[Nando dalla Chiesa, da l'Unità del 12.10.04) Di questa legge sull'ordinamento giudiziario, di questa legge che balla in parlamento la musica suonata al ministero, si parla da anni. E' stata fatta e rifatta, dicendo e promettendo, cambiando e rassicurando. Vi è stato uno sciopero dei magistrati. Ma anche uno degli avvocati. E forse un altro ancora verrà dai magistrati...

NANDO DALLA CHIESA: «LA LEGGE É OSCURA PER TUTTI»

Venghino, venghino signori. Corrano anche loro alla sagra della follia apparecchiata dalla premiata ditta ministeriale  “Stregoni & Dottori in diritto e suo rovescio”. Venghino a visitare il più perfetto monumento letterario mai eretto alla insania del Legislatore. Si avventurino anche loro nel nuovo Labirinto concepito nella Città eterna e quivi nominato, a memoria dei posteri, “Delega al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario…” e altre cinque righe a seguire. Lascino fuori ogni speranza di umana comprensione ed entrino senza indugio, pronti allo stupore e alla meraviglia che ci riportano fanciulli.

Un, due, tre, quattro. E poi un, due, tre, quattro, cinque, sei. E poi ancora -tirare bene il fiato ed espirare- un, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci, undici, dodici, tredici, quattordici, quindici. E se avete superato la prova, ecco tre-uno, e tre-due, e tre-tre, e tre-quattro, e tre-cinque, e tre-sei, e tre-sette e tre-otto. Numeri, nuvole di numeri che vagano senza meta nella legge della follia. E più appaiono numeri a ordinare i precetti e le regole e più la legge diventa caos; più cresce la smania di incasellare e affiggere targhe per la labirintica via e più il visitatore smarrisce la strada per tornare alla luce. E tuttavia non di soli numeri è fatto il grande Labirinto allestito con spirito sapienziale dagli stregoni e dai dottori. Poiché essi sanno di lettere alfabetiche come sanno dell’aria e dell’acqua, della terra e del fuoco. E dunque via anche con a) e b), c) e d), e) ed f), g) ed h), i) ed l). Senza sosta. Fino a p) e q). Fino a s) e t). E poi di nuovo a) e b), e c) e d). Per decine di pagine. Dando vita a un articolo di legge da Guinness dei primati: che è poi l’articolo 2 di questa legge manicomiale fatta dal governo per dare a se stesso la delega di farne altre.

Tante altre, anzi; tutte ugualmente intricate e ardite, tutte pozze sorgive buone a far da specchio per gruppetti di narcisi in toga, contenti di rimirare in esse la propria paranoica dottrina. E’ lungo trentadue pagine questo articolo di legge. Diconsi trentadue, che è numero né da governo né da opposizione ma semplicemente da neurodeliri. Trentadue pagine per un solo articolo in una legge che, si noti, riforma l’ordinamento giudiziario con un’intenzione ossessivamente dichiarata: semplificare, mettere finalmente la giustizia al servizio dei cittadini e non degli addetti ai lavori; togliere la giustizia dalla mani delle corporazioni e consegnarla in dono agli italiani bisognosi e vogliosi di un servizio finalmente certo ed efficiente. Trentadue pagine per fissare quelli che vengono chiamati i “Principi e criteri direttivi”. Figurarsi quando fisseranno i particolari. Così -si arrendano i profani- si fabbricano le leggi, le grandi riforme nella patria del diritto, in questa terra fertile di giuristi. Chi era Hammurabi, chi Giustiniano, chi Napoleone, appetto di legislatori di sì grande respiro?   

QUESTIONE ANNOSA

Perché di questa legge sull’ordinamento giudiziario, di questa legge che balla in parlamento la musica suonata al ministero, si parla da anni. E’ stata fatta e rifatta, dicendo e promettendo, cambiando e rassicurando. Vi è stato uno sciopero dei magistrati. Ma anche uno degli avvocati. E forse un altro ancora verrà dai magistrati. E ha tuonato il Consiglio superiore della magistratura. E ha predicato discretamente ma energicamente il presidente della Repubblica. Ha polemizzato vigorosamente il ministro. Vi sono state perfino incrinature nel governo. Si è detto della separazione delle carriere, dei diritti di opinione dei magistrati, dello sproposito di concorsi, delle prove piscoattitudinali all’ingresso, del verticismo degli uffici giudiziari. E tante altre cose, su cui ciascuno può essere o non essere d’accordo.

