INTERVISTA A PADRE ALEX ZANOTELLI

Dopo i quattordici anni di Nairobi, di cui dodici nella baraccopoli di Korogocho, Padre Alex Zanotelli è tornato in Italia da qualche anno e ha scelto Napoli come il luogo della sua nuova azione missionaria. Vive nel Rione Sanità, lavora in particolare con gli zingari rom e gli emarginati, ma ogni settimana cerca di essere ovunque è possibile, ovunque si richieda la sua voce e la sua presenza. Dopo la vittoria, a Napoli, dell’azione contro la privatizzazione dell’acqua, ha portato questa iniziativa a livello nazionale, dove il 12 gennaio 2007 è iniziata la raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare.

L’incontro con Padre Zanotelli non può lasciare indifferenti. Sei a confronto con idee e pensieri che hanno la concretezza di una vita vissuta fino in fondo, in fondo all’inferno che sperimentano quotidianamente i poveri più poveri del mondo. Sono rimasto per un’ora nella sua casa in verticale, tre piccole stanze su tre piani accanto al campanile, che nessuno voleva abitare perché abitata dagli spiriti, dai ‘monacielli’ («ma sono monaco anch’io, tra noi ci intendiamo» dice Padre Alex). Ho osservato i pochi oggetti-simbolo, le fotografie, i manifesti che ne rivestono le pareti. Quello che più mi ha colpito sono stati due crocifissi senza braccia, una scultura di legno grande, all’ingresso, e uno sdraiato su un telo di stoffa, all’ultimo piano. Da lì è partito il dialogo-intervista, tra i più intensi che personalmente mi sia capitato di vivere in questi anni.

Alex Zanotelli

intervistato di Luciano Minerva

(Trascrizione a cura di Cristiana Cafini)

Guarda il video dell’intervista a p. Alex Zanotelli. Clicca qui.

Dopo 14 anni in Kenya, il padre missionario comboniano Alex Zanotelli, ha scelto il Rione Sanità di Napoli come luogo della sua azione nel mondo. Lì l’abbiamo incontrato, alla vigilia della sua partenza per Nairobi, dove, durante il Forum Sociale Mondiale, torna ad abitare nella Korogocho che ha segnato la sua vita.

Padre Alex, entrando in questa casa, e anche poi salendo, si vedono due figure di Cristo senza braccia. E’ casuale, o ha un significato particolare?

Ma…è casuale e ha anche un profondo significato. É casuale perché questa bellissima scultura che è di uno dei grandi ‘scultori e artisti’ di questa città: il Professor Dalisi, l’ha proprio creata così, senza queste braccia. Quella in cima che vedi, è senza braccia e viene da Korogocho. L’ho portata con me, era il piccolo crocefisso senza braccia. Se vuoi casualità, ma anche con un profondo significato. Per dirci che questo Cristo ci spinge a fare quelle cose che ha fatto Lui. Oggi Lui non ha braccia, ha le Nostre braccia. E quindi che dobbiamo sporcarci noi come ha fatto Lui in quella Galilea delle genti e l’ha pagato poi con quella croce (i Romani crocifiggevano solo schiavi e sobillatori contro l’Impero), si impegna e ci muove a fare la stessa cosa, perché siamo noi, oggi, le uniche braccia che Lui ha.

…Allora questo (indicando una mappa appesa al muro) e Korogocho, o meglio, è una visione dall’alto, dall’aereo, di quello che è Korogocho. Ed è questo qui, questa realtà enorme, e qui c’è la discarica. Finisce qui, pressappoco, Korogocho. Questo qui è un km quadrato, pressappoco, con 100.000 abitanti…Dove lei ha scelto di andare a vivere…

