[di Maria De Falco Marotta • 18.01.04] Jacques Chirac, in piedi dinanzi a una bandiera francese all'Eliseo, poco prima del Natale 2003 (il 18/12/2003) ha pronunciato il suo  discorso, trasmesso in diretta da tutte le tv, incentrato sulla difesa della laicità, a favore del rafforzamento del secolarismo nel Paese con una legge che proibisca l'uso di tutti i simboli religiosi visibili nelle classi delle scuole pubbliche, riferendosi, in modo particolare, ai simboli  che esprimono intenzioni propagandistiche e tradiscono la "neutralità" del servizio pubblico circa l'educazione nazionale...

IL VELO ISLAMICO, UNA MINA VAGANTE DELLA POLITICA EUROPEA

La miccia
 
Jacques Chirac, in piedi dinanzi a una bandiera francese all’Eliseo, poco prima del Natale 2003 (il 18/12/2003) ha pronunciato il suo  discorso, trasmesso in diretta da tutte le tv, incentrato sulla difesa della laicità, a favore del rafforzamento del secolarismo nel Paese con una legge che proibisca l’uso di tutti i simboli religiosi visibili nelle classi delle scuole pubbliche, riferendosi, in modo particolare, ai simboli  che esprimono intenzioni propagandistiche e tradiscono la “neutralità” del servizio pubblico circa l’educazione nazionale. Altrettanto è successo  in Germania per le dichiarazioni del presidente Johannes Rau, che in un’intervista televisiva ha equiparato il velo islamico al crocifisso cristiano sostenendo che, se si vieta a una insegnante l’uso del primo in classe, bisognerebbe vietare allora anche l’affissione del secondo. Il Cdu, Friedbert Pflueger, lo ha accusato di un “passo falso”. dicendo che avrebbe commesso  un grosso errore nel considerare il velo islamico un simbolo religioso, ponendolo sullo stesso piano del saio o della croce. Per lui il fazzoletto in testa non è un simbolo religioso ma un simbolo politico dell’Islamismo”: dalla rivoluzione iraniana del 1979, ha osservato, il chador è diventato un segno di riconoscimento del fondamentalismo. Secondo Johannes Singhammer, relatore per le Chiese della Csu al Bundestag, a differenza di Usa e Francia, la Germania non é un paese religiosamente neutrale: la Bundesrepublik ha sempre assegnato al cristianesimo un posto particolare, la croce in classe è oltretutto un simbolo di pace e tolleranza che si rivolge a tutti gli uomini.

Ma torniamo alla Francia

Senza tanto nascondersi, seppure vi sono stati  mesi di dibattito sul ruolo della religione nella società francese e sulle difficoltà di integrazione dei cinque milioni di musulmani, Chirac ha esortato il Parlamento ad agire rapidamente e proibire il velo islamico, la Kippah  e la croce, di dimensioni eccessive, perché: non c’è posto per loro nei confini della scuola pubblica. Esse rimarranno laiche, per legge. La laicità, è per Chirac una “pietra miliare della Repubblica e non negoziabile”. Ovviamente, anche se ha parlato della kippa ebraica, e di croci cattoliche, è evidente che l’obiettivo principale e’ il velo islamico che sta diventando un’ossessione per tutti i francesi (e anche di altri paesi europei). L’alto clero cattolico, protestante e ortodosso ha preso posizione comune sulla questione affermando che ben difficilmente le leggi  risolveranno positivamente le difficoltà attuali. Secondo loro, il velo islamico è soltanto la spia di una problematica molto più ampia e che l’estremismo musulmano trova le sue radici nei ghetti che si sono sviluppati come un bubbone maligno nelle periferie delle grandi città francesi. I nodi dovrebbero venire una volta per tutte al pettine dopo che la Commissione Stasi, espressamente istituita, indicherà nel suo rapporto finale se considera o no opportuna una legge contro il velo islamico.
 
