[a cura del Team De Falco-Marotta • 15.09.03] “Buongiorno, notte”, il film del regista Marco Bellocchio prodotto da Rai Cinema che racconta fantasticamente con una vena psicanalitica, una delle pagine più oscure della storia italiana del dopoguerra, la prigionia di Aldo Moro, ha ricevuto  il ‘Leoncino d'Oro Agis scuola’, il premio “Cinemavvenire’ e il premio ‘Arca cinema giovani”...

IL LATO OSCURO DEGLI ANNI SETTANTA

“Buongiorno, notte”, il film del regista Marco Bellocchio prodotto da Rai Cinema che racconta fantasticamente con una vena psicanalitica, una delle pagine più oscure della storia italiana del dopoguerra, la prigionia di Aldo Moro, ha ricevuto  il ‘Leoncino d’Oro Agis scuola’, il premio “Cinemavvenire’ e il premio ‘Arca cinema giovani”. “Sono premi preziosi –  perché assegnati da questi ragazzi. Riuscire ad emozionare e a coinvolgere ragazzi che, nel ’78, all’epoca del sequestro Moro, non erano neppure nati, mi sembra bellissimo”. Così Marco Bellocchio ha commentato i tre premi assegnati a lui e al suo “Buongiorno, notte”, proprio da giurie di giovani. Al di là delle diatribe suscitate dalla mancata assegnazione del Leone d’oro, crediamo sinceramente che, l’attestato migliore per il suo film sia la lettera del figlio di Moro inviata  a Giancarlo Leone, amministratore di Rai Cinema, che ha coprodotto il film «Buongiorno, notte» e che riportiamo
 
La lettera del figlio dello statista
«Ho molto apprezzato il film di Bellocchio. Trovo che Bellocchio scegliendo di riflettere sull’esperienza dell’uomo Aldo Moro in carcere senza vincoli o ambizioni di ricostruzione storica o di fedeltà all’insieme dei fatti, abbia illuminato aspetti importanti di quella vicenda. Non sono un critico cinematografico, ma mi viene da dire che questo è un caso in cui una creazione artistica è stata capace, proprio restando tale, di accrescere la conoscenza della realtà. Penso che chi vedrà il film potrà cogliere il senso del dramma di un uomo posto di fronte a un destino tragico quanto insensato, non necessario, da lui vissuto in modo tanto più acuto quanto più era netta la sua percezione dell’incombente fine del mondo diviso in blocchi e dell’obsolescenza delle ideologie che aveva improntato di sé il secolo».
 
