[di Amedeo Tosi • Gennaio 1998] Far andare a braccetto giustizia e solidarietà non è cosa facile. E nemmeno essere cittadini del mondo. Pensiamoci un momento...

LA FATICA DI ESSERE CITTADINI DEL MONDO

Far andare a braccetto giustizia e solidarietà non è cosa facile. E nemmeno essere cittadini del mondo. Pensiamoci un momento. Non facciamo tempo ad alzarci al mattino che già entriamo in rapporto con gli operai dell’Indonesia che hanno fabbricato le scarpe sportive che calziamo. Poco dopo, quando ci sediamo a tavola per fare colazione, entriamo in contatto con dei contadini della Costa d’Avorio che hanno raccolto il cacao che beviamo sotto forma di cioccolata. Se nel frattempo decidiamo di guardare un tiggì, entriamo in contatto con delle operaie delle Filippine che hanno assemblato il televisore di casa. Cosa ne sappiamo delle condizioni di vita e di lavoro di questa gente? Ignoriamo quanto guadagnano, quante ore lavorano, i diritti di cui (non) godono. Cosa ne sappiamo delle multinazionali che si arricchiscono alle loro spalle? Domande che nei dossier che hanno preceduto quello che vi proponiamo in questo numero (il Commercio Equo e Solidale) si leggevano tra le righe. Domande che ci interrogano pesantemente, perché chiamano a riflettere sullo sfruttamento, sugli squilibri economici, sulle ingiustizie. Ci viene insomma chiesto di pensare come cittadini del mondo. E proprio perché siamo diventati consumatori di prodotti mondiali e siamo dominati da forze economiche che gestiscono l’economia a livello planetario, provocando ovunque dei cambiamenti, abbiamo l’obbligo di pensare ed agire come cittadini del mondo. Le cronache di ogni giorno, se guardiamo bene, vanno in questo senso: nessuna scelta politica nazionale (problema rifiuti, immigrazione, lavoro…) può essere fatta senza tenere presente le esigenze di giustizia mondiale. E noi? Spesso siamo tentati di credere che tutto quello che possiamo fare è un gesto di generosità nei riguardi di chi sta peggio; oppure ci fa comodo solo puntare il dito verso chi ha responsabilità politiche ed economiche. Ma se davvero vogliamo coniugare giustizia e solidarietà dobbiamo sostenere concretamente quelle iniziative sociali, come il commercio equo, che hanno anche una valenza critica e di denuncia. Solo partendo da una riflessione critica sull’esperienza del vissuto quotidiano (come usiamo il nostro potere di acquisto, di consumo, di risparmio?) potremo cercare di difendere gli ideali di solidarietà e cooperazione che da sempre animano il mondo del volontariato e dell’associazionismo. E, quindi, i diritti dei bambini, i profughi fuggiti dalla guerra, l’eticità dei nostri risparmi. Solo impegnandoci su questo versante si potrà davvero riuscire almeno ad incrinare quella logica del grande mercato, iniquo ed escludente, che è ormai più forte e più importante di tutto: delle persone, dell’ambiente, dei valori universalmente riconosciuti ma sistematicamente calpestati.


Questo articolo è stato pubblicato sul numero di Gennaio/Febbraio 1998 del giornale «il GRILLO parlante».