LA POLITICA É MORTA… VIVA LA POLITICA!

don pedro casaldaligaSecondo il grande teorico del pensiero personalista, il cristiano Emmanuel Mounier, «tutto è politico, anche se il politico non è tutto». Fabio Konder Comparato, giurista e militante, nonostante le gravi disillusioni sofferte con la politica, afferma categoricamente: «Fuori della politica non c’è salvezza», Gilvander Moreira fa la stessa affermazione. Diversi di istituti di ricerca spagnoli, hanno constatato in una inchiesta che il 60 per cento dei giovani non sente alcun interesse per la politica. Il popolo semplice dell’interno del Brasile parlava e parla di politica, a priori e a posteriori, come di una male: «estar politico» con qualcuno, significa aver litigato.

E noi, che pensiamo? Politica sì o politica no? Bisogna riconoscere che la frustrazione che sta provocando la politica tradizionale, praticamente in tutti i paesi, crea un atteggiamento di sfiducia, di disprezzo e perfino di indignazione di fronte alla politica. Quali sono le cause? Purtroppo sono facili da enunciare: la sottomissione dei governi e dei politici alla macro-dittatura del capitalismo neoliberista, gli scandali di corruzione e nepotismo, la falsità delle promesse elettorali, le alleanze spurie, l’inerzia interessata delle oligarchie nazionali.

L’esperienza collettiva, in quasi tutti i paesi, soprattutto nel Sud del mondo, è un balletto di sigle che occultano, tutte quante, la stessa pseudo-politica regnante nel potere, nel lucro, nel privilegio. Si è fatto della politica un affare, la risorsa delle élites che si succedono, sempre le stesse, apertamente nella destra, consacrando lo status quo. Dice la barzelletta: «Basta, fare politica con la politica! Lasciatela essere quello che è: fare affari!». Questa politica deve morire. A livello mondiale è già una politica morta per la società che vuole vivere umanamente e costruire un futuro autenticamente democratico, partecipativo, umanizzante, senza quelle disuguaglianze che gridano al cielo. L’economia cresce, ma cresce anche simultaneamente la disuguaglianza. I piani strutturali di aggiustamento che la politica attuale esige dai paesi poveri hanno fallito, a prezzo di molto dolore, molta miseria e persino di molto sangue. «Il processo attuale di globalizzazione» , scrive Stiglitz nel suo libro «La globalizzazione che funziona», «sta provocando alcuni risultati di disequilibrio sia tra paesi che all’interno degli stessi. Si crea ricchezza, ma ci sono troppi paesi e persone che non ne condividono i benefici. Questi disequilibri globali sono moralmente inaccettabili e politicamente insostenibili» . Si è opportunamente affermato che la disuguaglianza assassina la mondializzazione; e ci si convoca per un processo multiplo in luoghi e in modi al servizio di una «mondializzazione equa», che distribuisca il benessere e sopprima la miseria.

Bisogna fare della politica un esercizio basilare di cittadinanza. La cittadinanza è il riconoscimento politico dei diritti umani. Poiché siamo umanità siamo anche società. Il filosofo italiano Giorgio Agamben scrive: «La separazione tra ciò che è umano e ciò che è politico, che stiamo vivendo attualmente, è la fase estrema della scissione tra i diritti dell’uomo e i diritti del cittadino». La politica ha nelle sue mani la manipolazione dell’opinione pubblica e la «colonizzazione delle soggettività». Per la maggior parte dell’umanità è una politica che deve morire, è già una politica morta. E, tuttavia, la politica, l’altra politica, non può morire, appunto perché l’umanità non può vivere senza. La politica è l’organizzazione della vita umana, il processo della società. La politica è più di una dimensione, abbraccia tutte le dimensioni della vita sociale.

Per questo sempre più persone e aggregazioni sociali rivendicano una politica «altra», di giustizia, di partecipazione, di trasparenza, di servizio. Programmata e vissuta sia a livello mondiale che locale. Rinnovando le istanze tradizionali, molte delle quali caduche e ingiuste, e favorendo istanze nuove. Formando politicamente la cittadinanza. Suggerendo atteggiamenti, processi, campagne; aiutando a cercare soluzioni. Occorre sempre più aiutare a pensare e ad assumere ciò che si deve fare perché la politica viva, resuscitata, lontano dai «sepolcri imbiancati», sia una politica umana e umanizzante. Con Max Weber, vogliamo distinguere tra la politica come professione e la politica come vocazione. Scrisse Rubem Alves, nel memorabile articolo «Sulla politica e il giardinaggio» : «Di tutte le vocazioni, la politica è la più nobile. Di tutte le professioni è la più vile».

Occorre sognare camminando. Vogliamo e dobbiamo essere politici, fare politica. Ci autoconvochiamo per entrare, donne ed uomini,-e sempre più le donne nelle diverse sfere della  politica-, adulti e giovani, tutti impegnati e colmi di speranza, in questa grande mobilitazione di obiettivi, di forum, di campagne, di realizzazioni. Chiediamo, sognando in grande, che la politica sia un esercizio di amore, la celebrazione quotidiana di una convivenza veramente umana. Una politica di fratelli e sorelle. Un culto quotidiano all’umanità, il miglior culto per i credenti al Dio vivo. Vogliamo essere politici e fare politica, senza possibile neutralità, senza ipocrite equidistanze. Nel suo celebre discorso all’Università di Lovanio, il martire San Romero d’America affermò: «Essere a favore della vita o della morte. Ogni giorno vedo con più chiarezza che è questa l’opzione da seguire. In ciò non esiste neutralità possibile. O serviamo la vita o siamo complici della morte di molti esseri umani. Qui si rivela qual è la fede dei credenti: o crediamo nel Dio della Vita o usiamo il nome di Dio servendo i carnefici di morte».

dom Pedro Casaldaliga

vescovo dei poveri in Brasile


Dall’introduzione dell’«Agenda Latinoamericana 2008»

Fonte: www.carta.org