[di Tiziana Valpiana • 15.05.01] Da 3 settimane una nave fantasma -noleggiata da un misterioso uomo d'affari- con 250 bambini schiavi a bordo viaggia nel Golfo di Guinea...

Guinea: bambini lavoratori

Da 3 settimane una nave fantasma -noleggiata da un misterioso uomo d’affari- con 250 bambini schiavi a bordo viaggia nel Golfo di Guinea: dovrebbe essere questo a mio avviso il tema centrale, forse unico, di una campagna elettorale troppo urlata e rissosa su temi francamente irrilevanti e di piccolo cabotaggio. L’unica domanda degli elettori, l’unico programma elettorale delle forze politiche dovrebbe essere in quale modo salvare quei bambini, quali politiche, quali scelte economiche intendono praticare per cancellare dal mondo -dal mondo del terzo millennio!- la schiavitù. Ma l’imbarbarimento quotidiano del nostro vivere civile ci ha forse ormai assuefatti anche a notizie terribili e inaccettabili come questa, relegata in poche righe su quotidiani che straripano invece di pezzi di colore sulle gite ‘fuori porta’ di Pasquetta e sull’ingente e consueto consumo di uova di Pasqua, incuranti del fatto che, per procurarci quel cacao, bambini di nemmeno 10 anni vengano venduti dalle loro misere famiglie del Benin e degli altri Paesi dell’Africa Centro-Occidentale per 15 dollari, rivenduti ai trafficanti del Gabon, della Costa d’Avorio, del Camerun per 350 per essere costretti a lavorare in schiavitù per 12-15 ore al giorno nelle piantagioni di cacao e canna da zucchero. Si fa presto a commuoversi (sinceramente questa volta, forse perché si tratta di bimbi neri così lontani da noi, mi sembra non lo si faccia poi nemmeno molto!) davanti a notizie come questa, così come unanime era stata nel ’95 l’indignazione di fronte all’assassinio da parte della ‘mafia dei tappeti’ di Iqbal Mashi, piccolo lavoratore pakistano che ‘da grande’ avrebbe voluto fare l’avvocato per difendere i milioni di bambini che in tutto il mondo lavorano in condizioni di schiavitù e che con il suo ‘Fronte di liberazione dal Lavoro Minorile Forzato’ era riuscito a far chiudere decine di fabbriche di tappeti. Iqbal, proprio come i bambini del Benin destinati a lavorare per produrre per noi ricchi il cioccolato, era stato venduto dai genitori a quattro anni e legato per sei anni al telaio a tessere quei tappeti che, proprio perché annodati da dita bambine, maggiormente ricerchiamo, paghiamo, utilizziamo per rendere più lussuose le nostre case… All’indomani del suo assassinio mille voci sdegnate si erano levate proclamando i diritti dei bambini e l’impegno a stroncarne la schiavitù e il Parlamento, che dovrebbe fare fatti non proclami, si era impegnato a fare una legge.  Rifondazione Comunista aveva proposto la costituzione di un Comitato di sorveglianza per la certificazione di conformità delle aziende alle convenzioni internazionali, una sorta di marchio doc il cui criterio fosse la  qualità del lavoro, sottoponendole a monitoraggi indipendenti per garantire il rispetto dei diritti fondamentali dei lavoratori e salari ovunque sufficienti a coprire il costo della vita degli operai adulti e delle loro famiglie. Il Parlamento si era invece orientato su un’altra strada, adottando una norma basata sulla volontarietà delle imprese e sul senso di responsabilità dei consumatori, proponendo un ‘marchio sociale volontario’ che le aziende avrebbero potuto apporre sui propri prodotti che escludano con sicurezza ogni forma di lavoro minorile. Un’impostazione che non avrebbe fatto uscire un solo bambino dalla schiavitù, perché è evidente che solo le aziende che già oggi non utilizzano lavoro minorile avrebbero chiesto il marchio volontario, ma che avrebbe almeno messo in grado quei consumatori che non vogliono essere complici, di scegliere beni per la cui produzione non è stato impiegato lavoro di bambini. Pur valutando criticamente l’impostazione ‘blanda’ del provvedimento, privo di cogenza per la previsione del marchio su base volontaria, ma considerandolo un primo piccolissimo e incerto passo sulla strada giusta, negli ultimi giorni della legislatura, dopo un lungo iter parlamentare al Senato e nelle Commissioni della Camera in cui era stato possibile l’apporto di tutti, ci apprestavamo a votare a favore di una norma che tutte le forze politiche in teoria si erano dette d’accordo ad approvare, quando il Polo, presentando centinaia di emendamenti, ne ha dichiarato la fine per l’impossibilità concreta di analizzarli prima dello scioglimento delle Camere. L’odissea disperata dei bambini del Benin e l’infanzia rubata di milioni di loro coetanei nei Sud del mondo non sono una maledizione divina, ma il frutto diretto di comportamenti e di scelte politiche a favore di un capitalismo che divora umanità e natura. I processi di modernizzazione del capitalismo, la competitività totale delle merci e delle politiche neoliberiste, la globalizzazione dei mercati hanno portato una sempre più profonda la povertà, peggiorando le condizioni di vita dei più poveri e aumentandone il numero: nel XVIII secolo il divario fra paesi ricchi e poveri era di 2 a 1, nel 1965 di 30 a 1, ora di 70 a 1 (fonte UNDP -Agenzia delle Nazioni Unite per lo sviluppo-). E noi ogni giorno, anche comprando una maglietta o un tappeto, facendo benzina, acquistando la macchina, il caffè o il cioccolato (tanto più dopo che un voto del Parlamento Europeo ha autorizzato l’uso di una minore percentuale di cacao, impoverendo ulteriormente il mercato e ‘spingendo’ alla ricerca di manodopera sempre più a basso costo) , ‘votiamo’ a favore di questo sistema di sfruttamento e di dominio, ci comportiamo come pedine complici di un sistema che segue una sola logica, quella del profitto, e una sola regola, quella del capitale, in cui il lavoratore -adulto o bambino- non è che un’insignificante variabile. Se davvero intendiamo opporci allo stato di cose presente e lottare contro un  ‘modello di sviluppo’ in cui la situazione di sfruttamento diviene sempre più drammatica, come ci testimoniano gli ignari bambini del Benin e le loro famiglie, la commozione ipocrita, l’indignazione inefficace e la denuncia di bandiera vanno accompagnate da un impegno in prima persona contro chi in nome del profitto è disposto a passare su qualsiasi valore. Altrimenti domani, quando finalmente la squallida e avvilente vicenda di questi schiavi bambini terminerà in qualche porto e potremo finalmente conoscere i loro squallidi trafficanti, potremmo scoprire che il loro volto spregevole è quello di ognuno di noi. (On. Tiziana Valpiana)