LA GRAVE SITUAZIONE UMANITARIA NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO

Signor Presidente, Membri del Consiglio di sicurezza,

Medici Senza Frontiere (MSF) è grata di avere oggi l’opportunità di rivolgersi a voi. Milioni di persone stanno vivendo in condizioni critiche in tutta la Repubblica Democratica del Congo (RDC) e nel nord dell’Uganda. Altri vi ragguaglieranno in merito all’emergenza perdurante nel nord dell’Uganda, anch’essa motivo di grande preoccupazione per MSF, ma vorremmo ora sottoporre alla vostra attenzione la RDC, in particolare la catastrofe umanitaria attualmente in corso nelle province orientali del Kivu settentrionale e del Katanga.

IN FUGA PER LA SALVEZZA

Mentre parliamo la vita e i mezzi di sostentamento della popolazione in entrambe le province vengono distrutti nel corso dei violenti scontri tra fazioni armate. Venerdì 20 gennaio 2006 la città di Rutchuru nel Kivu settentrionale è stata attaccata da disertori dell’esercito congolese costringendo 30.000 persone a fuggire verso nord in direzione di Kayna e verso est in Uganda. Anche i team di MSF hanno dovuto riparare in Uganda. Secondo le ultime notizie, anche gli abitanti di Kanyabayonga sono dovuti fuggire nel timore di un attacco alla città. Tutti questi avvenimenti si stanno verificando in un’area fortemente presidiata dalla Mission d’Observation des Nations Unies au Congo (MONUC) e mettono in evidenza quanto sia instabile la situazione e quanto sia prematuro, per molti, parlare di pace e di democrazia.

Il Katanga forse rappresenta la crisi più dimenticata all’interno di un paese assediato da molteplici emergenze umanitarie delle quali si sa ben poco. Dallo scorso agosto oltre 100.000 civili congolesi sono stati costretti brutalmente a sfollare a causa degli scontri tra i diversi gruppi armati. Molti sono stati costretti a fuggire più volte in cerca di scampo e nel corso delle loro innumerevoli fughe hanno dovuto pagare dei tributi e sono stati derubati dei pochi averi che gli restavano. Malgrado tutto ciò, pochissimo aiuto è stato dato agli sfollati che hanno perso tutto e che stanno cercando rifugio in aree che non sono strutturate per accoglierli. Perché non sono state soddisfatte le loro necessità primarie di cibo, riparo, acqua e cure mediche? Perché mancano quasi del tutto gli aiuti nazionali ed internazionali? Se gli aiuti non verranno immediatamente mobilitati ci sarà una grave perdita di vite umane.

Da quando è stata proclamata ufficialmente la pace nella RDC due anni fa, una serie di violenze si è abbattuta nella provincia del Katanga: a Kitenge, Mitwaba, Pweto, Mukanga e altrove. Le milizie Mai-Mai hanno attaccato i villaggi, bruciato le case, saccheggiato le proprietà e ucciso e stuprato nel corso di questi raid, costringendo i superstiti a far loro da servi. Le operazioni militari condotte dall’esercito congolese contro le milizie hanno sacrificato i bisogni e il benessere della popolazione civile in nome del ristabilimento dell’ordine e della sicurezza. Inoltre hanno perpetrato una serie di abusi che vanno dalle rapine e dalle estorsioni ai maltrattamenti e allo stupro.

Come infermiera, mi trovavo nel villaggio di Lukona nel Katanga centrale nel settembre del 2005, dove prestavo soccorso di emergenza alle famiglie sfollate da poco. Ricordo le lunghe file di genitori che aspettavano pazientemente il loro turno per far vaccinare i figli contro il morbillo. Ascoltavo le loro storie strazianti: familiari uccisi, violenze sessuali, paura incessante e una spossatezza estrema dovuta alle loro continue fughe per cercare di salvarsi la vita. Per molti non era la prima volta che venivano sfollati. Mi dicevano di quanto fossero affamati e di come vivessero in uno stato di paura costante perché non avevano idea di quando e dove sarebbero stati costretti a fuggire la prossima volta. Ma quello che mi ha colpito più di tutto è stato il fatto che queste persone non avevano l’aria di aspettarsi alcun aiuto. Erano stanche e riconoscenti di non ricevere assolutamente nulla.