La storia
«Buongiorno, notte» incarna un viaggio di  fantafiction attraverso le immagini dello showdown clamoroso della Prima Repubblica, il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro: la miserevole fine, nella primavera del ’78, dei «Dreamers» (sognatori) col pugno chiuso e l’inizio degli anni di piombo contrassegnato dal cadavere dello statista rannicchiato nel bagagliaio di un’automobile abbandonata. Il regista propone la sua verità, tanto amara da convivere con gli incubi di un’intera generazione. Tratto liberamente dalla sconvolgente ricostruzione «Il prigioniero» di Anna Laura Braghetti, condannata all’ergastolo e attualmente ammessa, dopo ventidue anni di carcere, alla libertà condizionale, «Buongiorno, notte» si concentra sul rapporto tra Moro – interpretato da  Roberto Herlitzka – e i suoi fantasmi persecutori, in particolare la vivandiera Chiara (Maya Sansa) per nulla convinta della necessità politica di uccidere l’ostaggio, che si  scopre sempre più a disagio nel vivere i ritmi di sempre: un ufficio anonimo, il lavoro insospettabile, le reazioni dei colleghi distanti anni luce dal suo ruolo di «combattente» e le attenzioni di un coetaneo che sembra leggerla nel profondo, più di quanto a lei stessa riesca.
Così le sagome dei brigatisti emergono dalle stanze del covo con i  flash dal teleschermo del bilancio sanguinoso dell’agguato di via Fani, delle dichiarazioni dei leader democristiani, dei rituali raduni della sinistra parlamentare (con il violento rigetto dei criminali affidata alla retorica di Luciano Lama) si riflettono nei volti che hanno la funebre, vitrea fissità di “statue” di sale. Nel mix di ripetitiva realtà e ricorrenti incubi, il ricordo del padre di Chiara ritorna sotto forma di «Paisà» e «Tre canti su Lenin», lampi di orgoglio partigiano e spezzoni di sfilate del Primo maggio staliniano che riportano i dubbi e i tormenti in un album di famiglia inequivocabile, eppure così distorto. Un’evocazione stupefacente, con slogan insensati («la classe operaia deve dirigere tutto») sottolineano il dignitoso atteggiamento di Moro, che non sa più quali parole scegliere per tranquillizzare la famiglia o implorare l’aiuto dei potenti. Impossibile, poi, restare indifferenti al sogno incredibile che fa sentire l’aria fresca del mattino sui passi frettolosi dello statista liberato e la solenne carrellata sui funerali di stato. Ingrao accanto ad Andreotti, Cossiga accanto a Zaccagnini, Craxi accanto a Berlinguer, Almirante accanto a Dalla Chiesa… Da brividi.
Il film di Bellocchio non pretende di raccontare la verità storica, come lo stesso regista ha chiarito. Morucci, e Gallinari i due brigadisti, assieme alla Braghetti, carcerieri di Moro, contestano la tesi che fossero  «deliranti e avulsi dalla realtà» Dice Gallinari: «La drammaticità dello scontro con cui volevamo mettere in discussione le regole del Paese era chiaro a tutti; eravamo consapevoli che poteva anche non esserci via d’uscita. D’altronde, è anche vero che nessuno volle trovarla. Il riferimento del film al Papa è puntuale: il Papa, e in particolare il Pci, hanno avuto grosse responsabilità. Ciò non toglie che è storicamente falso sostenere che fossimo chiusi. Come organizzazione politica osservavamo, calcolavamo ed eravamo radicati nei quartieri, nelle fabbriche, sapevamo dunque quello che la gente pensava»(Cfr. quotidiani di settembre 2003)
Tuttavia, il merito di «Buongiorno, notte» sta «nel non parlare del caso Moro come di un giallo, ma di una storia di persone, un dramma di uomini: Moro non è uno statista ma un uomo, un padre e i brigatisti sono uomini disperati e distrutti, non solo dei mostri». Parole di Pier Giorgio Bellocchio, figlio del regista, che interpreta la parte di Germano Maccari, l’uccisore materiale di Aldo Moro. «Tutti noi come interpreti di personaggi storici sul set sentivamo di vivere un destino ineluttabile», spiega Giovanni Calcagno, nel film Primo, ruolo ricalcato su Prospero Gallinari. E Luigi Lo Cascio (Mariano, nella parte di Mario Moretti) ricorda una singolare coincidenza: «Peppino Impastato, che ho interpretato in ”I cento passi” fu ritrovato morto il 9 maggio, lo stesso giorno di Moro. Abitavo a Palermo, avevo 11 anni allora e ricordo benissimo quel giorno. Forse uscimmo prima da scuola, mi è rimasto impresso il ritorno a casa, sull’autobus il conducente fece ascoltare tutte le edizioni straordinarie dei gr».
La protagonista Maya Sansa (la brigatista Chiara, ispirata ad Anna Laura Braghetti) aveva solo due anni quel 9 maggio: «Non ne sapevo quasi nulla prima di girare il film, lo ammetto. Ma la trama è soprattutto basata sul percorso di un personaggio che deve fare i conti con la grande fiducia che aveva nella rivoluzione e poi con una realtà dei fatti che non comprende più».
«C’è stata una precisa intenzione di non salvare Moro». Roberto Herlitzka, che nel film interpreta la parte dello statista, critica duramente la decisione di non trattare ai tempi del rapimento: «Durante la prigionia lo Stato faceva azioni di mera facciata. Moro doveva essere eliminato, lo volevano russi e americani». Ancora più duro il resto del cast: «Nella vicenda Moro lo Stato non ha vinto, ma ha stravinto», rilancia Calcagno, «non trattando ha cancellato insieme un movimento e l’unico politico che poteva portare a un accordo con il Pci». «Questi cinque poveri esseri umani, Moro compreso, non aspettavano altro. Si vedono espressioni smarrite, teste precocemente incanutite, sguardi testardi, volti annichiliti di chi ha consumato tutte le parole, tutte le speranze. Dice il regista: «Lasciare uccidere Moro fu un errore politico. Un gesto di debolezza e non di forza da parte dello Stato. Del resto, non sono io ma gli storici a sostenere che la catastrofe della prima Repubblica sia cominciata lì. Come cittadino ero per la trattativa, la possibilità che un uomo venisse assassinato così, a freddo, mi sembrava folle»(Dalla Conferenza Stampa, Venezia,5 settembre 2003).
 