Sì, io son vissuto qui dal 14 gennaio 1990, son date importanti, fino al 18 aprile 2002. Ho fatto 12 anni, vivendo con loro, ho scelto anch’io di prendere una baracca, come hanno tutti, e di vivere in baracca. É soltanto quando si salta il muro, e si percepisce sulla propria pelle quello che significa vivere ‘dall’altra parte del muro’, che si incominciano a capire un’attimo i problemi e le ragioni degli altri. É quello che io spesso dico anche ai missionari: «non è sufficiente lavorare per i poveri, dobbiamo sempre di più lavorare CON loro». Cioè un’esperienza di missione significa l’incarnazione, il prendere carne dentro una realtà, assumerla fino in fondo. Sentendo le difficoltà, quello che significa camminare dalla mattina alla sera, quello che significa mangiare quello che mangia la gente; cioè, se non le vivi da dentro, se non le senti sulla tua pelle, non puoi capire nulla della gente. Per cui diventa per me fondamentale questo ‘saltare il muro’, questo immergermi,… meglio…, proprio la parola incarnarsi, penso che diventa fondamentale.

Padre Zanotelli ha diretto per 9 anni la rivista dei Comboniani «Nigrizia» da cui fu sollevato dopo alcuni articoli molto critici sulla politica italiana in Africa.

Abbiamo attaccato proprio durissimamente con la allora famosa legge ‘dei 1.900 miliardi’, che era stata proposta dai Radicali, ma in verità, dietro ci stavano i Socialisti. Sul carro Socialista sono montati i Radicali, poi e’ montata la DC, con Piccoli… e siamo arrivati a questi 1.900 miliardi per la lotta alla fame in Africa. Noi in quell’editoriale, che portava un titolo significativo: «Íl volto italiano della fame africana», in cui dicevamo: ma diciamoci la verità, strano che dei Partiti, adesso, improvvisamente, degli uomini politici, vengano…così…a voler far la lotta alla fame in Africa. Forse dovremmo chiederci: a che punto è giunta la fame dei nostri Partiti che si vogliono spartire questi soldi? E siccome c’erano nomi e cognomi, è venuto fuori un putiferio totale. Questo problema della fame ci ha poi portato e mi ha portato lentamente all’altro problema: delle armi. Io mi sono convertito qui a Nigrizia alla non-violenza attiva. Prima, come Direttore avevo appoggiato tutte le lotte armate in Africa contro il Colonialismo, perché mi sembrava l’unica maniera per poter reagire. Poi ho capito tutte le connessioni. Ed è stato qui, studiando la fame, ho capito quello che avveniva. Tra l’altro mi dicevo: «…ma…che strana questa storia italiana: che l’Italia vuole offrire in aiuti, non so 2, 3, 4mila miliardi di vecchie lire italiane…e allo stesso tempo, vende 4 o 5mila miliardi di armi agli stessi Paesi ai quali dona soldi per lottare. E che connessioni ci sono fra queste due?» É stato questo quello che lentamente ci ha portati alle connessioni fra fame e armi. E lì poi, io non c’ho più visto. É partito quello che poi diventerà molto noto: il Manifesto «Beati i Costruttori di Pace». I vescovi del Triveneto avevano detto che lo firmavano. Lo scopo era proprio quello di portare la Pace al centro dell’attività pastorale della Chiesa.

Lì è arrivata Korogocho…

Il 14 gennaio del 1990 prendo lo zaino e scendo a Korogocho. Io la chiamo «la mia discesa agli inferi». Per capire questo, penso che sia importante ricordare una cosa: l’assurdità totale di Nairobi. Una città bellissima, penso che poche città son così belle come Nairobi, con palazzi, grattacieli che battono Milano quando e come si vuole, con delle zone residenziali, con delle ville incredibili. Quattro milioni di abitanti, attuali. Se ne aspettano 17 milioni fra 20 anni. Sui 4 milioni, 3 milioni di abitanti, oltre il 70%, sono costretti a vivere nel 2.5% della terra totale della Capitale. Io chiamo questo «il peccato mortale su cui è costruita Nairobi». Questo 2.5%? Neanche questo appartiene ai 3 milioni, al 70%: appartiene al governo, il quale può arrivare quando e come vuole, sbologna tutto e butta la gente più in là. Demolizioni. Terzo: l’80% dei baraccati di Nairobi non ha neanche la baracca. Paga l’affitto in baracca. Quattro: tutte le baraccopoli sono poste sotto la linea della fogna. Sopra la linea fognaria: sviluppo. Sotto la linea fognaria: baraccati. Questi sono i poveri: sono i cittadini, cittadini… Macché, sono gli invisibili nella nostra società.

