali, pace, ambiente e sviluppo, senza cadere nella trappola della protesta violenta. 7. Uscire dall’economia del petrolio: fonte di ricchezza per pochi, di gigantesca corruzione (ultimo lo scandalo Enron) e di minaccia ambientale planetaria (cambiamento climatico globale), e’ diventata anche una delle cause prevalenti delle guerre (dalle guerre del Golfo, al Kossovo, all’Afghanistan). E’ indispensabile avviare prontamente la riconversione del sistema energetico su basi rinnovabili, solari, decentrate, a piccola potenza. 8. Controllo della finanza internazionale: il mondo e’ pieno di “Bin Ladren” come si usa dire nel dialetto piemontese e forse di qualche altra regione, che disinvoltamente utilizzano i proventi della droga, del commercio di armi, della speculazione finanziaria e delle attivita’ mafiose per costruire paradisi fiscali e potentati economici al riparo da ogni intrusione della giustizia. Cominciamo a liberarci dai “Bin Ladren” nostrani, che hanno varato leggi scandalose e offensive del piu’ comune buon senso morale. 9. Zone libere dall’odio: e’ la proposta lanciata dalla ONG americana Global Exchange che richiama quella di zone denuclearizzate degli anni ’80. Dichiariamo le nostre scuole, i nostri condomini e i nostri quartieri “zone libere dall’odio”, con un lavoro di base, di dialogo, di incontro, di scambio culturale che valorizzi differenze e capacita’ costruttive e creative di trasformazione nonviolenta dei conflitti. 10. Pane non bombe: l’Afghanistan, martoriato da oltre vent’anni di guerra, di tutto aveva bisogno tranne che di essere bombardato. Per sottrarre consenso al terrorismo e’ necessario non rispondere con altro terrorismo, quello di stato, ma affrontare decisamente il problema della poverta’ e lo scandalo dell'”olocausto silenzioso” delle 100.000 persone che ogni giorno muoiono di fame. Possediamo le risorse scientifiche e tecnologiche per risolvere questo problema, ma non la volonta’ politica, la sensibilita’ e la consapevolezza necessarie. 11. Democratizzazione delle Nazioni Unite e del sistema di relazioni internazionali: per anni il Consiglio di Sicurezza dell’ONU e’ stato bloccato dai veti incrociati delle due superpotenze. E’ ora che questo organismo venga trasformato in modo piu’ rappresentativo e democratico. E’ inoltre indispensabile creare le condizioni perche’ tutti i principali paesi, in particolare quelli piu’ potenti, rispettino il diritto internazionale e lo rendano sempre piu’ vincolante ed efficace. 12. Liberiamoci dal complesso militare-industriale: tutti i punti precedenti rischierebbero di risultare vani se la piu’ potente causa di produzione delle guerre non venisse rimossa, in ogni paese, ma soprattutto nelle maggiori potenze, a cominciare dagli USA, sostituendo gli attuali modelli di difesa altamente offensivi, distruttivi e dispendiosi, con i corpi civili internazionali di pace (sui quali si veda l’amplissimo studio di fattibilita’: Nonviolent Peaceforce Feasibility Study disponibile online all’indirizzo www.nonviolentpeaceforce.org ) e con forme di difesa popolare nonviolenta. (di Nanni Salio, segretario dell’IPRI, Italian Peace Research Institute).