Il regista e le sue parole
Perché «Buongiorno, notte»?
“E’ un verso di Emily Dickinson fin troppo evocativo, per riandare a un periodo oscuro, notturno, angosciante. «Buongiorno, notte», come un sogno o un’invocazione, per un film volutamente infedele alla storia, per una vicenda  plausibile”.
 
Lei, però, ha fatto il ’68…
“In quegli anni non appartenevo a schieramenti, la mia stagione politica era finita nel ’69, e quindi oggi mi trovo nella condizione di non dover chiudere conti con nessuno, di poter avere una certa libertà. Ho cercato di fare un film con una struttura solida. Come reagirà il pubblico? Da chi all’epoca non era ancora nato o era troppo piccolo per ricordare, ho avuto segnali di sorprendente emozione. I più adulti potrebbero arrabbiarsi, non tanto a destra, forse, quanto a sinistra. Comunque, mi auguro non ci siano strumentalizzazioni. Ho preso una vicenda clou della storia italiana per raccontarla in chiave personale. Ad altre condizioni non avrei accettato il film quando Rai Cinema me lo propose”.

Pensava che la figura di Moro potesse suscitare tanta commozione ,oggi?
“Mi sono stupito della positiva accoglienza che ha avuto il mio film( di fatto, noi avevamo detto: guardiamo per dieci minuti e nulla più. Invece siamo rimasti fine allo score finale). Non mi aspettavo che la figura di Moro suscitasse tanta pietà e tanta simpatia. Di quei giorni del 1978 ricordo la confusione, lo sperdimento, l’indignazione. Mi colpì che le scuole furono chiuse e i bambini mandati a casa, come dopo una calamità, e infatti l’idea originale era di far cominciare il film con il nipotino di Moro, Luca, che tornava improvvisamente da scuola. Sempre in un primo momento, per sottolineare il taglio particolarissimo del film, del presidente della Dc si sarebbe dovuta sentire solo la voce. Avrei voluto  girare nella casa, filmare quella finta vita di famiglia messa in scena dai brigatisti carcerieri e poi rischiare di guardare nella cella del prigioniero”.
 
Come si è documentato su questo travagliato momento storico del nostro Paese?
“Ho  letto molti libri, documenti, atti, da Sciascia a Flamigni, e  il libro della Br Anna Laura Braghetti, «Il prigioniero», perché racconta dal di dentro i giorni della prigionia, la doppia vita dei sequestratori divisi tra la ferocia della loro azione e i riti della quotidianità usati come copertura. A Maya Sansa, una sorta di alter ego della Braghetti, così come Lo Cascio interpreta Moretti, Pier Giorgio Bellocchio Maccari e Giovanni Calcagno Gallinari. Il ruolo centrale è quello della Braghetti che fa da tramite per un ipotetico rapporto umano tra Moro e i suoi aguzzini”.
 