Da allora la situazione è andata soltanto deteriorandosi. Da metà novembre del 2005 oltre 80.000 persone sono fuggite dai loro villaggi a causa di operazioni militari e di attacchi dei Mai-Mai. A novembre le operazioni dell’esercito congolese contro i Mai-Mai nel triangolo formato da Manono, Mitwaba e Dubie hanno costretto 6.000 persone a cercare rifugio a Dubie ed altre 4.000 a Pweto. A dicembre altre 10.000 persone sono fuggite a Dubie e gli sfollati nelle vicinanze di Mazombwe, presso Mitwaba, sono stati attaccati dalle milizie Mai-Mai e costretti di nuovo alla fuga. Attualmente ci sono oltre 17.500 sfollati a Dubie e 13.000 a Mitwaba.

Anche la popolazione residente a Kilumbwe e dintorni è fuggita dai recenti combattimenti rifugiandosi sulle isole e sulle sponde del lago Upemba. Un civile ferito che abbiamo curato all’ospedale di Bukama ci ha raccontato di aver assistito all’uccisione di molte persone e di come i Mai-Mai abbiano costretto i civili a lavorare per loro. Attualmente circa 15.000 persone vivono nelle paludi infestate dalle zanzare, in piccole isole galleggianti che si trovano sullo stesso lago e nei villaggi di Nyonga e Kibondo. Solo la scorsa settimana le milizie hanno sferrato un attacco a due villaggi, Kibondo e Kyubo, aggravando ulteriormente lo stato di insicurezza della popolazione sfollata.

UNA SITUAZIONE PRECARIA IN UNA REGIONE ABBANDONATA

Malgrado la criticità della situazione, l’assistenza alle popolazioni più colpite dalle violenze è stata scarsissima. Gli sforzi di MSF e delle comunità locali hanno potuto far poco per alleviare il grave sovraffollamento dei campi nei dintorni di Mitwaba e Dubie dove gli sfollati che si trovano in condizioni disperate dipendono largamente dalla benevolenza della popolazione locale per quanto riguarda il cibo, il vestiario, i ripari, causando un notevole disagio alle comunità. A Dubie e Nyonga il prezzo del cibo base, la manioca, è raddoppiato mentre altri alimenti come patate e cipolle non sono più reperibili sul mercato. La pesca nel lago Upemba è sottoposta a restrizioni che limitano ulteriormente le già scarse risorse a disposizione della popolazione. Le strutture sanitarie gestite dal ministero della Sanità in molte di queste aree forniscono solo servizi a pagamento e questo limita drasticamente l’accesso alle cure sanitarie per coloro che sono stati derubati e lasciati privi di risorse.

MSF attualmente fornisce cure mediche di emergenza, ripari, generi non alimentari, sistemi idrici e fognari in diverse località ma siamo troppo soli, le altre organizzazioni umanitarie nazionali ed internazionali si devono urgentemente mobilitare per far fronte ai bisogni sempre crescenti della popolazione. Non capiamo perché la comunità umanitaria internazionale si è mobilitata soltanto nelle aree con un significativo numero di truppe ONU, come nel Kivu, mentre la popolazione del Katanga è abbandonata a se stessa malgrado si trovi sempre più in uno stato di bisogno disperato.

Ci sono grandi preoccupazioni di ordine medico: dalla malaria e infezioni respiratorie alla diarrea, che sono il risultato del sovraffollamento e delle condizioni precarie in cui migliaia di persone stremate sono costrette a vivere. La regione è ancora prostrata da costanti epidemie di morbillo e colera e MSF attualmente sta facendo fronte ad epidemie di colera ad Ankoro, Kinkondja, a nord del lago Upemba e nei dintorni di Malemba Nkulu. Nella zona sanitaria di Kikondja, MSF ha trattato 570 nuovi casi di colera dal 6 al 20 gennaio mentre a Kabalo, dal 15 novembre al 12 gennaio, sono stati riportati 190 casi.

Anche l’insicurezza alimentare, e per estensione la malnutrizione, stanno aumentando. Ogni settimana a Mukubu, MSF ricovera 20 bambini gravemente malnutriti nel suo centro alimentare terapeutico. Non è una cifra esorbitante di per sé ma una verifica nutrizionale effettuata la scorsa settimana ha rilevato che il 33 per cento dei 3.500 bambini sottoposti allo screening presentava una malnutrizione moderata o a rischio.

