[Noam Chomsky • 23.02.04] E' diventato una specie di riflesso da parte dei governi invocare la questione della sicurezza quando desiderano intraprendere azioni controverse, spesso come pretesto per qualcosa di diverso. E' sempre opportuna un'analisi attenta. La cosiddetta barriera di sicurezza di Israele che è l'oggetto delle udienze alla Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja, è uno di questi casi...

ISRAELE. UN MURO COME ARMA

E’ diventato una specie di riflesso da parte dei governi invocare la questione della sicurezza quando desiderano intraprendere azioni controverse, spesso come pretesto per qualcosa di diverso.
E’ sempre opportuna un’analisi attenta. La cosiddetta barriera di sicurezza di Israele che è l’oggetto delle udienze alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja, è uno di questi casi.
 
Poche persone metterebbero in questione il diritto di Israele a proteggere i propri cittadini dagli attacchi terroristici come quello dei giorni scorsi, e nemmeno il diritto di costruire un muro di sicurezza se fosse un mezzo appropriato. E’ altrettanto chiaro in quale posto questo muro sarebbe stato costruito se la sicurezza fosse la preoccupazione maggiore: all’interno di Israele, entro confini internazionalmente riconosciuti, la Green Line fissata dopo la guerra del 1948-49.
Il muro potrebbe essere inaccessibile secondo i voleri delle autorità: pattugliato dall’esercito su entrambi i lati, minato pesantemente, impenetrabile.
Un muro come questo ottimizzerebbe la sicurezza e non darebbe luogo a proteste internazionali o a violazioni della legge internazionale.

Questa osservazione è ben compresa. Mentre la Gran Bretagna sostiene l’opposizione dell’America alle udienze dell’Aja, il suo ministro degli esteri, Jack Straw, ha scritto che il muro è “illegale”. Un altro funzionario ministeriale che ha fatto un’ispezione sulla “barriera di sicurezza” ha detto che dovrebbe essere lungo la Green Line o “effettivamente dalla parte israeliana di questa linea”. Anche una commissione di inchiesta parlamentare inglese ha chiesto che il muro fosse costruito su terra israeliana, condannando la barriera come parte di una “deliberata strategia” di Israele “per sottomettere la popolazione”.
 
Quello che realmente fa questo muro è sottrarre terra palestinese. Ed è anche – come il sociologo israeliano Baruch Kimmerling ha descritto la guerra “politicida” di Israele contro i palestinesi – un modo per contribuire a trasformare le comunità palestinesi in prigioni, accanto a cui i Bantustans del Sud Africa sembrano simboli di libertà, sovranità ed autodeterminazione.
Anche prima che cominciasse la costruzione della barriera, le Nazioni Unite stimavano  che le barriere israeliane, i progetti di infrastrutture e gli insediamenti avevano creato 50 zone palestinesi chiuse e separate nella West Bank. Mentre si prospettava la costruzione del muro, la Banca Mondiale stimava che questo avrebbe isolato da 250.000 a 300.000 palestinesi, oltre il 10 percento della popolazione, e che avrebbe di fatto annesso il 10 percento della terra della West Bank. E quando il governo di Ariel Sharon alla fine ha pubblicato la sua proposta di mappa, è diventato palese che il muro avrebbe tagliato la West Bank in 16 enclavi isolate, riducendo solo al 42 percento la terra della West Bank che il signor Sharon aveva detto di poter cedere allo stato palestinese.
 
Il muro ha già preteso alcune delle terre più fertili della West Bank. E accresce in modo cruciale il controllo israeliano sulle risorse idriche di cui Israele e i suoi coloni possono appropriarsi a loro piacere, mentre la popolazione indigena spesso è privata di acqua potabile.
 
I palestinesi che si trovano nella terra compresa fra il muro e la Green Line saranno autorizzati a fare domanda per richiedere il diritto di vivere nelle loro case; gli israeliani hanno automaticamente il diritto di usare queste terre. “Nascondersi dietro ragioni di sicurezza e dietro  il linguaggio burocratico apparentemente neutrale degli ordini militari è la via aperta all’espulsione” ha scritto la giornalista israeliana Amira Hass nel quotidiano Haaretz. “Goccia a goccia, senza farsi notare, in modo che non possa essere notato a livello internazionale e scioccare l’opinione pubblica.”
Lo stesso vale per le uccisioni dell’esercito regolare, il terrore, la brutalità e l’umiliazione quotidiana di 35 anni di dura occupazione, mentre terra e risorse sono prese per i coloni allettati dalle generose sovvenzioni.

Sembra anche probabile che Israele voglia trasferire nella West Bank occupata i 7.500 coloni che questo mese ha dichiarato di voler ritirare  dalla Striscia di Gaza. Questi israeliani ora godranno di vaste terre e di acqua fresca mentre un milione di palestinesi sopravvivono a stento, con le loro scarse riserve d’acqua praticamente inutilizzabili. Gaza è una prigione e mentre la città di Rafah, nel sud, è sistematicamente distrutta, ai residenti può essere impedito qualsiasi contatto con l’Egitto e qualsiasi sbocco verso il mare.

E’ fuorviante definire queste politiche come israeliane. Sono politiche americano-israeliane rese possibili dal sostegno incessante degli Stati Uniti a Israele sul piano politico, economico e diplomatico. Questa politica è reale dal 1971 quando, con il supporto americano, Israele ha rifiutato un’offerta di pace completa da parte dell’Egitto, preferendo l’espansione alla sicurezza. Nel 1976 gli Stati Uniti hanno posto il veto ad una risoluzione del Consiglio di Sicurezza che chiedeva un accordo per la definizione di due stati, con un vasto consenso internazionale. La proposta dei due stati oggi ha il supporto della maggior parte degli americani, e potrebbe essere applicata immediatamente se Washington davvero lo volesse.
 
Al massimo le udienze dell’Aja finiranno con una decisione consultativa che dichiara il muro illegale. E questo non cambierà nulla. Ogni cambiamento reale di risoluzione politica – e ogni possibilità di vita decente per la gente della regione – dipende dagli Stati Uniti.

Noam Chomsky


Fonte: http://www.zmag.org/content/showarticle.cfm?SectionID=22&ItemID=5030