LIBRI. «VOGLIA DI NORMALITÁ», FINESTRE DI RESISTENZA NONVIOLENTA PALESTINESE

[Amedeo Tosi – 11.08.2013] Abbiamo voluto «dedicare questo nostro lavoro alle case palestinesi o, meglio, ai loro abitanti, ai loro modi di resistere perseguendo per se stessi e per i loro figli tutte quelle modalità che consentono di continuare a vivere “come se” ogni giornata fosse normale, quando ormai nulla, nella quotidianità di qualsiasi palestinese, assomiglia alle situazioni che noi occidentali consideriamo quantomeno “ordinarie”» spiegano gli autori. E aggiungono: «Nei villaggi palestinesi dei Territori Occupati, a Gaza e in Israele, ci hanno accolto in quella che, a buon diritto, è la loro casa. Insieme all’immancabile tazza di tè, ogni famiglia ci ha offerto l’opportunità di condividere un momento di intimità domestica: «finestre» di resistenza nonviolenta che fissano in un istante un’immagine di speranza nel cambiamento possibile».

capovilla_tusset200Nandino Capovilla – Betta Tusset
VOGLIA DI NORMALITÁ
Finestre di resistenza nonviolenta palestinese
Edizioni Paoline
Pagg. 120 – Anno 2012
Libro + DVD: 18,00 euro
ISBN 978-88-315-4137-4

 

«La casa, come la terra, per i palestinesi sotto occupazione militare rappresenta il luogo simbolo delle sofferenze e delle ingiustizie, ma anche della voglia di riscatto e di normalità». Ma i palestinesi, che diritti hanno? È questa la domanda che rimane inevasa. Sempre di più. Non è carenza di un ragionamento o di fantasia politica. È l’inaridirsi di una capacità umana di comprensione delle speranze e dei diritti altrui. Di fronte a questa terra sempre più riarsa, brillano mille episodi di sofferenza ma anche di umanità tra coloro che non vogliono allontanarsi dalle proprie case.

La signora che stende i panni lavati la sera, alla luce della luna, per evitare la polvere dei camion e dei bulldozer che costruiscono il muro, è l’archetipo di questo miscuglio di dolore e di tenacia antica. Un miscuglio sorprendente, per noi occidentali, che forse avremmo gettato la spugna già da molto tempo.

«Non è così, qui, tra i palestinesi. Perché la casa è la famiglia. Non sono pietre che si possono abbattere, ma persone con i loro gemiti, il loro pianti, i loro sorrisi, i loro amori sottaciuti o proclamati, il pane quotidiano, perfino la morte.

Ecco la forza intrinseca di quelle case», scrive nella presentazione Filippo Landi, Corrispondente Rai da Gerusalemme. «La forza sconosciuta a noi europei o americani, e soprattutto a tanti giornalisti, diplomatici, politici che da questa terra sono passati e che qui continuano a venire. Chi condivide il pane consumato in quelle case ha la visione chiara, invece, della violenza subita e della fragilità apparente che vi si oppone, ma anche della resistenza e della tenacia sconvolgenti che in quelle case si ritrovano, e che si alimentano di esempi: dalle testimonianze dei nonni alle madri che continuano a lavare in mezzo alla polvere».

Le demolizioni ti colpiscono come una botta alla testa. Quando arrivi sul posto, di corsa, con il fiato corto, le immagini dei bulldozer ti stordiscono. Inizi a mettere a fuoco la situazione. Senti i rumori delle ruspe, le voci della gente, vedi gli animali confusi. Sono mille le reazioni possibili a questi eventi. C’è chi si dispera, chi urla, chi rimane immobile, seduto, in silenzio, guarda la propria casa crollare, impotente, oppure guarda nel vuoto. Ma c’è anche chi cerca di recuperare più cose possibile, prima che le enormi pale rendano inutilizzabile ogni cosa. Perché, quando i bulldozer se ne saranno andati, bisognerà ricominciare e tutto ciò che non è distrutto potrà servire.

È incredibile la sistematicità con cui gli «operai» dell’esercito israeliano eseguono il loro lavoro. Prima di salire sulle jeep e sui pickup si stringono la mano, ridono, si abbracciano e si congratulano tra loro per l’ottima operazione svolta. Possono finalmente tornare a casa, dalle loro famiglie, dopo una dura giornata di demolizioni. Così ci si guadagna lo stipendio nell’unica democrazia del Medio Oriente.

«Abbiamo voluto dedicare questo nostro lavoro alle case palestinesi o, meglio, ai loro abitanti, ai loro modi di resistere perseguendo per se stessi e per i loro figli tutte quelle modalità che consentono di continuare a vivere “come se” ogni giornata fosse normale, quando ormai nulla, nella quotidianità di qualsiasi palestinese, assomiglia alle situazioni che noi occidentali consideriamo quantomeno “ordinarie”» spiegano gli autori. E aggiungono: «Nei villaggi palestinesi dei Territori Occupati, a Gaza e in Israele, ci hanno accolto in quella che, a buon diritto, è la loro casa. Insieme all’immancabile tazza di tè, ogni famiglia ci ha offerto l’opportunità di condividere un momento di intimità domestica: «finestre» di resistenza nonviolenta che fissano in un istante un’immagine di speranza nel cambiamento possibile».

AUTORI
Nandino Capovilla (Venezia, 1962) è prete della diocesi di Venezia. Dal novembre 2004 è referente nazionale della campagna «Ponti e non muri» promossa da Pax Christi International. È inoltre responsabile delle azioni in Israele e Palestina per Pax Christi Italia, di cui dalla primavera del 2009 è coordinatore nazionale. Con Paoline ha pubblicato «Un parroco all’inferno. Abuna Manuel tra le macerie di Gaza» (2009) e ha curato il volume di Michel Sabbah, patriarca emerito di Gerusalemme, «Voce che grida dal deserto» (2008).

Betta Tusset (Venezia, 1965), laureata in lettere moderne, è autrice del romanzo breve «Chiuditi, cerchio!» (2002). Vive al Lido di Venezia con il marito e i tre figli.