Di fatto, lei è abbastanza infedele alla storia, a come si conclude questa tristissima vicenda.
“Non ho accettato l’ineluttabilità della tragedia né mi interessava indicare i responsabili, capire chi c’era dietro i terroristi, affrontare quel dibattito sul complotto che per anni ha riempito le cronache. Diventando infedele alla storia, ho dato alla ragazza una possibilità di reagire, come purtroppo non è avvenuto nella realtà. Non volevo, in alcun modo, fare un film politico o storico, non cercavo le motivazioni e le ragioni e del sequestro dello statista democristiano. Mi interessava piuttosto la vicenda umana, di Moro ma anche dei suoi carcerieri, in particolare la lotta interiore vissuta dal personaggio di Chiara (interpretata da Maya Sansa) che, pur credendo nelle ragioni della lotta armata si scopre a “sognare” la liberazione di un leader che sente anche persona e uomo e che tiene segregato in casa. Per raccontare questo ho dovuto tradire, essere infedele alla cronaca, smentire la tragica fatalità del sequestro e dell’uccisione barbara di Moro. Infatti, il suo assassinio a freddo, mi ha ricordato la fine tragica dei partigiani buttati a fiume dai tedeschi. Non ci posso fare nulla, non so se sia lecito o meno l’accostamento, ma così è stato”.
 
Perché dà due versioni( la reale e la fantastica) della vicenda Moro?
“Nel  film vi sono  due opposte conclusioni – la libertà e la morte – Credo che corrispondano a quanto fu vissuto dal prigioniero e insieme pongono  in luce in modo equilibrato ma netto il nodo, ancora non sciolto, di quella vicenda anche dal punto di vista storico, politico e giudiziario”.
 
La storia è sottolineata da musiche molto particolari, specie da quelle dei Pink Floyd. C’è un motivo particolare, per tale scelta?
“La musica  va da Schubert e Verdi ai Pink Floyd, ed è un azzardo che funziona. il pezzo notissimo dei Pink Floyd mi pareva che rendesse bene il clima di quegli anni, disperato ed  estremo. Mi sembrava che valesse più quella musica di tante parole”.

Le  curiosità
Stessa rabbia, stessa primavera (da una canzone di De Andrè) è il titolo scelto da Stefano Incerti per il suo documentario su Marco Bellocchio e il suo Buongiorno, notte, presentato  nei Nuovi Territori di Venezia 60. Più che un backstage, è un ritratto del regista tra vita, cinema e politica. La produzione è di Sergio Pelone per Filmalbatros e Dario Formisano per Elleu Multimedia, marchio che distribuirà il dvd. Nella scena della seduta spiritica si scorgono alcune persone del club intente a giocare a carte sullo sfondo. Tra questi lo stesso Bellocchio. Il film è piaciuto «tantissimo» anche al presidente della Rai, Lucia Annunziata: che ha dichiarato:«”Buongiorno, notte” prende in contropiede la mia generazione che ha rimosso il caso perché fu una sconfitta, fu la fine di tutto. Trovo liberatorio che Bellocchio abbia lasciato sullo sfondo il dibattito dietrologico su Cia, Kgb e complotti su cui molti di noi si incagliarono e si persero». Dopo la strage di Portella della Ginestra («Segreti di Stato») e il Sessantotto («The Dreamers»),  Marco Bellocchio chiude una sorta di ideale trilogia festivaliera sulla Storia del dopoguerra.
 
La Scheda del film
Buongiorno notte“; Regia: Marco Bellocchio
Cast: Maya Sansa , Pier Giorgio Bellocchio , Luigi Lo Cascio , Paolo Briguglia , Roberto Herlitzka Provocato da ‘Il prigioniero’ della ex terrorista Anna Laura Braghetti Buongiorno notte (il titolo è tratto da un verso di Emily Dickinson) di Marco Bellocchio ha già vinto un record: è uscito  nelle sale di tutta Italia con 170 copie, un numero altissimo per un film d’autore ad inizio stagione.
Chiara, giovane terrorista appartenente alla lotta armata, è coinvolta nel sequestro Moro. Di contro è chiamata a vivere la normalità del quotidiano con i suoi ritmi di sempre: un ufficio, un lavoro dei colleghi e un amico che sembra leggerla…