Ma, a testimonianza che si tratta di una resa dei conti interna alle corporazioni  (con riflessi su tutta l’amministrazione giudiziaria, sia chiaro), sta ciò di cui -chissà perché- nessuno si è accorto o nessuno parla. Ossia che proprio esteticamente, letterariamente, questa legge sembra scritta da un pazzo. Da un pazzo chiuso in una sua stanza disegnata a mo’ di mondo e che si diverte, forte di un potere nato dal nulla, a gettare dall’alto semi di follia sui suoi simili più o meno sani. Questa legge va buttata, prima e al di là di tutto, perché non si può leggere e non si può capire. Perché in uno Stato democratico, in cui la sovranità appartiene al popolo, le leggi devono essere scritte in modo chiaro e comprensibile. Il cittadino ha l’obbligo di non ignorare le leggi. Ma il legislatore, a sua volta, ha l’obbligo di fare capire di che cosa esse parlano e che cosa dicono.

Qui invece la follia è tale che gli stessi parlamentari che discutono gli emendamenti (ossia gli stessi “specialisti”) si perdono per strada, non capiscono più se il numero 3 o 7 o 10 si riferisca ad a) o a c), o a n) o a r). E se l’1-3 stia dentro l) o q). Capiscono fra l’altro che la legge, poverina, non può nemmeno aiutarli. Non può scrivere ad esempio “al punto 6) del presente comma” perché in quello stesso comma di punti 6) ce ne sono otto. Essi dunque sfogliano e compulsano freneticamente, avanti e indietro, decine di pagine per capire di che cosa si stia parlando, per rintracciare l’oggetto dell’emendamento proprio o altrui. Né, in un attimo di ritrovata lucidità intellettuale, capiscono come facciano a rientrare tra i “Principi e criteri direttivi” -giusto un esempio tra cento- previsioni del tipo “che, dopo tre anni di esercizio delle funzioni di secondo grado, previo concorso per titoli, ovvero dopo diciotto anni dall’ingresso in magistratura, previo concorso per titoli ed esami, scritti e orali, possano essere svolte funzioni di legittimità; che al concorso per titoli ed esami, scritti e orali, per le funzioni di legittimità possano partecipare anche i magistrati che non hanno svolto diciotto anni di servizio e che hanno esercitato per tre anni le funzioni di secondo grado”.

INCOMPRENSIBILITÁ

Provano un naturale, istintivo rigetto, quasi vi fosse scritto “un attimino” o “come dire” o “finalizzare in gol”, per quelle parole che sono un perfido graffio sindacalese al cuore del buon legislatore: quel fantastico “apicale” (che irradia luce divina su tutta la riforma dall’alto delle spagnolesche, spassose “funzioni direttive superiori apicali di legittimità”), quel “primo grado elevato” (che si distingue dal “primo grado” normale, non si poteva mettere primo e secondo, no, troppo semplice e chiaro…), quella spettacolare “domanda di tramutamento” per indicare il trasferimento, già, così si dice -ve l’immaginate?-, par di sentirlo il giovane uditore,”dottore, sa, mi sono sposato, vorrei essere tramutato”.

Ma siccome c’è un’estetica della parola e c’è un’estetica del pensiero, forse non è male sapere anche che cosa il pazzo o i pazzi estensori di questa legge hanno, proprio nel pensiero, previsto invece per se medesimi. Hanno dunque essi stabilito che per avere il conferimento delle funzioni direttive o semidirettive costituisce, ascoltate e stupite, “titolo preferenziale” “il pregresso esercizio degli incarichi di capo o vice capo di uno degli uffici di diretta collaborazione del Ministro della giustizia, (…) ovvero di capo, vice capo o direttore generale di uno dei dipartimenti del Ministero della giustizia”. Giuseppe Ayala ha commentato in commissione giustizia la perla giuridica con una perla aristocratica: “i servi si sono cucinati il piatto di lenticchie”. Di fatto i collaboratori del ministro hanno fissato nella legge, proprio prevedendone la blindatura, i loro futuri privilegi. Basterà una legislatura come quella passata dell’Ulivo e ci saranno tre ministri in cinque anni; basterà (per ipotesi, si intende) che ognuno di essi sia come Castelli e ogni ministro avrà i suoi plotoni di fedelissimi. E a quel punto, voilà, i vertici della magistratura saranno occupati, letteralmente invasi per anni, dai protetti dei ministri. Per essere una riforma che voleva una giustizia al servizio del cittadino, per essere una riforma che voleva mettere la parola fine alla politicizzazione della magistratura, non c’è male davvero. Come si dice? In ogni follia, alla fine, c’è del metodo…

Nando Dalla Chiesa


Articolo segnalato da Michele Turazza