LIBRI. «BOCHE DE PIÈRA» DI MARCO BOLLA

[Silvia Gazzola – 11.01.2015] Marco Bolla arriva a questa silloge dopo una lunga frequentazione poetica. Un decennio (1999-2009) in cui la sua urgenza comunicativa ha tentato corde e accenti diversi, avvicinandosi progressivamente a una felicità espressiva apprezzabile soprattutto nei testi dialettali.

Marco Bolla
«BOCHE DE PIÈRA»
116 pagine – anno 2014
8,90 euro (2,99 Ebook) – Panda Edizioni
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Marco Bolla arriva a questa silloge dopo una lunga frequentazione poetica. Un decennio (1999-2009) in cui la sua urgenza comunicativa ha tentato corde e accenti diversi, avvicinandosi progressivamente a una felicità espressiva apprezzabile soprattutto nei testi dialettali. Va subito chiarito che il dialetto (veronese) non è piegato al nostalgico ricordo di un passato che non torna: è il presente a interessare l’autore, un presente che giunge sulla pagina a bordo di suoni, colori, intimi sussulti del cuore e della natura. Si dovesse fare il nome d’un qualche riferimento, al di là dei poeti dialettali come Noventa e Calzavara, si potrebbe menzionare anzitutto il Leopardi del Canto notturno, piccolo uomo che s’interroga di fronte all’eternità dei cicli naturali. Ma in Marco Bolla è il sole, non la luna l’interlocutore prescelto:

«E penso a ti, sole / te viaji, te vè, te vedi / …e mi, senpre qua, / sentà. / Quante robe te conossi: / el celeste mar / che no finisse mai, / i verdi boschi / che dà fresca libertà, / nova aria, / nova tera, / nova gente / …e mi, gnente».

La natura si presenta spesso come forza dirompente, talora distruttiva («el so vento che spampìna par aria / na mòta de foje che someja déi / sbiadii, mati, sensa on po’ de giudissio»). L’invidia è tutta per gli animali che possono librarsi al di sopra delle cose terrestri: «Come na mànega de sbrindolóni / se svòltola ‘n te l’aria lustra i osei, / e sensa massa insulsi ciacolóni / i prepara el so viajo par posti pì bei».

All’uomo non resta che rimanere nella bruciante attesa d’un qualcosa (ma «nissun vegne a tórme!»), di un evento che rompa le maglie strette e lasci intravvedere, almeno per un attimo, la verità. E, aspettando, l’autore si chiede (con moduli che ricordano il Quasimodo di «Alle fronde dei salici») che cosa possa divenire materia di poesia se tutto, dentro, è groviglio, «bàgoli sconti», «ponti che s’ciòpa». «E piassè serco, piassè no tróvo», scrive Marco in uno dei momenti forse più riusciti e alti della sua poesia.

Vi sono poi i testi della calma, dove ci si concede un sorriso e un restare «imagà» di fronte al solletico che gli storni fanno al cielo. Ma, più spesso, il poeta è un pezzo di terra indurita che attende la pioggia; l’acqua è elemento principe, cada essa «a séce roèrse», sia essa ghiaccio, neve, tempesta, lacrima, o si dia al contrario per assenza, siccità. C’è, da parte dell’autore, un’inclinazione a farsi tutt’uno con gli elementi, la terra in primo luogo: quasi una regressione al mondo prima dell’umanità, all’età infantile. In questo si addita forse la chiave per giungere ad una esistenza più piena, capace di guardare in controluce una foglia e di scorgervi sentieri, significati, essenziali verità. Di un simile sguardo, l’autore si fa tenero osservatore e attento trascrittore. È un giornalismo dell’anima, se si vuole, e dei sussulti che le derivano dal guardarsi attorno e dentro stupita, felicemente scossa, discretamente tesa.

L’AUTORE  Marco Bolla è nato nel 1979 e vive a Monteforte d’Alpone (Vr). Giornalista pubblicista, collabora da diversi anni con il settimanale «Verona Fedele» ed è stato direttore responsabile di alcuni periodici locali. È direttore de «Losservatore», un giornalino letterario che ha fondato nel 2000 e che viene distribuito nell’est veronese. Tra il 2003 e il 2010 ha stampato in proprio quattro libretti di poesie e un libretto di racconti che ha regalato agli amici. Sue poesie sono state premiate o segnalate in vari concorsi letterari.

Silvia Gazzola