Risale ad agosto l’ultima distribuzione del Programma Alimentare Mondiale (PAM) a Mitwaba, durante la quale 13.000 sfollati hanno ricevuto razioni alimentari sufficienti per un periodo di tre mesi. Da allora non hanno ricevuto più nulla e a causa delle operazioni militari attualmente in corso, la coltivazione dei campi è fortemente limitata. A Dubie le distribuzioni alimentari sono state discontinue. Una ONG locale ha avviato una distribuzione alimentare ad agosto e a settembre, quando c’erano solo poche migliaia di sfollati, poi si è ritirata malgrado l’arrivo di altre migliaia di sfollati. Il PAM si è impegnato a effettuare un’altra distribuzione alimentare per coprire il fabbisogno di un mese, ma destinando altrove le scorte alimentari precedentemente assegnate a Mitwaba. Queste stesse distribuzioni sono state intralciate da problemi logistici e dal fatto che la popolazione sfollata e le risorse necessarie per far arrivare le scorte alimentari sono state sottostimate.

Le oltre 15.000 persone recentemente sfollate a Nyonga, sul lago Upemba, non hanno ricevuto alcun aiuto a parte le cure mediche e i generi non alimentari forniti dai team di MSF. Sono stati distribuiti a 3.200 famiglie materiali per costruire ripari e set da cucina mentre è in corso una campagna di vaccinazione contro il morbillo per 8.000 bambini e le cure mediche vengono erogate sia attraverso le cliniche mobili che in un centro sanitario. Tuttavia molti sfollati si sono rifugiati nelle foreste dei dintorni e quindi non possono essere raggiunti dai nostri team. A Pweto, per esempio, a causa degli scontri in corso nell’area, i team sono riusciti a raggiungere soltanto le persone che si trovavano sulla strada principale.

Anche la violenza è motivo di grande preoccupazione. A metà dicembre MSF ha curato vicino a Pweto cinque donne e una quattordicenne che hanno raccontato di essere state stuprate da soldati dell’esercito congolese. Noi temiamo che, considerati i tabù e la discriminazione di cui sono oggetto le vittime di stupro, le dimensioni di questo problema siano molto più vaste.

Oltre al conflitto e all’estrema miseria, gli sfollati devono anche lottare contro la paura di essere derubati e di essere vittime di violenze nei posti in cui si sono rifugiati. La popolazione di Dubie e Mitwaba racconta che i soldati dell’esercito rubano spesso generi non alimentari e i pochi averi rimasti mentre i pazienti a Mitwaba riferiscono di come l’esercito faccia regolarmente deviare altrove le poche scorte alimentari che arrivano.

La diffusa mancanza di condizioni di sicurezza limita l’accesso agli sfollati. Nelle ultime settimane le strade sono state interrotte a causa di operazioni militari o sono state bloccate dalle milizie. Quando all’inizio di gennaio è stata bloccata la strada tra Sampwe e Kasungeshi, MSF poteva raggiungere la nostra base di Mitwaba solo in aereo e nel corso della stessa settimana un camion privato, utilizzato spesso da MSF, è stato attaccato e saccheggiato mentre tornava da Mitwaba.

Accedere alla regione è difficile, anche senza il fantasma dell’insicurezza, ma non è impossibile. Aerei, barche e moto a volte costituiscono il solo modo per raggiungere certe aree. Ci vogliono due giorni di macchina per andare da Lubumbashi a Malemba Nkulu e da Lubumbashi a Bukama. Da Bukama ci vuole un giorno di barca per raggiungere gli sfollati di Nyonga. Per trasferire i pazienti da Nyonga all’ospedale di Kikondja ci vogliono 4 ore di viaggio su una chiatta. Queste difficoltà logistiche sono assolutamente reali ma non devono essere utilizzate come una scusa per non intervenire. MSF per esempio recentemente è riuscita a portare materiali e ad aprire progetti in villaggi remoti sul lago Upemba e nei dintorni di Dubie.

Tutti gli ultimi avvenimenti non fanno che peggiorare le già dure condizioni di vita della popolazione del Katanga settentrionale e centrale. Un documento pubblicato nel novembre scorso da MSF ha rilevato tassi di mortalità sbalorditivi a Kilwa, pari a 4.4 decessi al giorno su una popolazione di 10.000 bambini al di sotto dei cinque anni. Questo dato è due volte la soglia di emergenza comunemente riconosciuta. L’indagine ha inoltre rilevato che solo la metà delle persone intervistate aveva accesso alle cure sanitarie: l’isolamento geografico era una delle cause ma il costo delle cure era considerato il fattore principale dell’accesso estremamente limitato.