Infatti…

1) La commissione Stasi incaricata dal presidente Chirac di studiare la “laicità” in Francia, ha lavorato cinque mesi, ascoltando centinaia di testimoni. In parole povere, le ragazze musulmane sono vittime di un insopportabile sessismo che si traduce in violenze verbali, psicologiche e fisiche. Gruppi di maschi impongono loro di portare abiti coprenti e asessuati, di abbassare lo sguardo di fronte agli uomini. Se non agiscono così, sono immediatamente insultate come puttane… Alle adolescenti il velo viene imposto spesso con violenza. Solo le ragazze velate possono andare per strada senza prendersi sputi e insulti: il velo dà loro, paradossalmente, la protezione che la République non sa più offrire. Inoltre, le ragazze sono vittime anche di altre forme di violenza: mutilazioni sessuali, poligamia, ripudi… In alcune comunità turche, maghrebine, pakistane, africane il matrimonio viene imposto facendo arrivare lo sposo direttamente dall’estero. Le famiglie tentano così di bloccare l’emancipazione delle loro figlie. Spesso le ragazze vengono sposate di forza durante le vacanze nei Paesi d’origine il che significa sempre la fine degli studi. I loro diritti elementari vengono quotidianamente calpestati in Francia. Una situazione, a dir poco, assolutamente inaccettabile, in un Paese che si vanta della sua laicità. Nelle banlieues parigine, piuttosto degradate,  le prime vittime sono donne. Le ragazze musulmane accusano la République  di non difendere le sue figlie, anche se si sventola ai quattro venti che i cittadini francesi sono uguali (maschi & femmine) davanti alle leggi (Cfr. Specchio, 10 gennaio 2004).
 
2) La protesta del mondo islamico contro la decisione del governo francese di mettere al bando il velo, così come altri simboli religiosi cristiani ed ebraici, dalle scuole pubbliche, sta montando a dismisura. Ultimamente, durante la preghiera del venerdì, il potente ex presidente iraniano, Akbar Hashemi Rafsanjani (il ricchissimo produttore dei pistacchi), ha preannunciato la “maledizione” di centinaia di milioni di musulmani, se la Francia non farà retromarcia. Ed ha predetto “conseguenze” nei rapporti bilaterali tra Teheran e Parigi. “Spero che il governo francese, il presidente Jacques Chirac e lo stesso parlamento comprendano che hanno insultato un miliardo e mezzo di musulmani”, ha tuonato Rafsanjani, nel suo sermone ai fedeli, che è stato anche radiotrasmesso. Sebbene Chirac abbia tentato di giustificare la decisione con la necessità di mantenere distinta la separazione tra Stato e religione in Francia, i musulmani francesi si sono sentiti nel mirino del provvedimento, percepito come discriminatorio soprattutto nei confronti delle loro ragazze. “La Francia si è imbarcata in un avventura che fallirà e, se ciò non avvenisse, provocherà la maledizione di milioni di persone contro quella Nazione, e macchierà i rapporti tra Parigi e i paesi islamici”, ha scandito Rafsanjani. Come se non bastasse il velo islamico continua a non dar pace alle scuole di Francia: una ragazza tredicenne di origine marocchina è stata appena espulsa da un liceo vicino a Lione. In barba a richiami e ammonizioni si presentava in classe con la testa imbacuccata. Dall’inizio dell’anno scolastico, fino ai giorni scorsi, Dominique Augé, preside del liceo Theodore Rosset a Montreal-la-Cluse, ha negoziato con Sheyma e la sua famiglia perché la studentessa rinunciasse al foulard musulmano almeno durante le lezioni di educazione fisica, scienza naturale e tecnologia (“per ragioni di sicurezza e compatibilità con gli insegnamenti”) ma ha fatto un buco nell’acqua. Ad un certo punto ha persino esplorato la possibilità che la teen-ager maghrebina timorata di Allah sostituisse il velo con un berretto per le ore di ginnastica ma niente, le trattative  sono fallite su come il cappello andasse esattamente indossato. Sheyma insisteva perché il copricapo le nascondesse orecchie e nuca. Dopo quattro mesi di tira – e – molla la direzione del liceo, frequentato da 713 allievi di dieci diverse nazionalità, non ha visto alternative: ha convocato il consiglio di disciplina che ha deciso la cacciata di Sheyma, alla luce degli “scompigli” provocati alla scuola e in forza del “regolamento interno” (Cfr. Il Gazzettino, 10 gennaio 2004).
 
Il velo della discordia

Ai due lati del Mediterraneo il “foulard di Allah” che si chiami hijab, burka, chador o più genericamente velo islamico, si trova in mezzo alla bufera. Di qua e di là dal Mediterraneo c’è aria di burrasca e se le autorità francesi invocano la “laïcité de la République” per vietarne l’uso, in Germania la Corte costituzionale ha stabilito recentemente che recarsi a scuola e fare lezione col capo coperto dal foulard è lecito. Anche se aggiunge che spetterà poi ai singoli Länder la decisione di vietarlo o meno. Insomma, non c’è pace intorno al velo e le autorità di molti Paesi si trovano spiazzate davanti a un fenomeno che si estende a macchia d’olio. Ma chi pensa che la controversia riguardi esclusivamente i Paesi europei si sbaglia di grosso. Non sono solo le musulmane in Europa a lottare per il diritto di indossare l’hijab. In Egitto il governo è impegnato in una campagna di laicizzazione del Paese, nel tentativo di allontanare il pericolo di una recrudescenza dell’integralismo che minerebbe la stabilità interna. Per le autorità, mostrare in televisione il velo islamico potrebbe convincere gli attivisti islamici a utilizzare questo simbolo per rafforzare l’attaccamento alla sharia, la legge islamica, in tutti i settori della vita pubblica.  “Nelle terre dell’Islam – scrive Fawzia Zouari in un saggio pubblicato recentemente in Francia e intitolato “Il velo islamico” – il velo è sempre stato oggetto di infiniti dibattiti. Innanzitutto non è l’Islam ad averlo inventato. Esisteva già tra i Persiani, Greci, Romani e Cristiani. Designava la donna di alto rango, la moglie legittima, la madre ed era un segno di distinzione sociale”.
 