Korogocho significa «confusione»?

Esatto: confusione, babilonia. É una collina a schiena d’asino, un chilometro quadrato, dove sono accatastati 100.000 persone. Non ci sono servizi. L’unico servizio provvisto dal Comune è l’acqua potabile, che però bisogna andare a comprarsi con la tanica. Null’altro. Basta pensare che c’è un bagno, un bagno, usiamo pure la parola ‘cesso’,  e anche questo è un titolo onorifico… C’è un cesso ogni 30-40 famiglie. Dobbiamo tener presente una cosa: che le baraccopoli sono politicamente corrotte. Se a Nairobi, una città dove la vita costa più che non a Roma, si vuole avere la manodopera a basso prezzo, questa è la soluzione, il prezzo da pagare. É difficile anche esprimere dei sentimenti. Molto spesso ti viene quello che solo i poveri hanno: il senso totale dell’impotenza. E capisci i poveri, perché, per quanto tu ti sbatta, alla fine senti che non puoi fare nulla, che non modifichi la realtà di tanto così, che è un sistema talmente solidificato, talmente legale, talmente…Tutto è legalizzato, tutto è a posto, tutto. Ed è così profondamente ingiusto. Per cui ti prende a volte la rabbia, il senso di impotenza, ma soprattutto la voglia, a volte, nella baracca, di sbattere la testa contro il muro. Io ho dubitato di tutto a Korogocho, l’unica cosa di cui non ho mai dubitato è che quello era il posto giusto ove essere. Come prete, come missionario.

Lei ha sempre messo in evidenza come la Chiesa sui temi dell’economia, preferisca non entrare…

É vero. É veramente un punto dolente questo. All’inizio, nell’esperienza cristiana – mammamia se era ritenuto importante! – le prime Comunità… Fra l’altro c’è un’espressione bellissima delle primissime comunità cristiane che dice: «per noi cristiani, tutto in comune, eccetto la moglie». Sull’economia abbiamo di quei detti durissimi di Gesù. Sul sesto comandamento, sul matrimonio, su cui noi oggi stiamo tanto insistendo, abbiamo essenzialmente tre detti di Gesù. Sull’economia ne abbiamo 30, 40, uno più duro dell’altro. Basti pensare: «o Dio o Mammona», cioè non si possono servire due padroni. Penso che in una società come la nostra dove tu non puoi vendere nulla se a fianco non hai il corpo nudo di una donna, mi può andar bene la severità, ma se facciamo i severi sul sesto comandamento, sul sesso, dobbiamo farlo molto di più sull’economia. E questa è una cosa che non si riesce ancora a far passare. Dobbiamo davvero… Se la Chiesa fosse dura a questo livello, non avremmo un sistema come quello che abbiamo fra le mani. Penso che è fondamentale per la Chiesa riprendere in mano, davvero con grossa forza, queste provocazioni di Gesù in chiave economica e, attraverso un’educazione popolare, dal basso, far passare questi valori. Solo così c’è speranza che qualcosa cambi, perché altrimenti sarà molto difficile, perché queste cose non si possono imporre dall’alto. Devono nascere dal basso.

Padre Zanotelli legge una preghiera scritta su un cartellone attaccato alla parete della stanza:

«SE QUESTO SOGNO NON DOVESSE FARSI REALTÀ

NELLA STORIA DEL MIO TEMPO,

ALLORA PREFERISCO RIMANERE TRAVOLTO DAI FLUTTI,

E PERDERMI INSIEME A TUTTI.

PERCHE’ VORREBBE DIRE CHE L’UMANITÀ HA ANCORA BISOGNO DI MORTI,

PER LA SUA RESURREZIONE,

PER IL TEMPO NUOVO DELLA STORIA»