VIOLENZE E SFOLLAMENTO DELLA POPOLAZIONE

Oggi noi richiamiamo la vostra attenzione sulla crisi del Katanga perché sta accadendo sotto i nostri occhi. Ciò non deve distogliere dal far fronte ai bisogni che perdurano in tutta la RDC orientale, in particolare nell’Ituri e nel Kivu. In effetti i progetti di soccorso d’emergenza nella RDC rappresentano oggi una delle più grandi mobilitazioni di aiuti umanitari di MSF nel mondo, con oltre 220 volontari nello staff internazionale e 2.100 congolesi nello staff nazionale che forniscono assistenza in 26 località. Durante lo scorso anno MSF ha affrontato le epidemie di colera vicino a Goma e Beni e il massiccio sfollamento della popolazione nel Kivu settentrionale causato dai combattimenti nei dintorni di Kanyabayonga. Inoltre prima del rapimento di due nostri colleghi nel giugno del 2005, MSF forniva assistenza a oltre 100.000 civili nei campi a nord di Bunia, sulle rive del lago Albert.

Nel 2005 MSF ha curato oltre 2300 vittime di violenza sessuale a Bunia. Oltre il 75% delle aggressioni è stato commesso da combattenti armati e tre quarti di questi episodi hanno visto coinvolti più assalitori. Solo poco più del 20% delle vittime è arrivato da noi entro 72 ore dallo stupro, cosa che rende possibile la profilassi antiretrovirale per ridurre il rischio di HIV/AIDS. A Beni, Rutshuru e Kayna MSF ha curato altre 1200 vittime di stupro.

Il processo di pace del paese è stato positivo per alcuni, soprattutto per coloro che vivono nelle zone che si trovavano precedentemente in prima linea. Tuttavia il mantenimento della pace e gli sforzi politici non si sono tradotti in condizioni di vita migliori per molti congolesi e la situazione resta terrificante in molte parti del paese. Indagini condotte di recente da MSF hanno rilevato tassi di mortalità infantile straordinariamente alti in molte regioni: oltre sei volte la soglia di emergenza a Lubutu, una città piagata dalle violenze che si trova nella provincia di Maniema. Le indagini hanno inoltre rilevato che poche persone accedono alle strutture sanitarie, tantomeno alle cure, anche nelle aree non devastate dalle violenze e questo è in larga parte dovuto al fatto che non possono permettersi di pagare. Questa situazione comporta un’ulteriore perdita di vite umane, causata da malattie facilmente curabili come infezioni respiratorie, diarrea, malaria e colera.

NORMALIZZAZIONE DELL’INACCETTABILE

Oggi la popolazione che si trova nella morsa del conflitto nel Katanga e nel Kivu settentrionale deve ricevere un soccorso d’emergenza. Questo soccorso non deve subire ritardi a causa della mancanza di volontà delle organizzazioni umanitarie. Gran parte degli aiuti nella RDC sono stati trasferiti a progetti di sviluppo a lungo termine ma questi sforzi non devono essere portati avanti a spese del soccorso di emergenza, soprattutto nelle aree piagate dalle violenze.

La “normalizzazione” descritta dalla comunità internazionale, rappresentata dal Comité International d’Accompagnement à la Transition (CIAT) è smentita dalla realtà quotidiana di violenze e privazioni sopportata da molti congolesi. Il processo di “brassage” (fusione) non ha a tutt’oggi creato un esercito unico e vari gruppi armati continuano a difendere i propri interessi a scapito di tutta la popolazione. Qualunque siano gli obiettivi politici delle operazioni militari, i civili non devono essere sacrificati in nome del ristabilimento dell’ordine e della sicurezza. E’ inoltre fondamentale che tutti i gruppi armati della regione rispettino la sicurezza dei civili e non facciano deviare altrove gli aiuti umanitari che arrivano.

Si sta permettendo il protrarsi di una situazione spaventosa in Katanga, Kivu e Ituri, con centinaia di migliaia di persone obbligate più volte a sfollare, a subire le violenze di una serie di gruppi armati, a sopportare la malnutrizione e le ricorrenti epidemie di malattie prevenibili. Questa realtà è diventata talmente di routine in molte aree da passare di fatto inosservata. Tutti noi dobbiamo agire per evitare questa normalizzazione dell’inaccettabile.

Grazie per la vostra attenzione.

Helen O’Neill