MENO BUONI E PIÙ GIUSTI, MENO CARITATEVOLI E PIÙ SOLIDALI


A Natale tutti diventano più buoni. Ma subito dopo tutti ritornano come prima. E poi noi italiani sembra che siamo di natura campioni di generosità. Infatti, lo si nota ogni qualvolta accadono delle emergenze umanitarie. Il terremoto in Abruzzo ha scosso tutti e ha suscitato una grande generosità del nostro popolo, sia in forma di aiuti economici e sia anche di disponibilità a livello di volontariato per l’assistenza dei colpiti dalla calamità. La stessa cosa è avvenuta anni fa nei confronti della vittime del Tsumani, oppure nei confronti di tante altre emergenze che sono avvenute in Italia e nel mondo. Anche la crisi economica ha provocato tante forme di generosità nei confronti di chi perde lavoro e dei nuovi poveri; lo stesso si può affermare delle campagne di beneficienza promosse continuamente nei confronti dei poveri del Sud del Mondo.

Tutta questa generosità è senza dubbio importante e stimabile: si tratta di un segno evidente che il nostro popolo ha un substrato di bontà. Ma quello che mi fa pensare parecchio è che si manifesta solamente nelle situazioni di emergenza e a livello assistenziale, mentre non riesce a diventare impegno quotidiano di ricerca della giustizia sociale. In altre parole, si tratta di un agire legato solamente alla cura ma non riesce a diventare prevenzione per poter rimuovere le cause che generano poi l’emergenza, l’impoverimento, le ingiustizie e i conflitti sociali.

La crisi finanziaria ha cause ben precise e ci sono dei responsabili: sono coloro che da anni avevano predicato più mercato libero e meno Stato, permettendo la speculazione finanziaria proprio perché non hanno voluto norme e leggi in modo da inserire la giustizia nel mondo finanziario, dando eticità alla finanza.

Così pure una analisi attenta e seria sulle calamità ci rivela che la colpa non è sempre e solo della natura, ma ci sono delle cause umane ben precise. Come pure i cambiamenti climatici ci stanno rivelando che l’origine antropica è molto consistente. Di fronte a tutto questo continuiamo ad agire soprattutto ad un livello di generosità e di carità economica, coinvolgendo solamente il nostro portafoglio ma non la nostra vita. È la linea dell’assistenzialismo che primeggia ancora nelle nostra testa e nelle nostre azioni. Mentre ci è difficile coniugare la giustizia con le scelte di vita, farla diventare quel valore e quella virtù che orienta le nostre azioni.

Non sarebbe meglio essere meno buoni e caritatevoli, ma impegnarsi di più nell’essere giusti e per una solidarietà intelligente che rimuova finalmente le cause dei problemi? Dobbiamo far uscire la nostra solidarietà dall’assistenzialismo. Ma questo tessuto di giustizia sociale è molto fragile in Italia. Allora, ci si riduce ad essere buoni e generosi. Questa bontà tende a non riconoscere i diritti, ma offre solamente dei favori in forma di assistenzialismo, esigendo dall’altra parte solo doveri, senza l’impegno di promuovere i loro diritti. Mentre la giustizia riconosce sia i diritti che i doveri: gli uni non esistono senza gli altri. E tutti devono farne l’asse portante della propria vita secondo le responsabilità dovute dai propri compiti civili e umani. Bisogna riscattare una politica che faccia della giustizia sociale l’asse portante del suo esistere, educando il proprio popolo in tutte le sue dimensioni ad incarnare nella propria vita quotidiana il valore del bene comune, della legalità, del senso civico delle istituzioni democratiche, del primato dell’umano sull’economico. Una politica che non insegua i consensi, conformandosi a quello che la gente vuole a livello di pancia o di istinto, ma educhi ai valori e alle realtà basilari per un futuro davvero migliore per tutti. Insomma, una politica che svolga il ruolo di leadership e non di followship nei confronti della gente, recuperando anche il primato sull’economia e sulla finanza.

Dobbiamo chiedere anche alla nostra Chiesa uno slancio nel riscoprire la giustizia come una delle caratteristiche fondamentali di Dio, come ci ha ricordato il Card. Carlo Maria Martini. Superando quel periodo storico, dove per molti anni si è chiesto ai ricchi solamente di dare qualcosa ai poveri, senza il coraggio di far capire a loro che devono agire nella giustizia, inserendola in tutte le fasi della vita economica e non solamente nel dare una parte del profitto, come sottolinea molto bene la recente enciclica del Papa «Caritas in Veritate».

Ecco perché nella coscienza della gente c’è un grande substrato di generosità, ma molto scarso e debole è tuttora l’impegno per la giustizia. E allora dobbiamo imparare ad essere meno generosi e più giusti, meno caritatevoli e più solidali. Che il «Dio con noi» ci sproni a fare della giustizia sociale una grande passione dell’umanità, per poter realizzare davvero il suo Regno in mezzo a noi: la convivialità delle differenze e il villaggio del bene comune.

padre Adriano Sella

missionario del Creato e discepolo dei nuovi stili di vita