Cosa c’è scritto nel Corano, parola increata di Dio a proposito del Hijab, o CHADOR – BURQA – PURDAH (PARDE’) – HAIQ – JELABA – FOULARD – THAWB – KHUMUR – KHIMARA – NIQAB – MILAYA LAFF …?

“… Oh Profeta, dì alle tue spose, alle tue figlie e alle donne dei credenti di coprirsi dei loro veli, così da essere riconosciute e non essere molestate...” (Corano 33,59)

“… Di’ ai credenti di abbassare il loro sguardo e di essere casti. Ciò è più puro per loro. Allah ben conosce quello che fanno e Di’ alle credenti di abbassare i loro sguardi e di essere caste e di non mostrare, dei loro ornamenti (zinetahunna), se non quello che appare; di lasciare scendere il loro velo (bi-khoumourihinna) fin sul petto e non mostrare ornamenti ad altri che ai loro mariti, ai loro padri, ai padri dei loro mariti, ai loro figli, ai figli dei loro mariti, ai loro fratelli, ai figli dei loro fratelli, ai figli delle loro sorelle, alle loro donne, alle schiave che possiedono, ai servi maschi che non hanno desiderio, ai ragazzi impuberi che non hanno interesse per le parti nascoste delle donne. E non battano i piedi sì da mostrare gli ornamenti che celano. Tornate pentiti ad Allah tutti quanti, o credenti, affinché possiate prosperare…” (Corano 24,30-31)

L’Hijab è una forma di protezione verso le fedeli  dalle possibili conseguenze  dell’eccitazione maschile nel vedere le loro forme, oltre che essere un atteggiamento di rispetto verso il proprio marito o i propri genitori e fratelli, gli unici autorizzati a vedere le nudità della donna. L’Hijab è una modello di rispetto e protezione sia verso la donna ma anche nei confronti dell’uomo, perché limita e controlla il naturale intenso desiderio della creatura umana e allontana i rapporti sessuali illeciti.
Un uomo deve desiderare una donna prima per il suo carattere religioso, per le sue qualità religiose e per l’intelletto e poi anche per il suo corpo: allora è amore halaal (puro, santo) fin dall’inizio, altrimenti è haram (cattivo, proibito). E’ da tener presente che per Hijab si intende la copertura della donna (con qualsiasi tipo di copertura non aderente) dai polsi alle caviglie, lungo tutto il corpo, coprendo anche la zona del petto, dal seno fino al collo e la copertura della testa e i capelli; in pratica si lasciano scoperte le mani, il viso ed eventualmente i piedi. Altre forme sciite di “chador”, “burka” (copertura totale di colore nero, guanti compresi), “niqab” (velo sul volto) sono eccessive, e non sono obbligatoriamente previste della Sunnah e dal Corano. L’Hijab esalta la femminilità perchè la conserva e la preserva e la limita solo al proprio marito. Non è obbligatorio l’uso dell’hijab per le donne non più giovani, oltre la menopausa.

Il velo islamico e la legge italiana

In Italia, gli unici vincoli dell’ordinamento giuridico verso l’abbigliamento sono:
la pubblica decenza (art. 726 cod.pen. che prevede l’esclusione della rilevanza penale dell’esibizione pubblica del seno femminile), l’obbligo di indossare abbigliamento come elemento idoneo ad indurre comunque una corretta individuazione sociale e professionale della persona (artt. 498 e 640 codice penale); nel caso sia prevista un’uniforme, oppure un “abbigliamento aziendale richiesto” non è possibile utilizzare il chador se non espressamente previsto o consentito, l’obbligo di indossare abbigliamento non idoneo ad occultare o ridurre la riconoscibilità della persona (art. 85 del r.d. 18 giugno 1931, n.773, art.5 della 1,22 maggio 1975, n.152), vietando il mascheramento (il Ministero dell’Interno ha autorizzato l’utilizzo del copricapo nelle fotografie destinate alle carte di identità di cittadini professanti culti religiosi diversi da quello cattolico: Min. Interno – Direzione generale dell’amministrazione civile. Circolare n.4(95) Rilascio carta d’identità a cittadini professanti culti religiosi diversi da quello cattolico – uso del copricapo, 14 marzo 1995, in “Quaderni di diritto e politica ecclesiastica”, 1996, n.2, pag.475 )

L’Hijab, il velo islamico, e la copertura del capo nei paesi occidentali e nella realtà moderna occidentale
I
n una realtà occidentale, nei paesi non a maggioranza musulmana, ove non vi siano particolari condizioni (come ad esempio ambienti prettamente musulmani), la copertura del capo, il portare vestiti tipici islamici non è obbligatoria, anzi è vivamente sconsigliata, in quanto tale modo di vestirsi risulta motivo di attrazione della curiosità degli uomini, abituati invece ad un abbigliamento libero e molto “spogliato” (si tengano presenti i molti spettacoli televisivi, compresi quelli pomeridiani visti dai bambini, dove le donne sono quasi nude e risultano essere delle “cose” al servizio del divertimento grossolano). Restano valide sempre le regole di non indossare un abito succinto, aderente, che possa comunque attirare l’attenzione sessuale degli uomini, ma e’ tranquillamente possibile indossare abiti occidentali senza peraltro farsi notare più di tanto.
La copertura del capo, in ambito occidentale, è notoriamente fonte di attrazione, ma anche indice di non integrazione nel suo tessuto sociale. Non permette, inoltre, alla donna che si copre il capo, di trovare lavoro facilmente. Vi sono cose molto più importanti del rispettare correttamente il modo di vestire musulmano, ad esempio: il comportamento, il modo di essere, di presentarsi, il pensiero…
Nella realtà occidentale un vestito, pantalone o gonna, maglietta, camicia, o altro, maniche corte (per il caldo) o pantalone corto o altro possono tranquillamente considerarsi in Hijab (solo non per la preghiera) in giro, sempre purché il suo atteggiamento, il suo modo di comportarsi ed il suo pensiero sono consoni alla propria fede, nel rispetto di Dio Nostro Signore (Cfr:http://www.islamitalia.it).
 
Conflitto di sistemi politici

Ciò che  stiamo vivendo in questo periodo, più che uno scontro di civiltà, è un conflitto di sistemi politici: da una parte gli estremisti fanatici, dall’altra le democrazie. Il fanatismo islamico ci richiama tre problemi fondamentali: a) mancanza di libertà istituzionale; b) esclusione del 50 per cento della popolazione, cioè delle donne, dal progresso; c) la voragine educativa e tecnologica dei popoli mediorientali.
Dei tre il problema delle donne rappresenta sicuramente lo steccato che divide in modo più profondo il nostro mondo occidentale da quello islamico. Il velo, infatti, ha carattere “provocatorio e di proselitismo”, giacché esso è visto come indizio di un atteggiamento che coinvolge un’idea di vita per certi aspetti in contrasto con le libertà occidentali e della donna.
In pratica esso è il sintomo di un disagio grave, come dimostrano gli esempi addotti. Rispetto all’Europa del Nord, in Italia con l’esplosione dell’immigrazione, il problema del chador potrebbe essere sollecitato da un eccesso di zelo cattolico, secondo cui il velo dà un’immagine della persona che mal si accorda con la dignità individuale e con il nostro retaggio ebraico-cristiano. Quindi, più che disciplinare l’immigrazione, bisognerà regolare l’integrazione. Però  la domanda di fondo, anche rispetto alla questione del velo, è sempre la stessa: i diritti della persona sono compatibili con l’Islam? Secondo la scrittrice iraniana Chahdortt Djavann, 35 anni, residente a Parigi, “il velo è una forma di barbarie, esso non è un problema di fede religiosa – sottolinea Djavann – ma una questione di diritti umani, di discriminazione fra i sessi, di maschilismo applicato alla religione, di umiliazione della donna e dei minori al pari dei maltrattamenti fisici, psichici e sessuali. Il mondo – aggiunge – dovrebbe condannare il velo come l’infibulazione. Non è un caso che nel Corano il paradiso sia in realtà un paradiso maschile, dove le donne sono eternamente belle, eternamente vergini, ed eternamente a disposizione per realizzare il sogno dell’orgasmo infinito”.
Purtroppo c’è una grande confusione sui diritti. Noi siamo d’accordo con la scrittrice iraniana, perché tollerare che la metà della società sia nascosta alla vista, come una vergogna, equivale ad accettare, per contrasto, che la gente circoli nuda per strada o che gli anelli al naso delle tribù africane siano un diritto dell’uomo. Come si vede il terrorismo islamico ci mette con forza sotto gli occhi tutti questi problemi che prima o poi saremo chiamati a risolvere.

Maria De Falco Marotta